Melodie che arrivano a toccare i cuori degli uomini. Ma soprattutto, le menti delle mucche. Sono i canti svedesi praticati con la tecnica del kulning: suoni e musiche che echeggiavano lungo le valli e gli alberi, accarezzando cascate e ruscelli, senza bisogno di parole o versi. Il vero destinatario erano gli animali al pascolo, che intendessero il suono come un richiamo: il segnale che la giornata era finita e che dovevano tornare a casa anche quel giorno.
Secondo gli esperti di kulning come Susanne Rosenberg, capo del dipartimento di musica popolare al Royal College of Music di Stoccolma, la tecnica vocalica risale almeno al periodo medievale. In quel periodo era uso mandare le mandrie in piccoli insediamenti montani, chiamati fäbod, in modo che capre e mucche potessero pasturare in libertà. Ad accompagnarle da maggio a ottobre – e perciò vivendo in un relativo isolamento – erano le donne, e solo loro. Si occupavano degli animali, cucivano, creavano strumenti di lavoro, mungevano e facevano il formaggio. Una vita dura ma libera.
E in tutto questo, per potenziare la voce e raggiungere le orecchie degli animali, che si allontavano durante il giorno, svilupparono questa tecnica particolare. Una voce umana, in questo modo, può arrivare fino a 125 decibel (è tanto e pericoloso per le orecchie di qualcuno vicino), simile più o meno al volume che può raggiungere un soprano – e se si impegna. E gli animali possono sentirlo fino a cinque chilometri di distanza. Risolto questo aspetto, rimane una sola domanda: cosa li spinge, una volta udito il richiamo, a tornare a casa? “Non c’è niente di strano. È più o meno è quello che fa un cane”.
Il richiamo aveva i suoi vantaggi: permetteva di comunicare con altre donne a distanza, inviando messaggi precisi attraverso alcune melodie standard (ad esempio, per segnalare situazioni di pericolo, o per comunicare che si era perso un animale), ma aveva anche i suoi svantaggi: come veniva udito dagli animali al pascolo, veniva percepito anche dai predatori, che venivano così informati che di lì a poco ci sarebbero stati animali in movimento.
Tutti problemi ormai dimenticati: con la fine del fäbod, abbandonato in via definitiva negli anni ’60, anche tutte le abitudini collegate sono venute meno. Anche se c’è chi, un po’ per salvare la tradizione, un po’ perché davvero apprezza questa curiosa tecnica di canto, continua a portarla avanti: