Nessuno può pensare di essere acculturato se non ha dato almeno uno sguardo a questa splendida raccolta di testi e manoscritti persiani messi in rete dalla Biblioteca del Congresso americano. Una collezione di 150 opere (tra manoscritti, manoscritti miniati, litografie e libri) delle quali possono risalire fino al 13esimo secoacquisita dall’istituto americano durante gli anni ’30 a opera del mercante d’arte Kirkor Minassian, esperto di antichità islamiche e mediorientali.
L’iniziativa, che ha il pregio di mostrare un mondo, una cultura e una civiltà che spesso (soprattutto negli Usa) viene spesso ridotta ai peggiori stereotipi sulla nazione attuale iraniana, è nata nel 2014, in seguito alla mostra di 40 esemplari della collezione. I più interessanti, certo, ma anche quelli meno fragili: alcune delle opere erano troppo delicate per essere esposte al pubblico. La digitalizzazione, invece, permette di superare anche questo problema.
Si potrà, tra le altre cose, ammirare lo Shah Nameh, epica nazionale persiana scritta dal poeta Firdusi intorno all’XI secolo, racconto che va dalla creazione del mondo (opera dalla vasta portata, si nota), fino alla conquista islamica del Paese avvenuta nel VII secolo. Oppure la Shah Jahan, di trecento anni dopo, scritta sotto il dominio di un imperatore della dinastia Moghul. Si tratta, in ogni caso, di opere varie, in un insieme eterogeneo e complesso, ricco di tradizioni e contributi. Il trait d’union è la lingua persiana, ma gli autori possono essere indiani, turchici, provenienti dall’Asia centrale.
Un solo sguardo, appunto, basta per comprendere la ricchezza di un mondo e di una cultura, al centro di un continente e in mezzo a vie di scambio e di comunicazione. Da cui, forse, ancora molto c’è da imparare.