Una cosa è certa. Le parole del vicebrigadiere Francesco Tedesco per Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, significano verità. “Quella che è stata dal primo istante, dal momento in cui ho visto mio fratello morto sul tavolo dell’obitorio in quelle condizioni terribili, e che per tanti anni è stata negata in tutte le maniere”. Un capolinea di una storia che andava avanti da troppo tempo. Nove anni sono passati da quella notte, nove anni di rinvii, processi, consulenze e perizie, senza però mai giungere a una soluzione.
Il film “Sulla mia pelle” è stato il detonatore, ma chi con tenacia e coraggio ha saputo districare la matassa di fili affinché la nuda realtà dei fatti potesse esplodere e cambiare le sorti del processo, è sicuramente lei. “Mi sento di rivolgere un appello a chi dovrà decidere le sorti di questo processo: di non fare sconti a nessuno. Perché il segnale che bisogna dare, è un segnale per tutti i cittadini”.
Ilaria Cucchi, cosa significa la confessione del vicebrigadiere Francesco Tedesco?
Significa la verità. Ai miei occhi, quella che è stata dal primo istante, dal momento in cui ho visto mio fratello morto sul tavolo dell’obitorio in quelle condizioni terribili, e che per tanti anni è stata negata in tutte le maniere, anche le più bizzarre volendo far passare il concetto che tutto sommato Stefano era morto di suo. Le parole del carabiniere Tedesco, che era presente la notte dell’arresto di Stefano, raccontano in maniera dettagliata quel violentissimo pestaggio. Cosa significa? Dal punto di vista emotivo ha su di noi un impatto enorme, devastante. Riascoltare la descrizione della brutalità che è stata usata su Stefano ha fatto male a me come sorella e ancora di più ai miei genitori. Li guardavo in fondo all’aula e cercavo i loro sguardi, cercavo di capire come riuscire a consolarli, ma in realtà una maniera non c’è.
Perché secondo lei arriva dopo ben 9 anni dalla morte di suo fratello? C’entra anche il film “Sulla mia pelle”?
Sicuramente il film ha dato un contributo importantissimo a tutta la nostra vicenda nel momento in cui gli ha dato una dimensione umana. Mi spiego meglio. Il film ha tolto Stefano dalla dimensione del caso Cucchi a cui era rilegato, e l’ha reso, agli occhi di tutti coloro che l’hanno visto, un essere umano. Quello che era. Mio fratello non era un caso giudiziario, non era il numero 148 dei morti in carcere fino a quel giorno del 2009. Era un essere umano, di cui sono stati violati tutti i diritti, ed è morto come l’ultimo tra gli ultimi. Questo film è qualcosa di eccezionale, è stata un’onda che continua ancora oggi a distanza di mesi e mesi dall’uscita. È stato uno strumento importate per rendere questa storia alla portata di tutti.
Oggi quindi possiamo dirlo perché la verità arriva dopo nove anni, perché fin da principio, fin dalla morte di Stefano, si sono messi in piedi depistaggi e falsi che hanno fatto in modo di far uscire immediatamente di scena i carabinieri coinvolti. Quei carabinieri che oggi invece sono sul banco degli imputati in questo processo. I loro superiori, ripeto, fin da subito hanno messo in piedi non solo i depistaggi, ma hanno scritto quelle che sarebbero state le sorti del processo, quel primo processo sbagliato che, come disse Fabio Anselmo durante l’udienza preliminare, ci ha portato al massacro. Queste persone hanno addirittura redatto, nero su bianco, prima ancora che venisse nominato il Consulente Paolo Arbarello della Procura, quelle che poi sarebbero state le conclusioni della consulenza.
Mio fratello, possiamo dire, è morto anche di indifferenza
L’Arma ha deciso di costituirsi parte civile, nonostante per circa dieci anni i suoi vertici abbiano negato ogni accaduto. Avrebbe preferito le dimissioni di Nistri o l’imputazione della responsabilità penale ai soli diretti interessati?
