La ripresa dalla crisi cominciata nel 2008 c’è stata: non si tratta di zero virgola, come molti critici sottolineano riferendosi in particolare ai dati del PIL.
C’è ed è stata visibile soprattutto nell’ambito della riduzione della povertà peggiore, quella che gli analisti chiamano deprivazione materiale grave. Si tratta di quella situazione in cui un individuo non può permettersi quattro su nove tipologie di consumi, tra cui la luce o il riscaldamento, un’auto, una lavastoviglie, la carne, ecc.
Questo tipo di povertà interessava il 14,5% degli italiani nel 2012, il doppio rispetto a due anni prima, ma con il tempo si è arrivati all’8,4% del 2018. Certo: come nel caso di altri indicatori, non siamo ancora tornati ai valori pre-crisi, ma ci siamo avvicinati, con progressi sostanziali proprio tra 2016 e 2018.
Dati Eurostat
Si tratta soprattutto dell’effetto dell’aumento dell’occupazione, oltre che di alcune misure come il REI. Le cose sono migliorate di recente anche in Grecia, dove la situazione era e rimane peggiore, e in Spagna, che però non ha mai sofferto in questo senso allo stesso modo che in Italia.
È chiarissimo il ruolo del lavoro, o meglio della mancanza di esso. Là dove la bassa occupazione rappresenta un problema maggiore, problema tra l’altro particolarmente concentrato geograficamente, ecco che la deprivazione materiale picchia più duro. Appunto, più in Italia che in Spagna, dove il tasso d’occupazione è maggiore e distribuito in modo un po’ più omogeneo. E dove vi è un sistema di welfare che somiglia più a quello tedesco o francese, che infatti non permettono alla povertà grave di arrivare al 5%
Dati Eurostat
Ci sono alcuni elementi che dimostrano quali siano le lacune italiane. Innanzitutto la percentuale di persone in deprivazione materiale cambia in base all’età considerata.
In Italia raggiunge il massimo tra i 18 e i 24 anni, il 10,7%, contro il 7% nel caso degli over 65 e il 7,3% dei bambini.
È anche l’esito di un miglioramento rispetto al 2012 che è stato asimmetrico. C’è stato un crollo della povertà tra i minorenni, in particolare i bambini deprivati tra i 6 e gli 11 anni sono scesi del 60,4%.
Mentre sono diminuiti molto meno quelli nella stessa situazione ma tra i 18 e i 24 anni e tra i 50 e i 64.
Da un lato non possiamo non pensare che a contribuire alla diminuzione spettacolare della povertà infantile sia anche il fatto che ci sono semplicemente meno bambini. Dal 2010 in poi le nascite sono calate, il tassi di fertilità si è ridotto, soprattutto nelle famiglie di stranieri, tra cui i poveri sono molti di più.
Dall’altro lato si conferma l’andazzo italiano, che vede i più giovani, coloro che non hanno ancora cominciato a lavorare, rappresentare l’anello debole della società, il segmento trascurato dalle politiche di assistenza, concentrate sulla terza età, che è quella che meno soffre in realtà di deprivazione materiale. Anche se, va detto, comincia a vedersi una distinzione tra gli ultra sessantenni e i cinquantenni. I secondi godono meno della minore povertà. Tra loro i pensionati sono molti meno di quanti ve ne erano un decennio fa, dopo la riforma Fornero, e la percentuale di disoccupati tra essi è in ascesa
L’Italia è invece il Paese, tra quelli più grandi, in cui di gran lunga vi è stato il maggior miglioramento della situazione dei più anziani, che altrove, per esempio in Francia, hanno visto in aumento la povertà,
Il segmento 18-24 anni è al contrario l’unico in cui il nostro Paese ha fatto peggio della media europea, con una diminuzione della deprivazione inferiore a quella avvenuta nella gran parte degli altri Paesi.
Dati Eurostat
E sono i nuclei composti da una sola persona, single con o senza figli, quelli che più soffrono di questa deprivazione, in particolare se giovani.
A essere meno colpite le famiglie con uno o due figli, probabilmente per lo stesso motivo, perché a fare figli, diciamolo, ora sono soprattutto coloro che pensano di poterselo permettere. Da qui un tasso di fertilità tra i peggiori al mondo.
Ed infatti è il segmento dei nuclei con tre e più figli, quello che presentava una percentuale di poveri maggiore, che oggi appare godere di un miglioramento nettamente superiore a quello degli altri. Oltre a quello dei nuclei composto solo da un adulto sopra i 65 anni, per i soliti motivi.
Dati Eurostat
Dati Eurostat
Insomma, la buona notizia è che la povertà diminuisce, e stava già diminuendo prima dell’introduzione del reddito di cittadinanza, ma in parte è un miglioramento con un retrogusto amaro, perché si nutre del gelo demografico che soffriamo e d’altro canto non cambia la struttura della disuguaglianza che ci portiamo dietro da decenni.
Quella che vede i più giovani, i single, godere meno di questi miglioramenti, e di fatto rimanere sempre più distanti dal resto della popolazione.