Estratto dal libro Tempeste di James Hansen (Edizioni Ambiente)
L’era delle tempeste
Tempeste.
Questa è una delle parole che caratterizzeranno di più il clima del ventunesimo secolo, dato che i politici continuano a sprecare tante parole senza un fondamentale cambio di direzione. I nostri nipoti dovranno affrontare tempi duri. Il quadro della situazione, una caotica transizione climatica non appena le calotte glaciali cominceranno a fondersi, deve essere delineato con l’aiuto dei modelli del clima globale.
In realtà, i primi modelli del clima globale fornivano un quadro decisamente sbagliato, dato che trattavano gli oceani con troppa semplicità e trascuravano completamente le dinamiche delle calotte glaciali.
Come risultato, prevedevano un diffuso e marcato riscaldamento alle latitudini polari, un minore riscaldamento alle basse latitudini e una risultante forte riduzione della differenza di temperatura (gradiente termico) dall’equatore al polo. La conclusione era quindi che le tempeste scatenate da gradienti termici intensi sarebbero diminuite. Purtroppo, le cose nel mondo reale del ventunesimo secolo non saranno così semplici.
Nel primo decennio del ventunesimo secolo le grandi calotte glaciali hanno appena iniziato a ritirarsi, ma abbiamo già registrato un importante aumento del riscaldamento alle alte latitudini nell’emisfero settentrionale, specialmente nell’Asia centrale e nell’Artide. Ma una volta che la disintegrazione delle calotte glaciali dovesse iniziare sul serio, i nostri nipoti vivrebbero il resto delle loro vite in un caotico periodo di transizione. Questo periodo transitorio durerebbe diversi decenni, anche se gli idrati di metano dovessero entrare in gioco accelerando i cambiamenti, a causa delle enormi quantità di ghiaccio coinvolte nel processo. Le emissioni di gas serra ai ritmi attuali, senza alcun dubbio, condanneranno il pianeta a un riscaldamento globale di entità tale da arrivare alla fine alla totale scomparsa dei ghiacci. Un pianeta senza ghiacci significa un innalzamento del livello del mare di 75 metri. Le calotte glaciali non si disintegreranno istantaneamente, ma alcune delle tesi sui loro tempi di risposta, che gli scienziati hanno elaborato basandosi sulla storia della Terra, sono in effetti fuorvianti. Quelle variazioni nelle calotte glaciali erano la risposta a forzanti che cambiavano nell’arco di millenni. Le risposte delle calotte glaciali in passato si verificavano spesso con ritmi piuttosto rapidi, ma la disintegrazione di una calotta glaciale di dimensioni continentali richiedeva comunque più di mille anni.
Gli uomini stanno imponendo al sistema climatico una forzante di più di dieci volte superiore a quella naturale. Non ci vorranno millenni perché le calotte glaciali rispondano alla forzante di origine umana, ma le inerzie che hanno rallentato la risposta naturale entreranno comunque in gioco. Per fondere il ghiaccio serve infatti una grande quantità di energia. Consideriamo del ghiaccio a una temperatura di -10 °C. Per fonderne un grammo e portare l’acqua fino alla temperatura media della superficie terrestre (circa 15 °C) sono necessarie circa 100 calorie di energia. Trasformiamo questo dato in una misura rilevante per il pianeta: fondere abbastanza ghiaccio da far salire di un metro il livello del mare richiede una media di 9 watt di flusso di energia su tutto il pianeta per un anno. In altre parole, se il pianeta si trova in uno stato di squilibrio energetico di 1 watt per metro quadrato, e se tutta l’energia accumulata andasse a fondere il ghiaccio, ci vorrebbero nove anni perché riceva energia sufficiente a innalzare di un metro il livello del mare.
Attualmente, se si calcola una media su un arco temporale di dieci anni, la Terra non si trova in stato di equilibrio energetico, e accumula un po’ più energia dalla luce solare assorbita di quanta ne dissipi nello spazio sotto forma di radiazione termica. Questo squilibrio energetico è dovuto all’aumento dei gas serra, principalmente la CO2, che costituiscono la forzante climatica dominante. Comunque, lo squilibrio è ridotto dagli aerosol prodotti dalle attività umane, che riflettono la luce solare nello spazio. E negli ultimi sei anni, dal 2003, lo squilibrio energetico del pianeta è stato piccolo, almeno in parte a causa della diminuzione dell’irradiazione solare, poiché il sole è entrato nella più profonda e duratura delle sue fasi di minimo di attività da quando si è cominciato a effettuare misurazioni accurate. Sulla media di un decennio, negli ultimi tempi lo squilibrio energetico della Terra è probabilmente di 1,5 watt per metro quadro – ma non stiamo ancora misurando la temperatura degli oceani abbastanza accuratamente per poter calcolare con precisione lo squilibrio. Comunque, fino a ora solo una piccola parte di questo squilibrio è andata a fondere i ghiacci – la maggior parte di esso sta riscaldando gli oceani. La suddivisione di questa energia in eccesso tra la fusione dei ghiacci e il riscaldamento degli oceani si sposterà a favore della fusione dei ghiacci non appena le calotte glaciali saranno indebolite dal riscaldamento globale e inizieranno a rilasciare più velocemente ghiaccio negli oceani.
Un effetto dell’aumento del rilascio dei ghiacci sarà un raffreddamento degli oceani limitrofi. Fino a ora, l’effetto raffreddante del rilascio dei ghiacci è stato relativamente piccolo, nonostante l’ampia fusione delle piattaforme glaciali intorno all’Antartide abbia già un’influenza rilevabile sulla temperatura superficiale degli oceani. Se la concentrazione di gas serra dovesse continuare a crescere ai ritmi attuali, le calotte glaciali inizieranno inevitabilmente a rilasciare ghiaccio più rapidamente e produrranno un maggior effetto di raffreddamento delle regioni oceaniche limitrofe.
L’Antartide Occidentale, la calotta glaciale più vulnerabile, con il protrarsi dei cambiamenti climatici comincerà a perdere ghiaccio a una velocità notevole. I ghiacci dell’Antartide Occidentale daranno probabilmente il maggior contributo all’innalzamento del livello del mare nel ventunesimo secolo e al mantenimento della temperatura superficiale dell’oceano nei dintorni dell’Antartide vicino al punto di congelamento, una temperatura simile a quella attuale. La calotta glaciale della Groenlandia si trova per la maggior parte su terre al di sopra del livello del mare, quindi non è a rischio di un rapido collasso come l’Antartide, ma può perdere massa abbastanza velocemente da influenzare la temperatura superficiale dell’Atlantico settentrionale. La Groenlandia non può contribuire all’innalzamento del livello del mare quanto l’Antartide occidentale, ma l’acqua dolce prodotta dalla fusione dei suoi ghiacci può avere un enorme impatto sulla regione dell’Atlantico settentrionale attraverso il suo effetto sulla circolazione globale oceanica. L’acqua dell’oceano nell’Atlantico settentrionale è piuttosto salata, se paragonata, per esempio, a quella del Pacifico settentrionale, in parte per l’apporto di acqua molto salata del Mediterraneo che attraversa lo stretto di Gibilterra e si sposta verso l’Atlantico settentrionale.
La combinazione di un alto contenuto di sale e del raffreddamento invernale rende l’acqua della superficie dell’Atlantico Settentrionale abbastanza densa da precipitare sul fondo dell’oceano. Quando queste acque di profondità si spostano a sud, le acque più calde delle profondità intermedie si spostano a nord per rimpiazzarle (attivando la Corrente del Golfo, ndC). Questa circolazione oceanica potrebbe essere interrotta dall’aggiunta di una sostanziale quantità di acqua dolce proveniente dalla fusione dei ghiacci, perché l’acqua superficiale dell’oceano, che diventerebbe meno salata, non sarebbe abbastanza pesante da precipitare in profondità. Molti esempi nei dati paleoclimatici indicano che le acque di fusione dei ghiacci possono arrestare la circolazione convettiva degli oceani, causando un raffreddamento nella regione dell’Atlantico Settentrionale.