Non vedo perché dovrei augurarmi le dimissioni del generale Nistri, proprio nel momento in cui dimostra non solo la sua vicinanza umana alla nostra famiglia e alla nostra vicenda, ma fa un passo in più decidendo di essere al nostro fianco, di schierarsi per la verità. Ritengo che questo sia un segnale enorme ed estremamente significativo, che ci toglie dall’isolamento e da quel senso di frustrazione sorto dopo essere stati traditi per anni dalle istituzioni. Sono segnali importantissimi anche per tutti i carabinieri per bene che quotidianamente svolgono il loro lavoro, con enorme passione e dignità e anche con enorme sacrificio nel nostro interesse. E la cui divisa non deve essere infangata da persone che sbagliano.In questi anni di battaglia e di sofferenza, si sarà fatta un’idea sul sistema carcerario italiano…
Dieci anni fa io non sapevo nulla o quasi nulla della realtà carceraria, se non per sentito dire. Ascoltavo del problema delle carceri in maniera distratta, come una cosa che non mi avrebbe mai riguardata. Poi sono cresciuta, sono diventata mamma, continuando solamente ad ascoltare quel problema. Nel frattempo poi mio fratello di carcere è morto. Oggi so cos’è quella realtà, ed è una realtà terribile, nella quale la cultura del rispetto dei diritti umani non è nemmeno contemplata, nella quale può accadere che un detenuto sia costretto a subire soprusi quotidiani nel disinteresse generale. Quel disinteresse di tutti coloro che in quei giorni hanno visto Stefano, e non hanno avuto la volontà o la capacità di guardare oltre il pregiudizio e vedere in quel detenuto un essere umano. Mi riferisco a tutti, circa 150 pubblici ufficiali che in quei tre giorni hanno avuto a che fare con mio fratello e non hanno fatto nulla per fermare quella catena di eventi che l’avrebbe portato poi a morire. Mio fratello, possiamo dire, è morto anche di indifferenza.Cosa la preoccupa di più dei prossimi passaggi giudiziari?
In questo momento mi sento molto serena. Sappiamo che la verità è arrivata ed è innegabile. Ho estrema fiducia nella procura di Roma, chiaramente mi rendo conto che è un percorso difficile ed è vero anche che in questi dieci anni ne ho viste tante, tra consulenze e perizie, in grado di scrivere il percorso e le sorti dei processi. Quindi io mi sento di rivolgere un appello a chi dovrà decidere le sorti di questo processo: di non fare sconti a nessuno. Perché il segnale che bisogna dare, e che in qualche maniera stiamo dando con questa battaglia di civiltà, è un segnale per tutti i cittadini che hanno bisogno di poter tornare a credere nella giustizia e nelle istituzioni. Questo può definirsi un momento di ricucitura tra i cittadini e lo stato.Ci sono stati momenti davvero difficili, ma non ho mai pensato di fermarmi
Ha ripetuto spesso di aver avuto paura per la sua incolumità. Ha mai ricevuto minacce in questi anni?
Sono stata coperta di insulti, e oltre gli insulti, non molto tempo fa sono cominciate ad arrivare anche le minacce. Non a caso nel momento in cui stiamo affrontando un processo finalmente vero.Cosa pensa invece delle dichiarazioni dell’ex senatore Carlo Giovanardi?
Sinceramente non vorrei commentare Carlo Giovanardi. Cosa dire? Giovanardi continua a parlare fuori luogo, non si rende conto neanche del contesto in cui siamo. In realtà il quadro che è emerso è completamente diverso da quello che sostiene lui. Abbiamo portato decine e decine di testimonianze sul fatto che Stefano stava bene, che non era stato abbandonato dalla famiglia, fermo restando che se anche così fosse, nulla c’entra con quello che gli è stato fatto. Né possiamo essere ritenuti noi i responsabili. Se poi vogliamo continuare a parlare della magrezza e della fisicità di Stefano, allora qualcuno dovrebbe spiegare ai vari Giovanardi che la magrezza di mio fratello, così come la mia, non è da considerarsi un’attenuante, ma semmai un’aggravante.Mi tolga una curiosità, il ministro Salvini alla fine l’ha invitata?
Il ministro Salvini è un’altra di quelle persone che continua a fare sempre i soliti commenti, come per esempio quello di dire che non andrà mai contro le forze dell’ordine, cercando così di far passare il concetto che io sia un antipolizia, quando, come mi riconosce lo stesso Nistri, ho sempre fatto un lavoro opposto.Ha mai pensato di arrendersi durante questo lungo percorso?
Mai. Ci sono stati momenti davvero difficili: la mia vita è devastata, così come lo è quella dei miei genitori e anche dei miei figli. Ma non ho mai pensato di fermarmi. Semplicemente perché sapevo di esser nel giusto, e volevo arrivare al punto di costringere la giustizia ad essere rigorosa anche con se stessa.