Uno si impegna a fare buoni studi, cercare ottimi lavori, cesellare il curriculum in modo certosino. Ai colloqui di lavoro cerca di mettere in mostra le proprie qualità, senza esagerare né nelle lodi di sé né nella modestia, studia per bene l’azienda, domina la propria agitazione, finge scioltezza, si veste a modo, si presenta perfetto. E poi, si scopre, la manager ha una regola d’oro per decidere se assumerà o no il candidato: “Se dopo l’incontro non scrive una lettera di ringraziamento, allora è no”. Possibile?
Lo ha scritto, in un articolo sui suoi dieci anni di esperienza da executive managing editor di Business Insider, Jessica Liebman. Per lavoro ha incontrato centinaia e centinaia di persone, ha sostenuto colloqui su colloqui, ha dovuto imparare a giudicare, a capire in pochi minuti se quella che aveva di fronte fosse la persona giusta. Alla fine, scrive lei, si è sempre attenuta alla sua regola d’oro. La lettera di ringraziamento.
La confessione, come è intuibile, ha suscitato diverse proteste, lamentele e critiche. Alcuni si sono limitati a prendere in giro la cosa:
Altri, invece, hanno fatto notare come la questione della “regola d’oro” fosse in sé sbagliata. Da un lato riduce una questione complessa come la valutazione di una persona a una semplice abitudine, dall’altro perpetua una situazione/posizione di potere da cui, a quanto pare, Jessica Liebman non intende scollarsi. E, infine, valuta una persona per una posizione lavorativa su meriti che di lavorativo non hanno niente.
Lei si giustifica spiegando che, al contrario, inviare lettere di ringraziamento dimostra una mentalità organizzata, attenta, educata e, soprattutto, dimostra che la persona in questione vuole davvero il lavoro. Sarà così? O è solo un ennesimo filtro non dichiarato – e perciò sleale – con le aziende selezionano chi vogliono loro? Nel dubbio, candidati in giro per il mondo, scrivete lettere di ringaziamento. Male non farà.