La piazza piena di Milano è la vera opposizione a Salvini (se non si specchia nella sua diversità)

250mila persone che sfilano per la società aperta sono una notizia, comunque la si pensi. Ora però la ricca Milano deve saldarsi col resto del Paese. Se lo farà, abbiamo un’alternativa al populismo sovranista

Già è iniziata, da sinistra, la gara a chi è più cinico a colpi di frasi fatte e di luoghi comuni. Quello delle piazze piene e delle urne vuote, per dire che 250mila anime che sfilano a Milano per la società aperta e contro il neo-nazionalismo di Matteo Salvini sono in realtà l’attestazione di una sconfitta. Quello di Milano che non è l’Italia, città snob, ricca e fighetta, e che quindi può permettersi di manifestare in favore degli stranieri perché non conosce la disoccupazione e la miseria.

Tutto vero, per carità. Vero che Salvini farà il botto alle prossime europee – l’ultimo sondaggio di Eurostat gli consegna il 35% – e vero anche che Milano è la città più ricca e in salute d’Italia e che il prodotto interno lordo di quella piazza duomo piena di gente, probabilmente, è da solo superiore a quello di una qualunque regione meridionale. Il fatto che sia tutto vero, però, non vuol dire che sia stato sbagliato scendere in piazza, né che sia stato sbagliato il messaggio con cui si è affermata l’alterità culturale dall’agenda governativa a trecentosessanta gradi.

Ieri la piazza di Milano ha dimostrato soprattutto questo: che è possibile mettere assieme mondi e istanze diverse. Se quella piazza riuscirà a parlare al resto del Paese, senza specchiarsi troppo nella sua alterità, nella sua diversità, nel suo sentirsi migliore, Salvini avrà un’opposizione degna di questo nome. E l’Italia, finalmente, un’alternativa

Nella piazza di Milano, al grido di Prima le persone, c’era l’Italia dei diritti sociali e quella dei diritti civili, chi si batte per aprire i porti e chi contro il decreto Pillon e l’omofobia. C’era l’Italia che vuole più Europa, ma anche più welfare, per tutti, senza dare per acquisito che il futuro sarà una guerra tra poveri con la pelle di colore diverso. C’era l’Italia che rifiuta la chiusura autarchica delle radio che trasmettono solo musica italiana, ma anche quella che rifiuta un’autonomia territoriale come secessione dei ricchi. C’è l’Italia che non si rassegna all’idea del declino, ma anche quella di una nuova coscienza ambientalista. Non necessariamente l’Italia migliore, né l’Italia che si definisce tale: semplicemente, l’Italia che, nel terzo millennio, riesce ancora a credere di poter sopravvivere senza perdere l’anima.

Non sarà semplice convincere il resto dell’Italia, a partire da quella piazza, ma non è nemmeno impossibile. Perché quella piazza si oppone a un governo, a un’agenda politica, che sta mostrando tutti i suoi limiti. Che vietare la mensa ai bambini stranieri non migliora le condizioni materiali dei terremotati. Che il protezionismo a la Trump fa più male dei mercati aperti e della globalizzazione. Che la povertà non la abolisci gettando dei soldi dall’elicottero, ma ricostruendo una comunità nazionale che non escluda nessuno. Che l’incompetenza non è la risposta al fallimento delle élite. Che la ricchezza di un Paese non la ricostruisci a colpi di invidia sociale, soprattutto se è rivolta a chi ne sa di più o a chi non ha nulla.

Quella che Salvini sta producendo, non sappiamo quanto consapevolmente, è una risposta uguale e contraria alle sue forzature, alla sua violenza verbale, alla sua agenda di estrema destra. L’errore rischia di essere lo stesso che fece Renzi: pensare che l’enorme minoranza che sta con lui per una maggioranza. Sottovalutare l’eventualità che chi si oppone a lui e alla sua agenda rimanga frammentato, che non si coaguli. Ieri la piazza di Milano ha dimostrato soprattutto questo: che è possibile mettere assieme mondi e istanze diverse. Se quella piazza riuscirà a parlare al resto del Paese, senza specchiarsi troppo nella sua alterità, nella sua diversità, nel suo sentirsi migliore, Salvini avrà un’opposizione degna di questo nome. E l’Italia, finalmente, un’alternativa.

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