Forse non ve ne siete accorti, ma per la prima volta da qualche decennio questa campagna elettorale ha registrato l’assenza di Silvio Berlusconi. Ed è un fatto epocale. Minimo, ma epocale. Per carità, lui ci ha anche provato, nonostante i suoi guai fisici e l’età, che gli ha fatto perdere lo smalto. Ma il Berlusconi che si meritava film, girotondi, stizziti editoriali e i sorrisi della sinistra sembra essersi dematerializzato con il suo partito, un’icona sbiadita che galleggia nel mare dei candidati come la figurina fuori corso di un calciatore semisconosciuto, che ha smesso da troppi anni per essere ricordato.
Eppure sono vicinissimi i tempi delle piazze piene contro di lui, non è nemmeno lontana quella sua dismissione da presidente del Consiglio con i giornali finanziari che titolavano fate presto! per salvare quello stesso spread che oggi impazza, ma invece non provoca nessun grido al lupo!
Siamo rimasti senza Berlusconi e non sappiamo più chi siamo. L’assenza di Silvio è una nemesi. Quelli che erano forti del fatto di essere antiberlusconiani oggi hanno dirottato il loro “anti” contro Salvini ma sembrano avere perso la verve. Salvini ha recuperato un sentiero identitario forte che l’ha reso in pochi mesi il re delle destre. E i 5 Stelle? Se ci pensate bene sono loro che l’hanno fatto fuori, Silvio. Sono loro che hanno urlato e ripetuto “mai con Berlusconi” nelle consultazioni del dopo 4 marzo, rendendo di fatto Salvini ciò che è diventato. Con la formazione di questo governo, con Silvio che minaccia Salvini ma poi se lo tiene ben stretto nelle elezioni locali abbiamo assistito allo svuotamento del berlusconismo e all’essere orfani di tutti quelli che contro di lui avevano scritto la propria carriera. Dice un vecchio adagio che tutto si decostruisce per poi ricostruirsi di nuovo. Ma come si ricostruire tutto? Pensateci bene: chi ha l’identità forte (ed era forte la storia dell’imprenditore di successo nel panorama politico nazionale) per prenderne il posto?
È il Paese che cambia, ma in fondo è anche il simbolo di anni passati con stravolgimenti epocali che hanno trasformato il panorama politico, relegando il vecchio Silvio in un angolo, sempre alla ricerca del suo delfino che non si decide mai a trovare, circondato da tonni e dai pochi servili compagni che ancora provano a succhiare gli ultimi benefici di un uomo che ha contribuito alla carriera di un bel po’ di persone.
Qualcuno, sotto voce, dice che forse sarebbe ora della Carfagna ma non osa farsi sentire: Silvio è sempre Silvio, dicono i suoi, e anche questa volta uscirà dall’angolo. E invece no. Questa volta, come un pugile suonato, nonostante le sue testate giornalistiche che ancora tutti i giorni ne parlano come se fosse l’asse su cui ruota il mondo, se ne rimane a incespicare in qualche barzelletta che non fa più ridere e non viene nemmeno nominato dagli avversari. Solo il Movimento 5 Stelle gli ha fatto la grazia di agitarlo come spauracchio per sbrodolare qualche minaccia su Salvini. Poco o niente.
Eppure, la sparizione di Berlusconi ci dice che c’è là fuori un folto gruppo di moderati europeisti liberali che oggi probabilmente non hanno ancora trovato una casa
Eppure, la sparizione di Berlusconi ci dice che c’è là fuori un folto gruppo di moderati europeisti liberali che oggi probabilmente non hanno ancora trovato una casa, che possono essere forse caduti nel tranello del nuovismo del Movimento 5 Stelle o nell’indignazione che porta a Salvini ma non hanno una collocazione politica su cui sedersi e diventa difficile che Forza Italia, che pare Silvio si voglia portare nella tomba, abbia lo spunto per tornare a essere quello spazio.
In Italia, in pratica, con Berlusconi così dimesso anche la destra moderata rimane orfana, schiacciata com’è dal sovranissimo capo della Lega e pezzi del Pd (Calenda in primis, pronto ad andare a dialogare con i leghisti mentre chiama fascisti i Wu Ming, per dire) che provano a fare l’occhiolino ma vengono ricacciati nel cassetto dei comunisti. E così abbiamo assistito alla prima campagna elettorale in cui Silvio non ha svelato contratti con gli italiani (del resto l’idea gliel’hanno rubata questi al Governo), non ha fatto incazzare Repubblica con le sue barzellette sessiste (ha provato a dire qualcuna l’altra sera in Tv, ma l’effetto è stato da ribollita di fiera paesana), non si è meritato una prima pagina da Caimano da Il Fatto Quotidiano e non ha nemmeno dato scandalo con qualche gaffe internazionale. Niente di niente.
Eppure una campagna elettorale senza Silvio Berlusconi, se davvero, come sta succedendo, dobbiamo rinunciare ai contenuti, accende la nostalgia di una politica pro domo sua ma che non aveva bisogno di nemici immaginari. Anzi, sì, c’erano i comunisti e quei coglioni che li votano. Ma sembra miele, rispetto alla fiele di questi tempi.