La produzione televisiva locale lasciava a desiderare. Trame mediocri, idee noiose, volgarità ed esecuzioni dozzinali rendevano il pubblico più cupo e meno divertito. Poi, verso la fine degli anni ’90, arriva la luce: le telenovelas sudamericane.
Non è la storia dell’Italia (anche se…), ma della Romania. Tra tutte le nazioni dell’ex blocco sovietico dell’Est, fu quella che si appassionò di più alle storie strappalacrime, infinite ma tutto sommato credibili provenienti dal mondo latino. Quelle del Nordamerica, al contrario, dipingevano un mondo troppo lontano e distante perché gli spettatori potessero identificarsi. E poi avevano anche altri problemi, molto più urgenti.
Prima di tutto, volevano distinguersi dal “mare di slavitudine” che li circondava. Un senso di unità li legava con il mondo sudamericano e sentivano di esserne depositari. Tra le loro preferite c’era Kassandra, di origine venezuelana. Poi La Usurpadora (storie di tradimento, vendette e motivi drammatici che portano avanti la trama), e tante altre. Alla fine degli anni ’90 la telenovela americana era diventata un argomento di conversazione nazionale, normale, generale. E da lì nasce una piccola nicchia musicale: l’industria della musica romena-latina.
Era la risposta di un Paese che, dopo il crollo del comunismo, smise di improvviso a credere alla propaganda di Stato. Scoprirono di non essere importanti, considerati, invidiati. A quel punto, in crisi di identità, sentirono il bisogno di un rifugio. E le telenovele sudamericane gliene fornirono uno.
Il problema è che, in Romania come in Italia, le telenovele divennero sinonimo di strato sociale basso. Un prodotto che gli intellettuali disprezzavano e deridevano, tanto che “telenovela” divenne perfino un termine colloquiale per indicare una situazione caotica, esagerata e senza senso. “E pensi di farne una telenovela?”. A loro, quelli più chic, piacevano di più i prodotti Usa, diffusi dalle ong che operavano sul territorio per creare una classe dirigente filo-occidentale. La gente, il popolino, preferiva quelle latine: a parte i drammi passionali, raccontavano una società corrotta, piena di difficoltà, ignoranza e conflitti che ricordava loro, molto da vicino, la situazione in cui vivevano. I brillanti sketch di Friends non li riguardavano.
La pervasività dei prodotti sudamericani è rimasta viva nella cultura nazionale rumena. Ancora oggi, le parole spagnole penetrate nella lingua identificano un riferimento culturale, emotivo, di lettura della realtà preciso. Dire “Non mi rompere il cuore”, in Romania, è diverso da dire “Non mi rompere il corazon, chico”. Il tono, il senso, la lettura della realtà cambia. E solo i romeni che hanno vissuto gli anni ’90.