SinistraZingaretti, la festa è già finita: per il Pd è di nuovo resa dei conti

Tra i sondaggi si certifica il rallentamento dei dem. Il caso della sanità in Umbria e le divisioni interne al partito, poi sono altre gatte da pelare per il neo-eletto segretario Pd Zingaretti. Tanto che alle europee rischia perfino di non arrivarci, boicottato dalle minoranze interne

GABRIEL BOUYS / AFP

Tira un’aria strana al Nazareno. Un’aria che non piace per nulla al segretario Nicola Zingaretti. Un mese e mezzo dopo il bagno di folla delle primarie e la repentina crescita nei sondaggi, che ha fatto gridare al “sorpasso sul Movimento 5 Stelle”, la bolla sembra già essersi sgonfiata. Le rilevazioni degli istituti di ricerca (in particolare quella di Ipsos per il Corriere della Sera) certificano il rallentamento, con il Pd che fatica ad arrivare al 20 per cento, i Cinque Stelle in linea di galleggiamento e la Lega accreditata del doppio dei consensi dei dem.

Di certo non ha aiutato l’esplosione del caso sanità in Umbria, con gli arresti del segretario regionale Gianpiero Bocci e dell’assessore Luca Barberini, che hanno portato alle dimissioni (ancorché da confermare) della presidente della Regione Catiuscia Marini. Ma, oltre a questo, c’è qualcosa di più profondo ad agitare i sonni del leader dem. Due questioni, in particolare. La prima è legata a fattori esterni, alle difficoltà nel trovare uno spazio dentro la dialettica tra Lega e Cinque Stelle. La seconda è tutta interna, ed è il male che hanno dovuto affrontare tutti i leader del Pd: le laceranti divisioni interne. Va da sé che i due aspetti finiscono per intrecciarsi tra loro, con effetti negativi per la “narrazione” del nuovo Pd, costruita sulle parole d’ordine “unità e cambiamento”.

Partiamo dal primo punto. Quella che al Nazareno considerano una strategia elettorale, ossia l’ostentato scontro nella maggioranza tra “gialli” e “verdi”, sta dando i suoi frutti. “Il più importante dei quali – osserva un parlamentare che alle primarie ha sostenuto Zingaretti – è la sostanziale estromissione del Pd dal dibattito pubblico. Lega e M5s giocano tutte le parti in commedia e, anche grazie all’eco mediatica fornita dalla Rai e dagli altri media neo-sovranisti, finiscono per cannibalizzare tutti i temi del confronto politico, compresi quelli più cari al Pd”.

La fatica dei dem ad inserirsi in questo sofisticato meccanismo messo in piedi dalle forze di maggioranza è testimoniato anche dalla difficoltà crescente che il nuovo corso sta incontrando nella diffusione dei propri contenuti e delle proprie idee sui social network. Solo pochi giorni fa l’ex responsabile della comunicazione social del Pd renziano Alessio De Giorgi dava ampio risalto, con una punta polemica neppure troppo nascosta, al fatto che Zingaretti, a livello di interazioni ed engagement, come riportato da un’inchiesta dell’Espresso, viene surclassato non solo da Salvini e Di Maio, ma anche da Giorgia Meloni.

Il timore di Zingaretti è che la minoranza stia cercando sostanzialmente di boicottare la campagna per le europee del segretario, con l’obiettivo di raccogliere i frutti di un’altra eventuale debacle elettorale. L’inusuale silenzio dietro il quale si è trincerato Renzi non lascia presagire nulla di buono

Ed è proprio sui rapporti con l’area renziana che si concentrano le preoccupazioni maggiori di Zingaretti. “Nicola – ci rivela la nostra fonte – non si aspettava un’ostilità così marcata fin da subito, invece deve fare i conti anche lui con la malattia del Pd“. In particolare sono tre i dossier sui quali la frastagliata minoranza dem ha cominciato a storcere il naso. Il primo è coinciso con la scelta di Zingaretti di aprire le liste del Pd ai fuoriusciti di Mdp, andando a toccare il nervo scoperto dei renziani, che hanno ancora nella testa e negli occhi il famoso brindisi con cui Roberto Speranza e compagni hanno festeggiato la vittoria del No al referendum costituzionale del dicembre 2016.

Il secondo tema che ha provocato non pochi malumori è stata proprio la gestione del caso Umbria. La richiesta di dimissioni, seppure indiretta, che Zingaretti ha rivolto a Catiuscia Marini non è affatto piaciuta ai renziani, che temono il ritorno di una impostazione politica giustizialista (in stile M5s, per capirci). Tanto che c’è chi non esclude che proprio Anna Ascani, plenipotenziaria dei turborenziani in Umbria, possa guidare una fronda che si opporrebbe alle dimissioni della presidente.

E infine c’è la questione segreteria, un vero rompicapo per Zingaretti. Il tema più delicato è gestire l’implosione dell’area che alle primarie ha appoggiato Maurizio Martina. Quella parte di minoranza si è spaccata in varie correnti, la più numerosa delle quali fa capo a Luca Lotti e Lorenzo Guerini, che ora rivendicano il loro diritto ad essere rappresentati tra i vertici della dirigenza dem. Al momento, infatti, il capogruppo al Senato Andrea Marcucci fa capo direttamente a Renzi, quello alla Camera Graziano Delrio è legato a Martina, mentre i due vicesegretari nominati (Andrea Orlando e Paola De Micheli) sono espressione diretta della maggioranza dem. Il rischio di dove rispolverare il vecchio manuale Cencelli per la formazione della segreteria è più concreto che mai.

Alla luce di tutto questo, il timore di Zingaretti è che la minoranza stia cercando sostanzialmente di boicottare la campagna per le europee del segretario, con l’obiettivo di raccogliere (molto prima del previsto) i frutti di un’altra eventuale debacle elettorale. In questo senso, l’inusuale silenzio dietro il quale si è trincerato Renzi non lascia presagire nulla di buono.

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