Questo fenomeno ha fornito lo spunto al film, altamente antiscientifico, The Day After Tomorrow, nel quale viene mostrato un inverosimile raffreddamento quasi istantaneo dell’emisfero settentrionale. Nella realtà, se ci fosse un’interruzione nella formazione di acque di profondità in risposta al riscaldamento globale e alla fusione dei ghiacci, il raffreddamento sarebbe solo di pochi gradi e sarebbe limitato principalmente all’Oceano Atlantico Settentrionale, con un leggero effetto conseguente in Europa che bilancerebbe parzialmente il riscaldamento da gas serra in quella zona. In ogni caso, una volta che la Groenlandia cominciasse a perdere ghiaccio a una velocità sostanziale, il ghiaccio manterrebbe la temperatura di parti dell’Atlantico Settentrionale a livelli relativamente bassi. Se la formazione delle acque di profondità rallentasse, il raffreddamento locale dell’Atlantico settentrionale sarebbe amplificato. Nel frattempo, alle basse latitudini, l’atmosfera e la superficie degli oceani si scalderebbero sempre di più nel corso del ventunesimo secolo. Gli effetti dell’aumento del riscaldamento globale accentuerebbero tendenze già evidenti, tra le quali la fusione dei ghiacciai montani, l’espansione delle fasce subtropicali, e causerebbero incendi boschivi più gravi e una lotta per le riserve d’acqua dolce in diminuzione.
Un’atmosfera più calda provoca siccità in alcune regioni, e piogge più intense e alluvioni di maggior entità in altre. L’impatto più rilevante sulle tempeste connesso all’aumento del riscaldamento si concretizzerà attraverso la sua influenza sul vapore acqueo presente nell’atmosfera. La quantità di vapore acqueo che l’aria può trattenere varia fortemente in funzione della temperatura. Il fatto che il vapore acqueo aumenti rapidamente con un minimo aumento della temperatura è la base per un effetto serra incontrollabile. Ma l’era delle tempeste comincerà molto prima che il pianeta arrivi vicino a un effetto serra fuori controllo.
Persino senza il caos provocato dalla disintegrazione delle calotte polari, in questo secolo le tempeste più forti diventeranno ancora più potenti. Questa affermazione è vera in particolare per le tempeste che sono scatenate dal calore latente. Si tratta di un problema molto grave, perché le tempeste di questo tipo comprendono temporali, tornado e tempeste tropicali come uragani e tifoni. Il calore latente è l’energia acquisita dal vapore acqueo quando evapora dallo stato liquido o quando sublima dal ghiaccio. L’evaporazione dell’acqua richiede molta energia – più di 500 calorie per grammo di acqua alla normale pressione atmosferica – che è necessaria per spezzare le potenti forze di attrazione tra le molecole d’acqua. Quando il vapore condensa, l’energia latente viene rilasciata sotto forma di calore, che diventa potenzialmente disponibile per alimentare una tempesta.
Questo non significa che ogni singola tempesta alimentata dal calore latente sarà più forte col riscaldarsi del pianeta. Il solo fatto che ci sia più “carburante” disponibile non significa necessariamente che verrà usato; la forza di ciascuna tempesta dipende da specifiche circostanze meteorologiche. Tuttavia, le più potenti tempeste del futuro saranno caratterizzate da venti più forti. Questo è importante, perché i danni provocati dal vento dipendono in larga misura dalla sua velocità. Un aumento del 10% della velocità del vento aumenta il suo potenziale distruttivo di circa un terzo. Poiché un’atmosfera più calda trattiene più vapore, e quindi ha una maggiore quantità di calore latente, la potenza delle tempeste più forti aumenterà con l’aumento del riscaldamento globale. Il maggior grado di umidità dell’aria incrementa l’intensità delle piogge e delle inondazioni.
Come abbiamo visto, molti luoghi intorno al mondo hanno già sperimentato un innaturale aumento delle inondazioni “centenarie”, che si stanno verificando più spesso di quanto farebbe prevedere il loro nome. In alcuni posti, l’effetto dell’aumento delle piogge è aggravato dalla deforestazione o da altre attività umane che riducono la capacità dei suoli di trattenere l’acqua. Gli uragani più forti e altre tempeste tropicali diverranno più potenti, a causa dell’aumento di “carburante” a loro disposizione. L’impatto del riscaldamento sulla frequenza delle tempeste tropicali è più difficile da prevedere, perché la formazione degli uragani dipende da svariati fattori meteorologici che possono modificarsi al variare del clima. Comunque, una delle condizioni necessarie per lo sviluppo degli uragani è una temperatura sufficientemente alta della superficie del mare.
Di conseguenza, la zona in cui le tempeste tropicali possono formarsi quasi sicuramente si espanderà con l’aumentare della temperatura della superficie del mare. Una conferma di queste previsioni è stata fornita nel marzo del 2004 dal ciclone Catarina, che generò dei venti con una velocità di 160 chilometri orari nell’Oceano Atlantico meridionale, prima di approdare nel sud-est 288 tempeste del Brasile. Fu la prima tempesta tropicale registrata nell’Atlantico meridionale. Perfino i temporali possono produrre gravi danni. Essi si sviluppano solitamente dove un fronte di aria calda e umida entra in collisione con un fronte di aria fredda. Mentre l’aria calda e umida sale all’interno dell’aria circostante più fredda, il vapore acqueo si condensa, rilasciando il calore latente che alimenta e accelera l’ascendenza della massa d’aria. La discesa circostante che si verifica per compensazione causa i danni del vento a terra. Masse di aria instabile lungo un fronte freddo possono produrre forti temporali, comprese le grandi tempeste a supercella con venti che arrivano a 130 chilometri orari o più. Queste supercelle sono il principale alimento dei tornado.
In aggiunta ai danni provocati direttamente dal vento, queste tempeste a supercella sono spesso associate a pesanti grandinate e ad alluvioni-lampo. Ma l’aumento dell’intensità massima delle tempeste e l’espansione delle zone soggette a forti eventi meteorologici – temporali, tornado e tempeste tropicali – sono solo l’inizio della storia che riguarda le tempeste. Con il protrarsi del riscaldamento globale, gli effetti delle tempeste si aggraveranno secondo tre modalità differenti. Il primo di questi scatti in avanti sarà lo sviluppo di cicloni di media latitudine o cicloni frontali più potenti e distruttivi. Le tempeste frontali saranno più potenti perché dipendono dalla differenza di temperatura tra le masse di aria calda e fredda e dal tasso di umidità nell’atmosfera che si trova dietro il fronte caldo. Questa intensificazione dei cicloni frontali sarà un effetto della fusione delle calotte glaciali, una volta che queste inizieranno a fondersi abbastanza velocemente da impedire alla temperatura della superficie delle regioni oceaniche di aumentare alla stessa velocità delle temperature continentali e delle temperature alle latitudini inferiori.
Il punto più importante è che ci saranno luoghi e situazioni in cui le masse di aria calda saranno molto più cariche di vapore acqueo di quanto sarebbero se il mondo fosse più freddo. Un’anticipazione di questo futuro fatto di peggioramenti irreversibili ci è stato offerta dalla bufera di neve che colpì l’America settentrionale a metà del marzo del 1993. Quella tempesta, chiamata in alcune regioni “la tempesta del secolo”, fu causata dalla collisione di una massa d’aria fredda proveniente dall’Artide e una massa d’aria carica di umidità proveniente da una depressione sul Golfo del Messico. Una linea di instabilità con forti temporali si formò lungo il confine frontale, che si spostò dal Golfo del Messico su Cuba e sulla Florida e poi salì fino alla costa orientale degli Stati Uniti. La tempesta si espanse dall’America centrale alla Nova Scotia, in Canada. I venti raggiunsero velocità da uragano nella regione del golfo, e arrivarono ben oltre i 160 chilometri orari a Cuba. La linea di instabilità produsse tempeste di neve con tuoni e fulmini, e tormente dal Texas alla Pennsylvania. A Birmingham, in Alabama, caddero oltre 40 centimetri di neve e in alcune zone della Pennsylvania caddero tra i 60 e i 90 centimetri di neve. Dieci milioni di persone rimasero senza elettricità, e trecento persone morirono a causa della bufera.
