La cittadinanza è una questione pratica, utilitaristica, che poco o niente ha da spartire con i decasillabi “è-u-na-que-stio-ne-di-ci-vil-tà” cantati ai microfoni dalle anime belle della politica negli ultimi giorni. Non è una questione di civiltà, ma di utilità, misurabile in ranking. La cittadinanza italiana è preferibile a quella pakistana per una serie di parametri oggettivi e misurabili quali libertà di movimento, servizi, previdenza, eccetera.
Annualmente U.S. News pubblica una classifica internazionale il cui ranking prende in considerazione 75 parametri. L’Italia di solito non si discosta dal ventesimo posto, di fatto confermandosi ogni volta tra i «Paesi progressisti, inclusivi, e ricchi di capitale sociale», come recita la classifica. Un ranking più che dignitoso considerato che si compete con Svizzera, Canada, Svezia, Germania, Giappone, Paesi in cui lo Stato è onnipresente, e ogni cosa osserva, aggiusta e riconduce alla norma.
Al netto della narrazione catastrofista che vorrebbe l’Italia irrimediabilmente perduta e del benaltrismo per cui il welfare altrui è ben altra cosa rispetto al nostro, pare che essere cittadini italiani valga ancora qualcosa.
«La cittadinanza non si regala ma si conquista», scandisce la Lega, «una battaglia di civiltà» promette Nicola Zingaretti, «non abbiate paura» esorta Walter Veltroni rivolto al Pd, che tre anni fa sullo ius soli ebbe invece un’enorme strizza di giocarsi il consenso elettorale. Eppure, per un momento, verso la fine del 2015 si respirò aria di Svezia, aria di civiltà. «L’Italia cambia» disse Matteo Renzi, e noi tutti ci mettemmo l’abito buono, quello riformista.
Il 13 Ottobre 2015 la Camera licenziò la legge sulla cittadinanza con 310 sì, 66 no e 83 astenuti. Passandola al Senato già a inizio 2016, il Pd avrebbe avuto il tempo utile di esercitare la mozione di fiducia e fare approvare la legge con buona pace di Angelino Alfano, ma preferì rinunciare e vincere soltanto la battaglia delle unioni civili, che fare gli svedesi in campagna elettorale va bene, purché si facciano le cose a modino.
Al netto della narrazione catastrofista che vorrebbe l’Italia irrimediabilmente perduta e del benaltrismo per cui il welfare altrui è ben altra cosa rispetto al nostro, pare che essere cittadini italiani valga ancora qualcosa.
Lo ius soli proposto alla Camera non era certo il cavallo di Troia dove nascondere l’esercito di donne incinte provenienti da Paesi stranieri come Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno fatto credere. Era un blando ius soli “temperato”, più che una legge-rivoluzione, una legge-matita che prevedeva in punta morbida la cittadinanza per nascita a chi fosse nato in territorio italiano da genitori stranieri, dei quali almeno uno con un permesso di soggiorno Ue a lungo periodo. Per scongiurare l’orda di temibili anchor-babies scodellati in Italia con il solo obiettivo di tirarsi dietro parenti e zii mediante la pratica del ricongiungimento familiare (refrain, questo, della destra più facilona sin dai tempi della legge Bossi-Fini) si sarebbe potuto ridiscutere della burocrazia e stabilire ulteriori margini di miglioramento alla legge. Non lo si è fatto. Forse piace l’idea di cospargere il mondo di cittadini italiani; diverte il John Caligiuri di turno della famiglia che della lingua di Dante conosce solo la parola “pizza”, non ha mai vissuto in Italia, ma può girare in Unione Europea e votare per il Parlamento di Roma grazie allo ius sanguinis offertogli da zio Beppe di Catanzaro.
Più gattopardisti del Gattopardo, in Italia si è insomma tacitamente deciso che tutto deve cambiare perché tutto resti come prima. Capita così di assistere alle prove muscolari di un ministro dell’Interno che schernisce un ragazzino suo malgrado protagonista di un evento tanto assurdo da consentirgli di usare la popolarità derivatagli come vuole, chiedendo ciò che vuole, a chi vuole, inclusa la cittadinanza italiana a Matteo Salvini.
Accade che Beppe Sala, la cui elezione sollevò dubbi più a sinistra che a destra per via del consenso fra gli elettori (italiani, sì, ma pur sempre cinesi) del quartiere Sarpi, spinga più a sinistra di tutti quanti i componenti del Pd riuniti, al punto da rivolgersi, lui, sindaco, al Parlamento per rimettere al centro l’introduzione dello ius soli. Succede persino di vedere il centrosinistra cercare di ottenere la propria cittadinanza (politica e non solo) riprendendo in mano la cittadinanza degli stranieri, alla maniera di quelli che amano ripescare di tanto in tanto fotografie di vecchi flirt e chiedersi al calar del sole (magari all’opposizione, magari in vista delle europee) come sarebbe potuta andare a finire la storia “se”. Sfortuna vuole che la politica e l’amore non si facciano con i “se”.