C’era una volta l’Italia “anomala” del primato M5S, un partito nuovo, guidato da un ex-comico, fondato su un algoritmo e un sistema chiamato Meetup, che designava gli eletti con un lotteria online. È durato cinque anni. E’ arrivato al top nel 2018. Sembrava inarrestabile. Adesso non lo è più: nell’arco di una notte l’anomalia italiana ha cambiato di segno: insieme con l’Ungheria siamo il solo partito in Europa (tranne l’Inghilterra che però dall’Unione è già fuori) dove si estingue ogni tipo di baricentro moderato e si verifica una svolta verso la destra radicale improvvisa, innegabile, numericamente sorprendente perché oltre al 34,3 del Carroccio c’è anche il 6,4 di Fratelli d’Italia, poco meno della metà del Paese.
Chissà come leggeremo tra un anno o due questo risultato: il voto che portò alle elezioni anticipate e a un governo Salvini, il voto che spezzò l’Italia nell’autonomia differenziata, il voto che riportò il bipolarismo destra/sinistra nella Penisola. Sì, perché l’effetto collaterale della sfarinatura M5S è la ripresa del Pd di Nicola Zingaretti, che con un 22,8 per cento alquanto superiore alle aspettative si riprende il ruolo di opposizione forte e si sottrae al declino tombale che ha demolito i cugini francesi e tedeschi.
È ovvio che le promesse di Lega e M5s sul governo “che durerà quattro anni” sono andate a farsi benedire
Le conseguenze nazionali di questa tornata elettorale saranno assai superiori a quelle continentali, dove le destre sovraniste non sono riuscite a conquistare il peso che immaginavano, e saranno ulteriormente ridimensionate dall’addio del gruppo di Nigel Farage (il più consistente, con 29 parlamentari) quando l’operazione Brexit sarà ultimata. Interrogarsi sulla possibile crisi è un esercizio retorico. È ovvio che le promesse di Lega e M5s sul governo “che durerà quattro anni” sono andate a farsi benedire, ed è altrettanto scontato che le ipotesi berlusconiane su un ribaltone parlamentare che introni un governo di centrodestra vanno archiviate. Salvini non ha motivo di riallinearsi con una Forza Italia al lumicino, scivolata all’8,7 per cento e incapace di compiere l’operazione che ha salvato il Pd: rinnovarsi, trovare un leader nuovo, provare a rilanciarsi.
Da oggi comincia il governo delle destre e sarà il Cinque Stelle a dover decidere se acconciarsi a sostenerlo oppure no. Il tentativo di proporsi come forza di maggioranza a Palazzo Chigi e di opposizione nei comizi è fallito e non potrà essere ripetuto: il magrissimo 16,9 per cento delle urne uccide l’intera strategia di Luigi Di Maio e la Caporetto della partecipazione al Sud fa saltare anche lo schema politico al quale il Movimento aveva affidato il suo destino. L’idea di farsi partito dei poveri, dei descamisados, dei non-garantiti attraverso il Reddito di Cittadinanza ha pagato nella stagione delle promesse, assai meno in quella dei progetti realizzati.
Da oggi comincia il governo delle destre e sarà il Cinque Stelle a dover decidere se acconciarsi a sostenerlo oppure no
Ma questo nuovo bipolarismo destra/sinistra apre un periodo denso di incognite assai oltre i destini specifici dell’esecutivo. È una terra inesplorata, senza precedenti, perché sempre abbiamo avuto un partito-cuscinetto tra le due forze che occupavano i lati opposti del campo: la Dc prima, Forza Italia poi, il populismo pentastellato in questa ultima stagione (nella sua versione governativa e in qualche modo “moderata”). Ora no.
Ora c’è una terra di nessuno tra le pulsioni oggettivamente estremiste della Lega e un Pd ringalluzzito dai risultati ottenuti con la chiamata alle armi “antifascista”: la radicalizzazione dello scontro è l’unico approdo immaginabile di questa situazione, insieme all’isolamento europeo che si farà sentire con le nomine prossime venture. Con tutto il rispetto per la metà degli italiani che oggi esultano, non sembra davvero un porto sicuro per il Paese. Difficilmente nella nostra storia la navigazione è stata così incerta e densa di incognite.