Nonostante ciò, la tempesta del 1993 sarà rapidamente eclissata dalle tempeste del ventunesimo secolo, a mano a mano che il contenuto di umidità dell’aria alle basse e medie latitudini aumenterà e incontrerà le masse di aria polare raffreddata dai ghiacci. L’intensità dei cicloni frontali crescerà nel corso del ventunesimo secolo con l’aumento della velocità alla quale si riduce la massa delle calotte glaciali e con il continuo incremento del riscaldamento alle basse e medie latitudini. Questo primo scatto, però, “impallidirà” a confronto con gli effetti del secondo, che si verificherà quando la rapida fusione delle calotte glaciali causerà una crescita del livello del mare misurabile in metri. Misurazioni molto accurate del campo gravitazionale terrestre effettuate dal Gravity Recovery and Climate Experiment (GRACE) rivelano che negli ultimi anni la calotta glaciale della Groenlandia ha subito una perdita di massa di circa 100 chilometri cubi all’anno. La massa dell’Antartide occidentale si sta riducendo a una velocità simile, anche se di poco inferiore. Questi dati satellitari partono dal 2002, ma altri, meno accurati, suggeriscono che fino al 1990 le calotte glaciali siano state in condizioni di equilibrio di massa, cioè non perdevano né acquisivano massa a una velocità significativa.
Sembra quindi che la fusione delle calotte glaciali sia cominciata, anche se fino a ora l’effetto sul livello del mare è stato modesto. La velocità dell’innalzamento del livello del mare nello scorso decennio, comprendendo l’effetto della fusione dei ghiacciai montani e l’espansione termica dell’acqua degli oceani, è stata di 3,4 centimetri per decennio, ossia 34 centimetri per secolo. Questo tasso di innalzamento del livello del mare crescerà con l’aumento del riscaldamento globale. Le piattaforme glaciali che fanno da contrafforte ai ghiacci dell’Antartide occidentale e ad alcune parti dei ghiacci della Groenlandia si stanno fondendo. Con la scomparsa delle piattaforme glaciali, si prevede un aumento della velocità di rilascio di iceberg nell’oceano. Ho già evidenziato un altro processo che potrebbe accelerare l’inizio di una rapida disintegrazione delle calotte glaciali: piogge estive più intense, che possono verificarsi su parti delle calotte glaciali a causa della presenza di aria più calda e più umida.
Alla fine, le calotte glaciali cominceranno a disintegrarsi a una velocità tale da provocare un innalzamento del livello del mare di diversi metri per secolo, anche con i ritmi lenti delle forzanti climatiche naturali. Ma prevedere quando la perdita di massa delle calotte glaciali subirà un’accelerazione nel ventunesimo secolo costituisce un classico problema “non lineare”, notoriamente difficile da risolvere. Rischiamo di innescare un disastroso aumento del livello del mare, cioè potremmo creare le condizioni che garantiscano che questo si verifichi; per fortuna, è probabile che passeranno diversi decenni prima che ciò avvenga. D’altro canto, la velocità con cui si sono verificati altri cambiamenti climatici – come la riduzione del ghiaccio marino artico, l’espansione delle fasce a clima subtropicale e la fusione dei ghiacciai montani – ci ha colti di sorpresa. Se la fusione degli idrati di metano delle profondità oceaniche e della tundra cominciasse a contribuire sostanzialmente alla concentrazione di metano nell’atmosfera, se gli aerosol da solfati prodotti dalle attività umane diminuissero rapidamente a causa della riduzione dell’inquinamento, se l’irradiazione solare si risollevasse rapidamente dall’attuale fase di minimo energetico… tutti questi fattori possono accelerare i cambiamenti climatici. Per il momento, la migliore stima che posso fare riguardo a quando inizierà la variazione del livello del mare è che questo avverrà durante l’arco della vita dei miei nipoti – o forse dei vostri figli.
