Bionde illegaliSigarette di contrabbando, così è tornato il traffico delle “bionde illegali”

Il contrabbando di sigarette è tornato: con nuovi trucchi, nuove rotte e nuove problematiche. A partire dal buco di quasi 700 milioni nelle casse dello Stato che le accise non pagate lasciano, fino alla questione salute: le "bionde" contraffatte contengono più catrame e monossido di carbonio

Muovendo qualche passo nel centro di Milano, e in particolare sui Navigli, una su tutte tra le particolarità dello spaccato cittadino cattura l’attenzione: la mole di venditori ambulanti di sigarette. In gran parte originari del Bangladesh, i sostituti dei classici tabacchi esibiscono un carnet ridotto di marche a un prezzo maggiorato, anche se il servizio è oramai intrinseco del tessuto urbano e la movida milanese non sporge poi molte perplessità.

Perché se i 6 euro richiesti per un pacchetto di Camel Blue possono sembrare un’esagerazione, tutto sommato si cede all’idea di un compromesso decente in quanto alle spalle c’è pur sempre una ricerca e un prezzo di acquisto dello stesso ambulante di poco inferiore a quello della vendita. Ma siamo certi che quei pacchetti di sigarette, esteticamente conformi alle regole, siano legali? Comprate al tabacchino per circa 5 euro e poi rivendute al minimo guadagno di un euro?

La risposta – non del tutto ovvia! – è no. No, per il semplice motivo che le bionde illegali sono tornate di moda, vestite di nuova livrea (con tanto di frase intimidatoria o immagine shock) ma sempre di contrabbando. Alcune ricerche notificano che oltre 480 miliardi di sigarette all’anno vengono vendute illegalmente sul mercato globale del tabacco: contrabbandate, contraffatte o spacciate in modi comunque in grado di eludere le tasse. Nonostante ciò, sarebbe sconsiderato additare i venditori ambulanti per la gravità di questo fenomeno o arginare esso stesso alla sola Milano da bere.

Accise non pagate che finiscono dritte nella casse delle cosche nostrane: a Napoli è illecito quasi 1 pacchetto su 3 (28%), seguono Palermo (12%), Giugliano (provincia di Napoli, 10%) e Salerno (più del 6%)

Il problema è ben più ampio, come conferma il primo rapporto semestrale del 2018 della Dia: “La presenza stanziale di gruppi criminali di origine straniera sembra tollerata da Cosa nostra, perché s’inserisce in settori illeciti di basso profilo, come ad esempio lo sfruttamento del lavoro nero (specie nel settore della pesca e dell’agricoltura) e della prostituzione, il trasporto e lo spaccio di sostanze stupefacenti, i furti di materiale ferroso e quelli realizzati in abitazioni ed in terreni agricoli, nonché il contrabbando di sigarette”. Un compromesso storico, quindi, con firma in calce della mafia per eccellenza.

Facendo qualche passo indietro, però, grazie allo studio Project Sun della società di consulenza Kpmg, si può constatare come nel 2017 le sigarette contraffatte o di contrabbando in Italia sono state il 4,8% del totale fumato (in miglioramento dal 2016), contro il 17,8% del Regno Unito e il 13,1% della Francia. Niente male, se si guarda i dati europei. Purtroppo non è del tutto vero. I motivi sono due: i 4,8 punti percentuale equivalgono a circa 641 milioni di euro, in aggiunta al fatto che le organizzazioni criminali hanno collaudato un modus operandi nuovo, alieno (o quasi) all’import e più propenso alla produzione fai-da-te, viziando così i dati sulla tracciabilità.

Accise non pagate che finiscono dritte nella casse delle cosche nostrane: a Napoli è illecito quasi 1 pacchetto su 3 (28%), seguono Palermo (12%), Giugliano (provincia di Napoli, 10%) e Salerno (più del 6%). Guardando oltre i numeri, le caratteristiche dei più marcati focolai del contrabbando rimandano molto spesso a luoghi con alti tassi di disoccupazione: in altre parole, le comprano soprattutto stranieri ma anche tanti italiani, all’aumentare del tasso di disoccupazione diminuisce il potere d’acquisto e aumenta, di conseguenza, la ricerca di sigarette illecite a basso costo.

