Ricoprono il 36,4% dell’intero territorio nazionale, pari a quasi 11 milioni di ettari. Le foreste italiane crescono velocemente di anno in anno. Un “patrimonio verde” che avanza, ma non certo per le politiche forestali illuminate che abbiamo messo in campo: semplicemente perché gli alberi, che lo si voglia o no, finiscono per ricoprire le aree incolte e abbandonate nella corsa verso le città. Prova ne è il fatto che abbiamo dovuto aspettare il 2019 per avere il “Primo rapporto nazionale sullo stato delle foreste e del settore forestale” del ministero delle Politiche agricole, grazie al Testo unico approvato nella legislatura precedente, che d’ora in avanti obbliga i governi a stilarlo annualmente. Fino ad oggi, come spiega Raoul Romano, ricercatore del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) – che ha contribuito alla realizzazione del rapporto – «le politiche forestali sono state fatte a macchia di leopardo, senza una base conoscitiva unica». Né una strategia nazionale di settore.
«Da Lampedusa alle Dolomiti, l’Italia ha una quantità di specie diverse pari a quella che si incontra dal Nord Africa al Circolo polare artico», ricorda il Crea. Ma solo il 9% delle foreste è certificato. E nonostante i 10,9 milioni di ettari di boschi, il settore della produzione di legno è in ginocchio. Non solo non abbiamo imparato ancora a preservare e a gestire al meglio le foreste, insomma, ma neanche a sfruttarne le risorse in maniera sostenibile.
I prelievi di legno nelle foreste italiane si fermano infatti tra il 18 e il 37%, contro una media europea del 62-67%. E ancora una volta non per particolari politiche nazionali anti-disboscamento. Ma perché dipendiamo dai boschi esteri, dove semplicemente sono organizzati meglio di noi. O, peggio, dove le foreste vengono distrutte, o magari fiorisce il commercio illegale. «Siamo uno dei Paesi con il minor tasso di utilizzo delle foreste», dice Romano. «Eppure si può aumentare il prelievo legnoso in modo sostenibile, in modo che le foreste continuino a rinnovarsi e a vivere, aiutando il settore ma anche alleggerendo l’utilizzo legnoso in altre parti del mondo».
Le importazioni di legno in Italia arrivano soprattutto dall’Est Europa, ma anche dal Centro Africa, in particolare dalle zone oggi più interessate dalle emigrazioni. E spesso la vendita di legname illegale è fonte di acquisto di armi, proprio nelle aree più colpite dalle guerre
L’Italia risulta oggi al terzo posto in Europa (dopo Regno Unito e Germania) per importazione di legno, con più di 20 milioni di tonnellate di materiali importati, in gran parte dai Paesi extraeuropei. Una sproporzione che crea un danno non solo all’economia nazionale – dove le imprese della selvicoltura sono diminuite del 25,9% e gli occupati delle 33,3% dal 2008, con la scomparsa delle segherie per la trasformazione del prodotto grezzo. Ma anche ai Paesi dai quali arrivano i materiali, vista l’enorme area grigia che esiste nell’import di legno, con il rischio di contribuire alla distruzione delle foreste altrui, oltre che al commercio di legname illegale. «Le importazioni di legno in Italia arrivano soprattutto dall’Est Europa, ma anche dal Centro Africa, in particolare dalle zone oggi più interessate dalle emigrazioni», spiega Romano. «E spesso la vendita di legname illegale è fonte di acquisto di armi, proprio nelle aree più colpite dalle guerre».
Secondo una stima di Federlegno e Conlegno, il 30% del legname importato nel vecchio continente dai Paesi extra Ue sarebbe infatti di provenienza illegale. E l’Italia, che è il primo esportatore in Europa di prodotti di legno finiti, ma con materiali di provenienza estera, fa la sua parte. Il regolamento Eutr (European Union Timber Regulation) è entrato in vigore nel 2014 per sviluppare un sistema di certificazione della provenienza legale del legno importato. Ma ad oggi solo 3mila delle 20mila aziende italiane interessate (tra le 12mila del settore carta e le circa 8mila del legno-arredo) si sono adattate. Proprio lo scorso dicembre, Federlegno emanava una circolare in cui consigliava di sospendere l’importazione di legno di teak dal Myanmar, dopo la segnalazione dell’ingresso di legnami illegali in Italia provenienti dal Paese.
I cambiamenti climatici vanno affrontati: bisogna pensare diversamente alla tutela delle nostre foreste, ringiovanendole con alberi di classi d’età differenti e boschi misti
E se tagliamo poco gli alberi, non significa che l’Italia abbia adottato politiche lungimiranti sul fronte della tutela delle foreste. Gli incendi boschivi sono aumentati: solo nel 2017 sono andati a fuoco 162.363 ettari. E nel 2018, tra Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino, la tempesta Vaia ha abbattuto più di 8 milioni di metri cubi di alberi. «Finora le Alpi ci avevano protetto», ha spiegato Alessandra Stefani, direttore generale del ministero delle Politiche agricole. «Nel 2015 c’era stato un campanello d’allarme in Toscana con la distruzione di diversi ettari di bosco, ma siamo stati un po’ sordi e un po’ ciechi. I cambiamenti climatici vanno affrontati: bisogna pensare diversamente alla tutela delle nostre foreste, ringiovanendole con alberi di classi d’età differenti e boschi misti».
Che può significare quindi prelevare maggiori quantità di legno. Basta saperlo fare. «Il bosco va tagliato, curato, gestito e pulito», ricordano gli addetti ai lavori. Dal governo si sta pensando all’introduzione di nuovi incentivi fiscali per le imprese del settore. Mentre i sindacati, come la Uila, chiedono di riaprire il turnover dei forestali «perché in intere aree boscate non c’è più un operaio forestale e l’età media è altissima». Senza dimenticare che solo 11 Regioni su 21 hanno adottato l’obbligo di una formazione specifica per lavorare nei boschi. Le foreste italiane avanzano veloci, le politiche forestali molto meno.