A causa della combinazione del livello del mare più alto e dell’aumento della potenza delle tempeste, le conseguenze in futuro saranno spaventose. I problemi non si limiteranno a quelle zone comunemente soggette alle tempeste tropicali, ma riguarderanno popolazioni che sono decine o centinaia di volte più numerose dei senzatetto lasciati dall’uragano Katrina, che si abbatté su New Orleans e sulla costa del Golfo nel 2005. Considerate una tempesta come la Halloween Nor’easter del 1991. Iniziò come un’area di bassa pressione sull’Indiana, che si spostò verso estnord-est sopra l’Atlantico al largo delle coste canadesi. Lì, la pressione si abbassò ulteriormente e l’area della depressione si spostò verso est-sudest; venne bloccata da dei rilievi e curvò verso ovest, dove si incontrò con l’uragano Grace che si stava muovendo verso nord. L’uragano, spinto verso l’alto dal fronte freddo e assorbito dall’area di forte depressione, aggiunse energia alla tempesta ciclonica. La pressione minima precipitò fino a 972 hPa (l’ettopascal è l’unità di misura della pressione atmosferica che in media al livello del mare è di circa 1.013 hPa), con venti a 120 chilometri orari, trasformando questo sistema extratropicale in un uragano di categoria 1. Una boa canadese situata a 42N, 62W, circa trecento chilometri al largo della costa della Nova Scotia, registrò onde di 31 metri. Fortunatamente, la maggiore potenza si scatenò in alto mare, anche se la parte nordorientale degli Stati Uniti fu colpita da onde alte 4 metri, che si aggiunsero a una mareggiata di 1,5 metri causata dalla tempesta.
Considerate una situazione con un livello del mare più alto di un paio di metri, con tempeste più potenti e con un tasso di umidità nell’atmosfera maggiore. Uragani più forti provenienti da nord-est colpiranno le città della costa orientale insieme a un innalzamento del livello del mare. Non è questione di se, ma di quando ciò accadrà. Le devastazioni sociali ed economiche potrebbero essere colossali. Non c’è bisogno che l’intera isola di Manhattan finisca sott’acqua perché la città non sia più in grado di funzionare e, date le previsioni di un continuo innalzamento del livello del mare, inadatta a essere ricostruita. Altre parti del mondo sono altrettanto vulnerabili, se non di più. Nel 1953 un’inondazione colpì le coste dell’Olanda, dell’Inghilterra e, con un’intensità minore, quelle del Belgio, della Danimarca e della Francia. L’alluvione fu causata dalla combinazione di un’alta marea equinoziale e di una marea da tempesta dovuta a una forte bufera di vento scatenatasi in Europa. Il picco delle maree combinate nel Mare del Nord superò di oltre 5 metri il livello medio del mare. In Olanda furono allagati circa 1.400 chilometri quadrati (1.000 in Inghilterra). In risposta, olandesi e inglesi fabbricarono sistemi di difesa dalle inondazioni (tra cui la Thames Barrier, per proteggere il centro di Londra dalle future tempeste).
Quando il livello del mare salirà di alcuni metri – e notate che non ho detto “se”, ma solo “quando”, ipotizzando che ai politici venga permesso di continuare con il business as usual – anche queste barriere migliorate potrebbero rivelarsi inutili. In realtà, quando verranno superate, l’area e la portata della devastazione saranno di proporzioni mai viste. L’innalzamento del livello del mare si farà scherno dei piani degli olandesi per costruire case galleggianti – a meno che non pianifichino di vivere in mare aperto. Le pianure del nord dell’Europa non saranno più abitabili. Cosa dire dell’effetto di questo innalzamento del mare nelle nazioni in via di sviluppo? Le conseguenze per nazioni come il Bangladesh, con 100 milioni di persone che vivono in zone che si trovano diversi metri al di sotto del livello del mare, saranno sconvolgenti. Senza dubbio avrete visto immagini degli effetti delle tempeste tropicali che si sono verificate in Bangladesh con l’attuale livello del mare e con l’attuale potenza delle tempeste. Vi lascio anche immaginare le conseguenze per le nazioni che si trovano su isole che sono poco sopra al livello del mare. Possiamo solo sperare che le nazioni responsabili dei cambiamenti climatici decidano di concedere ai profughi climatici il diritto all’immigrazione e alla proprietà di nuove terre e case.
