Omicidio di Cardito, le maestre sapevano delle botte: ecco il lato peggiore della nostra omertà

Quando un padre ammazza di botte un bambino è una dolorosissma tragedia privata. Quando la scuola sa delle percosse e non dice nulla, è una tragedia pubblica che interroga tutti noi. Perché l’omertà è un male più profondo e diffuso di quanto crediamo

C’è questa storia difficile da raccontare perché è la tragedia di un bambino di 7 anni, Giuseppe, ammazzato di botte dal patrigno e si sua sorella di 8 anni, Noemi, che per miracolo non ha fatto la stessa fine. E tuttavia bisogna raccontarla perché non è solo una vicenda di ordinaria bestialità di un padre-padrone e di una madre sottomessa fino alla complicità, ma anche di un gruppo di maestre che capiscono tutto, vedono lividi e botte, ascoltano le denunce dei bambini, e si girano dall’altra parte.

La scuola è un’elementare pubblica, si chiama Salvatore Quasimodo, sta a Cardito in provincia di Napoli, il posto dove i figli dovrebbero essere “pezzi di cuore”. Giuseppe è morto per le percosse il 27 gennaio scorso. Subito dopo aver arrestato i genitori, gli inquirenti hanno messo sotto controllo i telefoni delle insegnanti. Le intercettazioni, diffuse ieri, hanno rivelato una totale consapevolezza degli abusi commessi sui bambini, in ogni orribile dettaglio (che per compassione e pudore è superfluo riportare). Le maestre sapevano tutto, lo sapevano da mesi perché Noemi lo aveva raccontato, e non hanno alzato un dito. I microfoni le hanno seguite fino alla sala d’aspetto del commissariato dove sono state di recente interrogate: ridacchiavano concordando la versione che avrebbero dato agli inquirenti.

Strilliamo ogni giorno contro il degrado e l’ingiustizia, ma quando degrado e ingiustizia si presentano in carne e ossa, sotto forma di due bambini picchiati ogni giorno, e richiede un minimo atto di coraggio non è affar nostro

L’omertà è sempre una scelta incivile, ma c’è qualcosa di disgustoso e infame nel silenzio di un adulto che sceglie di non difendere un bambino, e se quell’adulto è una maestra di scuola elementare – per tradizione figura di riferimento, “vice-mamma”, oltrechè pubblico ufficiale con tutte le responsabilità connesse – siamo sulla soglia della disumanità. Una disumanità collettiva perché le insegnanti erano più d’una e anche la dirigente scolastica era stata certamente raggiunta dalla notizia delle ripetute tumefazioni dei fratellini, peraltro attribuite (da una nota alquanto reticente della maestra di Noemi) a “incidenti avvenuti in casa”.

Il caso di Cardito ci dà la misura di quanto profondamente abbia scavato nel costume nazionale la regola del “fatti gli affari tuoi”. Ne abbiamo tutti riso quando a enunciarla era Antonio Albanese-Cetto La Qualunque, facendone il mantra della politica stracciona e predatoria, ma magari fosse finita lì, nel recinto delle avventure elettorali più spregiudicate. Il “fatti gli affari tuoi” è sgocciolato giù per i rami della costruzione sociale, si è fatto cultura condivisa, insieme con l’idea che la vita non debba prevedere fastidi, scocciature. Strilliamo ogni giorno contro il degrado e l’ingiustizia, ma quando degrado e ingiustizia si presentano in carne e ossa, sotto forma di due bambini picchiati ogni giorno, e richiede un minimo atto di coraggio non è affar nostro. Non interpella noi. Ci penserà qualcun altro, che vuoi metterti nei guai?

Pochi giorni fa è stata approvata in Commissione la legge che riporterà l’educazione civica a scuola, 33 ore curricolari con voto in pagella, fin dal prossimo anno scolastico. Ecco, il corso dovrebbe essere reso obbligatorio innanzitutto per gli insegnanti, per ricordargli obblighi e responsabilità del loro ruolo, che sarà malpagato, sottostimato, difficile, ma non può essere ridotto alla somministrazione burocratica di informazioni didattiche. Il “fatti gli affari tuoi” possiamo accettarlo ovunque ma non a scuola, chi lo usa come filosofia di vita deve aver chiaro che è meglio cambiare lavoro e andarsene alle Poste o a programmare computer. I bambini sono esseri rari e preziosi, tutti, sempre, a prescindere da ogni condizione. Chi non lo capisce non merita di occuparsi di loro.