Scomode veritàUn consiglio ai Cinque Stelle: tornate all’opposizione e fatelo in fretta

Controllare il potere, denunciarne i vizi, stimolare la partecipazione dal basso: questo è il Movimento Cinque Stelle. Non una forza di Palazzo, costretta a mediare, ingoiare rospi, decidere. La strada del governo, per Di Maio & co. è solo un calvario

Il declino radicale e improvviso del Movimento Cinque Stelle è senz’altro il dato centrale di queste Europee, amplificato dai dati definitivi sui numeri assoluti e da quelli sulle città. A un anno dalle elezioni che lo portarono al governo, il partito ha bruciato metà del suo elettorato, quasi sei milioni di voti in tutto. Dei suoi primi sindaci-bandiera nessuno resta saldo in sella. Il livornese Filippo Nogarin ha preferito volare in Europa dopo una sola legislatura, consapevole che la seconda elezione era fuori dalla sua portata. Virginia Raggi vede il suo regno tramontare: a Roma il M5S è addirittura terzo dopo Pd e Lega. A Torino il Movimento che nel 2016 incoronò in perfetta autosufficienza Chiara Appendino è passato dal 30,1 al 13,3. Raramente si è vista una costellazione politica tramontare così in fretta, e di sicuro non in tempi moderni: per cercare paragoni si deve risalire all’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e alla sua crisi-lampo tra l’elezione della Costituente e il voto del ’48.

Ma dove se ne sono andati questi milioni di voti grillini in libera uscita, dove hanno trovato riparo e certezze, perché hanno voltato le spalle al loro partito proprio nell’ora della sua più decisiva battaglia? Secondo Swg il 34 per cento ha scelto l’astensionismo ma una gran massa è scappata nella direzione più inaspettata: la Lega di Matteo Salvini, cioè il partito contro il quale il Movimento ha impostato l’intera campagna elettorale tacciandolo di ogni nefandezza, dall’eccesso di autoritarismo alla propensione alla corruzione. Il 14 per cento dei “vecchi” elettori grillini (un milione e mezzo di persone) in questa tornata ha preferito il Carroccio, ed è davvero un mistero tutto italiano questo tipo di trasloco politico: andrebbe indagato con maggior attenzione di quella mostrata nei primi commenti ai risultati.

Il collasso di queste Europee ricorda al M5S una cosa scomoda ma innegabile: il suo imprinting generativo, il suo Dna profondo, è quello di un partito di opposizione e controllo sull’operato degli altri, non di una forza di governo

La sensazione è che l’utopia originaria dei Meetup, della democrazia della rete, dell’uno-vale-uno, dell’onestà come elemento sufficiente a cambiare le cose, abbia perso il carattere ammaliante delle origini e che una larga parte dei cittadini, dopo un tuffo nel voto di protesta e di discontinuità, abbia scoperto all’improvviso che le rivoluzioni non gli piacciono. Incalzato dalla crisi e dalle preoccupazioni il Paese si è fatto cauto, conservatore, devoto a chi promette l’esatto contrario dei grandi cambiamenti: protezione e tradizione, legge, ordine, contenimento, ritorno ai “bei tempi di una volta”.

Il voto disperde anche (ed è un peccato) le ragioni per cui molti hanno guardato con interesse al Movimento: la sua oggettiva capacità di riattivare del circuito virtuoso della partecipazione democratica, di funzionare come diga al crescente astensionismo e alla generalizzata sfiducia nella politica. L’Italia è pressoché la sola nazione europea dove la percentuale degli elettori cala: se il grillismo di lotta rianimava la voglia di andare ai seggi, il grillismo di Palazzo sembra averla depressa, anestetizzata. E forse proprio da qui si dovrebbe partire per rispondere alla domanda sui motivi della sconfitta. Il collasso di queste Europee ricorda al M5S una cosa scomoda ma innegabile: il suo imprinting generativo, il suo Dna profondo, è quello di un partito di opposizione e controllo sull’operato degli altri, non di una forza di governo. Ha avuto un crescente successo e simpatia finché è stato il guardiano degli eccessi degli avversari, il custode della democrazia malata, quello che imponeva tagli ai vitalizi, obbligava alla moralizzazione delle liste, limava gli eccessi nei condoni o nelle norme di favore verso gruppi e lobbies. Entrare nel Palazzo è stato uno strappo alla sua natura, starci insieme agli sviluppisti della Tav e del Tap un doppio strappo, e adesso c’è un bivio anche per loro, non solo per Matteo Salvini: riavvolgere il nastro e tornare alle origini, oppure insistere su una strada senza potenzialità, forse un vicolo cieco.

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