Il paradosso dei sovranisti: brutali con gli ultimi e zerbini con Trump

Il sovranismo italiano è molte chiacchiere e tanto distintivo. Mandiamo avanti il Tap per compiacere glI Stati Uniti e approviamo le sanzioni alla Russia senza dire bah anche se perdiamo vari miliardi l'anno. E Washington minaccia sanzioni se entreremo nella Via della Seta cinese

SAUL LOEB / AFP

Sovranisti con Mohammed del barcone e zerbini con Donald della Casa Bianca? Non è un po’ comodo? Chiediamo venia per la provocazione ma c’è un paradosso che proprio non vorremmo vivere: avere un Governo sovranista che la politica tradizionale e “perbene”, ancora dominante in Europa, osteggia in ogni modo, con le difficoltà che ne derivano al Paese (e giù giù, lì in fondo, anche a ognuno di noi) che però fa la politica meno sovranista e più succube che c’è. Sarebbe come essere cornuti e mazziati, anzi, prima mazziati e poi pure cornuti. Non un bel vivere. La ponderosa riflessione spunta sentendo il gran parlare che si fa della prossima visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping, del memorandum d’intesa che l’Italia dovrebbe sottoscrivere per partecipare al gigantesco progetto della Nuova Via della Seta varato da Pechino nel 2011 e dell’ovvia contrarietà degli Usa, che ci hanno già lanciato uno dei loro simpatici messaggi: italiani, lasciate perdere, non vorremmo dovervi fare male.

Questo, però, è proprio uno dei punti in cui il cosiddetto “sovranismo” italiano deve mostrare di che pasta è fatto. O sovranismo vuol dire difesa dell’interesse nazionale, pur nel rispetto e nell’interpretazione di alleanze e trattati che, pur liberamente sottoscritti, impegnano a molte cose ma non all’automortificazione. Oppure sulle patrie sponde il “sovranismo” non prevede altro che quattro slogan in croce e un po’ di accanimento contro l’anello più debole dell’attuale catena alimentare umana e politica, ovvero i migranti irregolari. Il sovranismo del primo tipo è più diffuso di quanto si tenda a pensare. Per esempio è ben vivo nelle azioni dei Paesi del Blocco di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) che si battono senza sosta per restare nel quadro delle alleanze internazionali (Ue, Nato…) senza rinunciare ad avere una personalità politica nazionale. Cosa che, legittimamente, ad altri Governi non va giù ma che alla maggioranza dei cittadini (di quelle quattro nazioni, e non solo), a giudicare dai risultati elettorali, invece piace assai.

Quando in Europa si riuniscono per discutere di riforma del sistema di asilo per i rifugiati e di cooperazione con i Paesi del Mediterraneo sull’immigrazione, i ministri degli Interni ci sono tutti tranne il nostro, Matteo Salvini. Che invece di andare a difendere l’interesse nazionale prendendo a schiaffoni, se dovesse servire, a nome dell’Italia, i suoi 27 colleghi, resta in Basilicata per le elezioni regionali

E poi c’è il sovranismo dei Paesi che, per dir così, hanno un curriculum in apparenza immacolato. Prendiamo Francia e Germania che, or non è molto, ad Aquisgrana, hanno rinnovato con Emmanuel Macron e Angela Merkel il patto d’amicizia e collaborazione siglato nel 1963 a Parigi nientemeno che da De Gaulle e Adenauer. Anche ad Aquisgrana, a dispetto delle sinfonie all’europeismo dei due leader, si è visto un bel po’ di sovranismo. Francia e Germania, in quella sede, si sono promesse di: elaborare “comuni posizioni” prima dei futuri vertici europei (e la Commissione europea?); perseguire come “una priorità della diplomazia franco-tedesca” l’ingresso della Germania nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu (ma non si doveva arrivare a un seggio Ue?); creare uno “spazio economico franco-tedesco con regole comuni” (e il mercato comune europeo?). Per non parlare di quell’esercito europeo a trazione franco- tedesca che dovrebbe essere digerito anche dagli altri ventisei Paesi Ue. Insomma: Francia e Germania hanno parlato di Europa ma hanno lavorato per rafforzare le proprie posizioni. Ovvero, hanno perseguito il proprio interesse nazionale.