Se si prende in considerazione il contenuto e non più il contenitore, invece, in Italia una sigaretta illecita su due è una “illicit white” (diversa dalle “cheap white”, prodotte negli Stati ex Unione Sovietica, Estremo Oriente ed Emirati Arabi), ovvero sigarette e marchi prodotti lecitamente in Paesi extra Ue e destinati al mercato illecito nei Paesi dell’Ue. Un 50%, sommato al 34% dei grandi marchi venduto nel nostro Paese, rappresentato dalle Regina (25,6%), seguite da Yesmoke (9,5%) e Pine (9,3%); mentre il marchio noto più diffuso nel mercato illecito è Marlboro (36,7%), seguito da Winston (10%) e Chesterfield (6,9%). Nel 2016, secondo alcune statistiche dell’Olaf (l’ufficio europeo per la lotta antifrode), nella Ue sono state sequestrate per contrabbando circa 3,6 miliardi di sigarette, di cui 73.900 in Polonia e 24.200 in Italia (Grecia 54.600, Regno Unito 42.400, Spagna 31.700).

Oltre alla novità dell’industrializzazione a titolo mafioso, con macchinari e manovalanza a basso costo per una produzione di sigarette contraffate made in Italy, il ritorno del contrabbando vede l’ingresso di un nuovo attore dalle fattezze inquietanti: la Libia, e più in generale i paesi nord africani

Ma da dove arriva questo fiume di “bionde”? È difficile rimanere aggrappati all’idea del ben noto doppiofondo nel vano di un Tir, i trucchi sono aumentati così come le tratte battute. Partiamo dai primi. Una nuova acrobazia legislativa, per esempio, è il cosiddetto T1: ovvero un documento informatico ad hoc con cui la dogana europea di ingresso attesta che un determinato prodotto, non commercializzabile in Europa, transiterà attraverso il territorio dell’Ue solo per poi raggiungere un Paese extra Ue. Uno a zero contrabbandieri e cicca al centro.

La carta d’identità delle sigarette, invece, è sempre più difficile da tracciare. Le rotte delle sigarette illecite che attraversate le dogane per giungere in Italia partono principalmente dall’Est Europa (specialmente Ucraina e Bielorussia), dagli Emirati Arabi Uniti, ma anche dal Nord Africa (soprattutto Algeria, Egitto, Libia e Tunisia). Insomma, per i nostalgici via terra resta il mezzo più sicuro ed economico (in quanto in aereo le quantità sono ristrette e il rischio aumenta), con l’aggravante che coinvolge da qualche anno il territorio della Polonia, il quale ospita stabilmente cellule della Camorra dedite alla gestione di tale traffico.

Oltre alla novità dell’industrializzazione a titolo mafioso, con macchinari e manovalanza a basso costo per una produzione di sigarette contraffate made in Italy, il ritorno del contrabbando vede l’ingresso di un nuovo attore dalle fattezze inquietanti: la Libia, e più in generale i paesi nord africani. Sono numerose ogni anno le mercantili cariche di container, con all’interno stecche di sigarette, in partenza dall’Estremo Oriente e con destinazione Libia.

Le sigarette contraffatte possono essere confezionate a mano – e già questo dovrebbe bastare! -, possono contenere livelli molto più alti di catrame e monossido di carbonio e, in alcuni casi, anche arsenico e segatura

Tuttavia, ancora oggi, dopo alcune tappe fuori rotta (come i porti italiani e quelli spagnoli), non si è a conoscenza della destinazione finale di questi trasporti. La logica però non tradisce, come del resto i sequestri della Guardia di Finanza (nei primi sei mesi del 2018 la Gdf sono 112.000 chili i tabacchi esteri sequestrati, il totale nel 2017 erano stati 272.000), per un accordo che ci vede esportare verso la Libia, ma anche importare: “Con riferimento a quest’ultimo ambito, si segnalano gli esiti dell’operazione “Caronte” 210, eseguita il 23 marzo 2018 dai Carabinieri, che ha interessato i comuni della zona occidentale della provincia di Agrigento e la parte orientale della provincia di Trapani. Con la stessa sono stati arrestati 3 siciliani ed un pregiudicato tunisino, facenti parte di un sodalizio criminale e ritenuti responsabili, a vario titolo, di violazione delle disposizioni contro l’immigrazione clandestina nonché di contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Ad un altro indagato è stato notificato l’obbligo di dimora. Gli sbarchi avvenivano sulle coste del trapanese. Sull’imbarcazione, per ogni traversata, venivano trasportate, oltre a circa 1.600 stecche di sigarette, dalle 12 alle 15 persone, ciascuna delle quali pagava dai 4 ai 5 mila euro”. Come notifica il rapporto della Dia, l’interesse a questo tipo di commercio, pertanto, sta interessando anche i paesi affacciato sul Mediterraneo.

Infine, come non pensare alla salute. Senza morali o filippiche genitoriali: secondo una ricerca della British American Tobacco, le sigarette contraffatte possono essere confezionate a mano – e già questo dovrebbe bastare! -, possono contenere livelli molto più alti di catrame e monossido di carbonio e, in alcuni casi, anche arsenico e segatura. Tutto, esclusivamente, compreso nel prezzo (da pagare).

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