Milano armataSveglia, Milano: la mafia spara (e tu, come al solito, fai finta di non vedere)

In pieno giorno e a pochi passi dal centro, hanno sparato in faccia a un uomo con precedenti per questioni di droga. Nella settimana del Fuorisalone, il capoluogo lombardo si scopre ancora affetto da quel virus che è la criminalità organizzata e che, lo si voglia o meno, non si può più ignorare

La settimana del Fuorisalone di Milano si è arricchita ieri di un “evento” fuori programma: due persone, in pieno giorno e a pochi passi dal centro, hanno sparato in faccia a un uomo con precedenti per questioni di droga. L’opinione pubblica è rimasta di stucco: eppure, a ben guardare, non si tratta esattamente di una performance a sorpresa. Bastava leggere una qualsiasi dichiarazioni degli ultimi 5 anni di Ilda Boccassini per accogliere la notizia se non come un fatto normale, come la logica conseguenza di un clima che si respira da anni.

Nel luglio 2016, l’allora procuratore aggiunto e coordinatore della DDA milanese, parlò chiaramente di un asse Sicilia – Lombardia legato alla criminalità organizzata. Pochi mesi dopo la Boccassini parlò di “mafia radicata e in crescita” e dopo qualche mese si scoprì che i clan gestivano addirittura i vigilantes del palazzo di giustizia. Del resto, non più tardi di tre giorni fa, una gioielleria all’ombra del Duomo è stata sequestrata perché sospettata di appartenere al boss Gaetano Fontana.

La mafia, insomma, è una costante nel ricco calendario di “eventi” che caratterizzano Milano, e lo è almeno dal 1974, ovvero da quando Luciano Leggio (o Liggio come divenne famoso), la Primula Rossa di Corleone, il primo Capo dei Capi, venne arrestato in via Ripamonti 166, dove viveva tranquillamente. Tuttavia, della mafia e dei suoi “eventi” milanesi non se ne parla abbastanza e, se lo si fa, il lavoro di pierraggio è spesso scadente: c’è come un imbarazzo di fondo, un pudore a prescindere, o per meglio dire – giusto per chiamare le cose con il proprio nome – una gigantesca dose di omertà che circonda tutto quello che la riguarda.

Certo: ci sono i libri, le inchieste, tutto è ampiamente documentato, eppure – allo stesso tempo – si continua ogni volta a considerare ogni episodio come un caso isolato, un incidente di percorso, una macchia da dimenticare al più presto

Certo: ci sono i libri, le inchieste, tutto è ampiamente documentato, eppure – allo stesso tempo – si continua ogni volta a considerare ogni episodio come un caso isolato, un incidente di percorso, una macchia da dimenticare al più presto per evitare che qualcuno colleghi i puntini e arrivi alla stessa conclusione a cui la Boccassini è arrivata da anni e che va ripetendo fino a sgolarsi: ovvero che oggi, tra le tante cose di cui Milano è diventata capitale, c’è anche la mafia.

Una prova cristallina di questo processo di rimozione l’abbiamo avuta anche ieri: nel riportare i dettagli della vicenda, i giornali si sono occupati dell’uomo rimasto ferito al volto, raccontando di come anni fa fosse stato coinvolto in un traffico di enormi quantitativi di droga destinati ai locali della vita notturna milanese. Sebbene chiunque sappia chi sia a gestire simili quantitativi di droga, e sebbene anche in materia di locali notturni milanesi la letteratura in fatto di mafia sia davvero sterminata nessuno se l’è sentita, nemmeno di passaggio, di nominare quell’innominabile parola di cinque lettere.

È questo l’aspetto più inquietante dell’episodio di ieri: se un fatto del genere fosse accaduto a Roma sarebbe scoppiato l’inferno, e in un tripudio di “Mafia Capitale!” e “Raggi dimettiti” perfino i giornali e le televisioni straniere se ne sarebbero occupate, allo stesso modo in cui si occupano dell’immondizia o delle buche sul manto stradale.

Invece è successo a Milano, e il tutto viene vissuto come un caso eccezionale, del tutto inaspettato e fuori dal tempo. E se esiste questa percezione, nonostante la tonnellata di articoli che rivelano come la criminalità organizzata controlli perfino i baracchini dei panini, lo si deve all’incapacità dell’opinione pubblica di accettare qualunque critica abbia a che fare con Milano.

Che si tratti di mafia, di smog, del degrado delle periferie, dell’aumento del costo della vita, delle frenate moleste della metropolitana, a Milano, da circa un decennio, è impossibile fare i conti con i problemi

Che si tratti di mafia, di smog, del degrado delle periferie, dell’aumento del costo della vita, delle frenate moleste della metropolitana, a Milano, da circa un decennio, è impossibile fare i conti con i problemi. Invece di costituire un punto di partenza per migliorare ancora, la critica alla città viene vista come una diserzione, e chi la esercita come un traditore da mettere al muro.

Ci sono, fortunatamente, le eccezioni – a cominciare da diversi Assessori – ma il grosso dell’opinione pubblica preferisce baloccarsi con una rappresentazione di comodo, dove Milano è l’isola felice di cui essere orgogliosi, dove tutto funziona a meraviglia, da contrapporre a un Paese dove non funziona nulla e di cui vergognarsi. Salvo poi mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi quando puntuali emergono i problemi, come se l’unica emergenza cittadina fosse il famigerato bosco di Rogoredo, in cui ormai c’è un via vai di giornalisti e telecamere che nemmeno sulla Croisette di Cannes durante il festival.

Un simile atteggiamento non solo non fa il bene della città ma diventa estremamente pericoloso, come mostra perfettamente l’agguato di ieri: il livello di impunità che serve anche solo per immaginare – non parliamo poi per mettere in pratica – un’azione come quella di ieri è tale per cui tutta la città, oggi, dovrebbe farsi un esame di coscienza, e domandarsi se non sia il caso di riconsiderare le priorità.

Certo, il fatto che non si trovi mai un Enjoy quando la cerchi è seccante, e così anche la mancanza di parcheggio in Tortona o il fatto che al Bar Basso in questi giorni non ci sia posto nemmeno in piedi: ma forse, un problema ben più grave è che Milano conquisti l’onore delle cronache solo per le fotogallery di vip e pseudo-vip in posa davanti alle installazioni, e non per le indagini e le inchieste che in questi anni si sono ripetute di continuo, da cui Ilda Boccassini ha cercato più volte di metterci in guardia. Quando a Palermo si diceva che il problema vero era il traffico, le cose non finirono benissimo. Bisognerebbe cominciare, una buona volta, ad ammettere che di sbagliato, a Milano, non c’è solo il Negroni.