La tempistica della fusione degli idrati di metano è imprevedibile quanto quella degli altri peggioramenti. Hanno già iniziato a manifestarsi segnali di riscaldamento, come le emissioni di metano rilasciate dai ghiacci della tundra che si stanno fondendo e dai fondali marini sulle piattaforme continentali. Fino a ora, le quantità di metano rilasciato in questo modo sono state piccole. Gli idrati di metano che destano maggiori preoccupazioni sono quelli che si trovano nei sedimenti depositati sui fondali oceanici, a causa del loro volume imponente. Nonostante le stime della quantità di idrati esistenti varino molto, la lunga tendenza al raffreddamento degli ultimi 50 milioni di anni ha sicuramente prodotto un accumulo che supera quello che scatenò l’improvviso riscaldamento globale tra 5 e 9 °C verificatosi durante il PETM circa 54 milioni di anni fa. La circolazione globale degli oceani assunse un nuovo assetto durante il PETM, con lo spostamento della zona di formazione delle acque di profondità nell’Oceano Pacifico invece che nel nord dell’Atlantico, dove si trova ora. L’invasione del fondale oceanico da parte dell’acqua più calda del Pacifico potrebbe essere stato un fattore chiave nella fusione degli idrati di metano durante il PETM. È possibile che avvenga un altro cambiamento della circolazione oceanica in un futuro prossimo? Alcuni modelli del clima globale prevedono l’occasionale formazione di acque profonde nell’Oceano Pacifico, il che suggerisce che non sarebbe necessaria una grande variazione della densità dell’acqua per far variare il luogo di formazione delle acque di profondità. La causa scatenante di un tale cambiamento potrebbe essere l’aggiunta di acqua dolce all’Oceano Atlantico settentrionale e all’Oceano Antartico, dopo che la fusione delle calotte glaciali in entrambi gli emisferi abbia raggiunto una velocità sufficientemente alta.
Questa acqua dolce, poiché è meno densa dell’acqua salata dell’oceano, tenderà a fermare la normale discesa verso il fondo dell’acqua di superficie sia nel nord dell’Oceano Atlantico sia nell’oceano che circonda l’Antartide, potrebbe cioè arrestare la formazione di acque di profondità del nord dell’Atlantico e delle acque profonde dell’Antartide. Quando la formazione delle acque di profondità inizierà ad avvenire nell’Oceano Pacifico, l’inerzia del sistema climatico, precisamente la circolazione oceanica, sarà assolutamente troppo grande perché l’uomo possa fermarla, anche se i sistemi sociali fossero ancora efficienti. Una volta che l’innalzamento del mare comincerà a devastare le città costiere intorno al mondo, creando centinaia di milioni di profughi, il mondo potrebbe risultare ingovernabile. Ma a parte questo, se cambiasse la circolazione oceanica, se l’acqua più calda dell’Oceano Pacifico cominciasse a diffondersi sui fondali oceanici e a fondere gli idrati di metano, gli uomini non potrebbero in alcun modo invertire il cambiamento della circolazione oceanica. Anche se non possiamo prevedere i dettagli della storia dell’uomo a breve termine, i cambiamenti sarebbero estremamente importanti.
La Cina, nonostante la sua crescente potenza economica, si troverebbe in grandi difficoltà dato che centinaia di milioni di cinesi sarebbero cacciati dal crescente livello del mare. Se la Florida e le città costiere venissero sommerse, gli Stati Uniti si troverebbero in difficoltà analoghe, e molte altre nazioni dovrebbero affrontare gli impatti di questa catastrofe. Data l’interdipendenza globale, si potrebbe rischiare il collasso del sistema economico e sociale. Le previsioni che riguardano le scienze fisiche sono più semplici. Mentre è difficile prevedere la tempistica dei tre cambiamenti che ho elencato, non lo è prevederne gli effetti. Se si sommano le emissioni provocate dagli idrati di metano a quelle dei combustibili fossili convenzionali e non, il futuro appare chiaro. I feedback attenuanti che aiutano a contenere l’intensità dei naturali cambiamenti climatici a lungo termine, come la capacità del ciclo del carbonio di limitare a lungo termine la concentrazione di CO2 nell’atmosfera, non avranno il tempo per contrastare i feedback amplificanti. L’enorme squilibrio energetico planetario causato dagli alti livelli di CO2 e di metano nell’atmosfera si prenderà cura del ghiaccio rimasto in un attimo. Il pianeta si troverebbe in breve tempo sul Venus Express.