«È stato aperto un vaso di pandora troppo a lungo chiuso». All’ospedale Silvestrini di Perugia – finito suo malgrado al centro di un’inchiesta che ha sconvolto non solo la sanità umbra ma anche buona parte della classe dirigente del Pd regionale con le dimissioni ieri di Catiuscia Marini – è questa la voce che si rincorre tra medici, dirigenti e addetti ai lavori. Il dubbio che ci possa essere qualcosa che superi addirittura l’ambito politico, emerge dalle stesse carte dell’inchiesta.
Al centro di una rete che avrebbe legami inquietanti anche con la massoneria e la curia perugina, ci sarebbe la gestione del reparto di gastroenterologia. Basta leggere una delle tante intercettazioni agli atti. Mentre è al telefono, il direttore generale dell’azienda ospedaliera Emilio Duca (oggi ai domiciliari), dice: «La gastro (ovvero “gastroenterologia”, ndr) va chiusa (omissis) vanno rinchiusi tutti in galera (omissis), non riesco a togliermi le sollecitazioni dei massimi vertici di questa regione a tutti livelli… ecclesiastici (omissis), ecumenici, politici, tecnici… tra la massoneria, la Curia e la giunta (omissis) non mi danno tregua. E la Calabria unita». Tutti quegli omissis – si vocifera nei corridoi della procura di Perugia – farebbero pensare che l’inchiesta è destinata ad allargarsi su altri tavoli, visti anche i riferimenti proprio a massoneria, curia e «Calabria unita».
Eppure più di qualcuno aveva denunciato come qualcosa proprio in quel reparto non andasse. Specie in fatto di nomine apicali. Il 27 luglio 2018 i consiglieri regionali M5S Andrea Liberati e Maria Grazia Carbonari depositano un’interrogazione. Al centro dell’atto una vicenda alquanto singolare: «Nonostante la Struttura complessa di gastroenterologia dell’azienda ospedaliera di Perugia sia, in accordo con quanto stabilito dalla Convenzione vigente tra Regione dell’Umbria ed Università degli Studi di Perugia, una struttura complessa assistenziale a conduzione universitaria, la stessa, da ben cinque anni, viene diretta da un facente funzione ospedaliero nella persona di un dirigente sanitario di primo livello, che non solo non ha alcun ruolo universitario, ma viene nominato con delibere ripetute del dirigente generale dell’azienda ospedaliera di Perugia senza rispettare le idonee procedure richieste dalle normative vigenti».
La vicenda delle procedure concorsuali sul reparto di gastroenterologia sarebbe stata stralciata e avrebbe dato luogo a nuove indagini, tuttora in corso
Da cinque anni (col 2019, sei anni), dunque, a dirigere quella struttura c’è un facente funzioni senza che sia dato luogo ad alcuna procedura di concorso. A quell’atto, però, la giunta risponde avvalendosi delle parole della stessa azienda ospedaliera che, nelle conclusioni, ritiene come «appare pienamente legittimo l’operato». Liberati e Carbonari, però, tornano all’attacco circa un mese dopo con una seconda interrogazione che si arricchisce di un dettaglio non di poco conto: «Gli scriventi – si legge nell’atto consultato da Linkiesta – sono in grado di produrre documenti che dimostrano che il rettore dell’Università di Perugia ha più volte negato il consenso alla procedura adottata e diffidato l’azienda ospedaliera di Perugia dal proseguire».
Con la conseguenza che «la Struttura complessa di gastroenterologia è stata sottratta all’Università e affidata in modo totalmente privo di trasparenza a un dirigente medico la cui modalità di nomina causano grave danno d’immagine al sistema sanitario regionale e dell’Università». C’è da precisare, tuttavia, che il dirigente facente funzioni non risulta oggi tra gli indagati nell’inchiesta sulla concorsopoli umbra, a differenza del dirigente generale e amministrativo dell’ospedale perugino.
Ma non è finita qui. Secondo quanto risulta a Linkiesta, infatti, la vicenda delle procedure concorsuali sul reparto di gastroenterologia sarebbe stata stralciata e avrebbe dato luogo a nuove indagini, tuttora in corso. Questo risvolto, peraltro, non sorprenderebbe, considerando che dopo gli atti consiliari, Liberati e Carbonari hanno presentato anche un esposto in procura, proprio sulla scia delle denunce raccolte e delle risposte fornite da giunta regionale e azienda ospedaliera. E all’esposto di allora, oggi se ne sarebbero aggiunti altri. Anche da chi avrebbe potuto aspirare alla carica di dirigente della struttura complessa.
Mentre in Calabria ci sono i clan, in Umbria c’è allo stesso modo un meccanismo chiuso e autoreferenziale: entra soltanto chi è parte del sistema
Uno di questi è il professor Stefano Fiorucci, estromesso dalla gastroenterologia per via di pesanti dissidi con Antonio Morelli, il direttore del reparto prima che andasse in pensione sei anni fa. I dissidi tra i due avevano portato a una battaglia anche giudiziaria. Eppure, dopo essere stato scagionato da ogni accusa, Fiorucci doveva essere riassegnato presso la Struttura complessa di gastroenterologia dell’ospedale di Perugia, come chiesto espressamente dal 2013 dallo stesso ateneo perugino. Fiorucci, peraltro, è oggi direttore della Scuola di specializzazione in gastroenterologia dell’ateneo di Perugia, convenzionata proprio con la struttura complessa di gastroenterologia dell’ospedale di Perugia.
Ciononostante da 6 anni a Fiorucci viene impedito tale diritto. Finora l’azienda ospedaliera ha fatto orecchie da mercante. Il risultato? Fiorucci dal 2013 è rimasto assegnato, nonostante non sia un chirurgo, ad una Struttura complessa di chirurgia generale e per di più di urgenza dell’ospedale di Perugia. Il dubbio, a questo punto, è forte: quanto ha inciso quella rete tra massoneria, curia e giunta di cui parla Duca sul reparto di gastroenterologia perugino? A rispondere è il consigliere Liberati: «Mentre in Calabria ci sono i clan, in Umbria c’è allo stesso modo un meccanismo chiuso e autoreferenziale: entra soltanto chi è parte del sistema. Che l’Umbria e in particolar modo abbia forti legami con la massoneria, è fuor di dubbio. La rete è vasta e le responsabilità sono ad ogni livello, non solo politico. Quest’inchiesta investe tutti i poteri».