Effetti collateraliMigranti, bandi per l’accoglienza deserti. Ecco come le coop ora sfidano Salvini

“Non siamo degli albergatori”. Dopo i tagli e gli stravolgimenti del decreto Salvini, le cooperative sociali non partecipano ai bandi per l’accoglienza dei migranti indetti dalle prefetture. E ora chiedono un tavolo di confronto al Viminale

Gare andate deserte e migliaia di migranti che rischiano di restare senza un tetto. Dopo il taglio dei fondi da 35 a 21 euro del decreto Salvini, che ha ridotto l’accoglienza ai servizi essenziali, cancellando figure come mediatori e insegnanti di italiano, il mondo del terzo settore sfida il Viminale e si sfila dalla gestione dell’immigrazione. «Non siamo bed and breakfast o albergatori», ripetono dall’Arci alla Caritas. «L’accoglienza è un’altra cosa». Così da Nord a Sud, da Genova a Lecce, da Modena a Roma, cooperative sociali e grosse realtà come la Caritas non si presentano alle gare indette dalle prefetture. Nessuna disponibilità ad adeguarsi alle nuove regole del ministro Salvini. E in bilico c’è l’intera rete dell’accoglienza ai migranti, visto che i Cas (Centri di accoglienza straordinaria) gestiti da coop e associazioni finora hanno accolto l’80% dei rifugiati e richiedenti asilo. Una bomba a orologeria nelle mani del ministro dell’Interno. Che dopo aver più volte criminalizzato “il business dell’immigrazione”, annunciando che “la mangiatoia è finita”, ora replica in maniera sbrigativa: «Se siete generosi, accogliete con meno soldi. O accogliete per far quattrini?».

L’impianto del decreto Salvini (poi convertito in legge) prevede che chi arriva in Italia e chiede asilo, prima del via libera avrà a disposizione unicamente cibo, pulizia e vestiti. Solo a chi ha diritto a restare saranno garantiti poi anche i corsi di italiano e i servizi per l’integrazione. La spesa per l’accoglienza in questo modo passa dai famosi 35 euro a una forbice tra i 19 e i 26 euro al giorno. Portando a centinaia di procedure di licenziamento da parte di coop e onlus in tutta Italia, che arriveranno entro l’estate – come avevamo raccontato –alla cancellazione di oltre 18mila posti di lavoro, soprattutto tra giovani psicologi, avvocati, infermieri e mediatori culturali. Il tutto senza prevedere ammortizzatori sociali in grado di far fronte all’emorragia occupazionale.

E così in alcune città, come Bologna e Reggio Emilia, le concessioni esistenti sono state prorogate per prendere tempo e cercare una soluzione. In altri centri, le gare sono state rinviate. Mentre cinque cooperative lombarde hanno fatto ricorso al Tar per chiedere la sospensione dei bandi. Anche in provincia di Parma, otto sindaci hanno chiesto uno stop al prefetto. E lo stesso hanno fatto in Veneto Legacoop e Confcooperative. E laddove i bandi si sono conclusi, le partecipazioni si contano al lumicino. Non potendo sfruttare le economie di scala dei grandi centri, per quelli piccoli e per chi aveva puntato sulla formula dell’accoglienza diffusa, i 21 euro di media al giorno per migrante sono insostenibili. Qualche cooperativa è riuscita a recuperare risorse, attivando la macchina del volontariato per assicurare i servizi minimi di integrazione. Mentre chi già faceva accoglienza a basso costo continuerà a farla. Ma restano enormi buchi. A Roma, la maggior parte delle cooperative che gestiscono i 50 Cas cittadini non ha partecipato alle gare. E lo stesso ha fatto la Caritas in Veneto, Lombardia e in diverse regioni del Sud Italia. In questo caso tirandosi fuori dall’accoglienza gestita dal Viminale, ma continuando a fare accoglienza di volontariato, senza i fondi delle casse dello Stato.

Non è una questione di soldi, come Salvini ha semplificato. Anche se si tornasse ai 35 euro, le strutture si limiterebbero solo a dare da mangiare e dormire, senza fornire i servizi di integrazione e assistenza. Non facciamo attività alberghiera: questo non è il nostro mestiere


Eleonora Vanni, presidente di Legacoopsociali e tra i coordinatori del Forum Terzo Settore

«Non è una questione di soldi, come Salvini ha semplificato», spiega Eleonora Vanni, presidente di Legacoopsociali e tra i coordinatori del Forum Terzo Settore. «C’è sì un tema di sostenibilità, perché con i soldi messi a disposizione dal Viminale si rischia di non coprire le spese necessarie. Ma anche se si tornasse ai 35 euro, le strutture si limiterebbero solo a dare da mangiare e dormire, senza fornire i servizi di integrazione e assistenza fondamentali per chi ha bisogno di ricominciare una nuova vita nel nostro Paese. L’accoglienza deve favorire l’inserimento di queste persone, coinvolgendo i territori». Questo perché, continua Vanni, «non ci interessano solo i bisogni dei migranti, ma anche quelli delle comunità, contro la logica dei grandi centri che alimenta la paura e la chiusura».

E se in fase di approvazione del decreto il terzo settore non erano stato coinvolto, ora proprio dalle cooperative sociali che disertano i bandi arriva la richiesta di confronto. «Chiediamo di mettere in piedi un tavolo con i vari soggetti dell’accoglienza, non solo il terzo settore ma anche amministrazioni comunali e prefetture», spiega Eleonora Vanni. «Salvini pensa che con quei soldi ci siamo arricchiti. Certo c’è da fare un lavoro sulla trasparenza e la rendicontazione. Ma se ne avessero fatto solo una questione di soldi, la maggior parte delle cooperative si sarebbero tirate indietro già da tempo. Con gli enormi ritardi nell’arrivo dei fondi statali, in questi anni hanno fatto da bancomat dell’amministrazione pubblica, mettendo i soldi di tasca propria e garantendo sempre il servizio». Ora però la pazienza è finita: basta leggere il capitolato previsto dal ministero dell’Interno per vedere come attività come l’assistenza legale, di mediazione culturale e l’insegnamento della lingua siano state cancellate o messe ai margini. E la risposta è chiara: «Non facciamo attività immobiliare o alberghiera. Questo non è il nostro mestiere».

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