E noi? Per il momento sembriamo fermi al sovranismo di secondo tipo, molte chiacchiere e tanto distintivo. Mandiamo avanti il Tap, il gasdotto che dovrebbe collegare l’Azerbaigian all’Italia passando per la Grecia, per nessun’altra ragione che non sia compiacere gli Usa che vogliono indebolire la posizione della Russia come esportatore. Certo, la chiamano “diversificazione delle fonti di approvvigionamento”, anche se non si capisce perché dovremmo diversificare se non abbiamo mai avuto problemi di rifornimento e con il Tap non risparmieremo in bolletta. Ma tant’è, nomina sunt consequentia rerum, come diceva Dante. Quando si tratta della Russia approviamo le sanzioni europee senza nemmeno provare a dire “bah”, anche se ci rimettiamo un pacco di miliardi ogni anno. E quando in Europa si riuniscono (ultima occasione prima delle elezioni europee di maggio) per discutere di riforma del sistema di asilo per i rifugiati e di cooperazione con i Paesi del Mediterraneo sull’immigrazione, i ministri degli Interni ci sono tutti tranne il nostro, Matteo Salvini. Che invece di andare a difendere l’interesse nazionale prendendo a schiaffoni, se dovesse servire, a nome dell’Italia, i suoi 27 colleghi, resta in Basilicata per le elezioni regionali.

Ora, che c’entra il povero Xi Jinping con tutto questo? La Cina sta arrivando in Europa, in forza di quel progetto di Nuova Via della Seta in cui Pechino ha già investito somme enormi, che dovrebbero raggiungere almeno gli 8 mila miliardi. È una questione enorme che non possiamo riassumere in poche righe. Al dunque si tratta di questo: l’Italia, Paese manifatturiero dall’asfittico mercato interno (e infatti vai di 80 euro e di reddito di cittadinanza), può permettersi di ignorare le opportunità offerte dalla seconda potenza economia del mondo? In pochi anni gli investimenti diretti della Cina in Europa sono passati da 1 a 35 miliardi, ma sono rimasti quasi tutti nell’Europa dell’Est e nei Balcani. Ci interessano questi soldi? Al richiamo cinese hanno già risposto Grecia, Ungheria e Portogallo. Ora tocca a noi dare una risposta a Pechino, dopo aver manifestato un forte interesse già con i Governi precedenti. Com’è ovvio, la Ue diffida della penetrazione politica ed economica della Cina e gli Usa di Donald Trump addirittura la combattono con una durissima guerra dei dazi, che è braccio di ferro finanziario ma soprattutto politico, il tentativo di impedire la definitiva ascesa (economica, politica, tecnologica e anche culturale) di un rivale globale. Si sa, il sistema liberista parla tanto di concorrenza ma detesta la competizione altrui, soprattutto se astuta e qualche volta sleale.

Trump ha la mano pesante e ben lo sanno Francia e Germania, che hanno patteggiato con fatica una tregua sui dazi imposti al loro acciaio e alluminio e non dormono la notte al pensiero di che cosa potrebbe succedere se ci fosse un dazio anche sulle automobili

È anche chiaro che, al momento, i due mercati per noi non sono equivalenti. Nel 2017 abbiamo esportato negli Usa per 40,5 miliardi e importato dagli Usa solo per 15. Altra musica con la Cina: sempre nel 2017, abbiamo importato per 24,5 miliardi ed esportato per appena 13,5. Al momento, però. E domani? Le nostre esportazioni verso la Cina sono cresciute del 22% nel solo 2017, e tale resta la tendenza. Cosa potrebbe succedere, diciamo tra una decina d’anni, se la Nuova Via della Seta avesse successo? Se noi, per fare un po’ di fantascienza, dicessimo no a Xi Jinping, mandassimo a monte il benedetto/maledetto Tav e Lione davvero diventasse, com’era nelle intenzioni di Pechino, uno degli hub ferroviari europei di quella Via? E come andrebbe a finire, invece, se a Xi dicessimo sì e al posto di Lione ci fosse Trieste?

È un gioco durissimo. Gli Usa sono importanti per noi. E l’Italia sarebbe il primo Paese del G7 ad aderire al progetto cinese. In più Trump ha la mano pesante e ben lo sanno Francia e Germania, che hanno patteggiato con fatica una tregua sui dazi imposti al loro acciaio e alluminio e non dormono la notte al pensiero di che cosa potrebbe succedere se ci fosse un dazio anche sulle automobili. Poi c’è la questione sicurezza, che in questi casi viene sempre agitata. Fa un poì ridere, fino a ieri eravamo sull’orlo di un’invasione russa e adesso scopriamo che il pericolo è giallo, ma tant’è, si sa chi comanda alla Nato. E alla fin fine il punto è sempre quello: gli Usa vogliono un rapporto esclusivo con l’Europa e non sono disposti a cedere di un millimetro. Ma è proprio quando il gioco si fa duro che il sovranista comincia a giocare nell’interesse del proprio Paese. Il sovranista vero, almeno. Quell’altro…