Big pharmaFarmaci orfani: ecco come il Governo ostacola la cura alle malattie rare

Il dicastero di Giulia Grillo sta privando la ricerca medica contro le malattie rare di circa 100 milioni l'anno. Meno soldi per i cosiddetti “farmaci orfani”. Ancora una volta vince Big Pharma

Rarità per alcune scienze può essere un concetto astratto. Ma non per le malattie. Rare non significa meno importanti, o meno gravi. Una malattia si definisce rara quando il numero di casi presenti su una data popolazione non supera una soglia stabilita (per l’Ue fissata allo 0,05 per cento della popolazione, ossia 5 casi su 10.000 persone). In Italia, secondo Orphanet, i malati rari sono 2 milioni e il 70 per cento sono bambini in età pediatrica. La percentuale è di 20 casi ogni 10.000 abitanti, con circa 19.000 nuove segnalazioni ogni anno. In Europa sono tra i 27 e i 36 milioni i cittadini colpiti da queste malattie, per un totale, a livello mondiale, di 350 milioni di individui. Quindi, non proprio un’inezia.

Se si conta inoltre che il 20% delle patologie interessa pazienti in età pediatrica (di età inferiore ai 14 anni), la questione assume ancor più connotazioni allarmanti. Tra studi in corso d’opera e diagnosi complesse, il dossier malattie rare è da tempo materia di discussione, politicamente e socialmente parlando. La struttura amministrativa medico/sanitaria, facente capo all’Ue, possiede al suo interno molti organi, ma un solo cuore: il fine ultimo è quello della cura.

Per la terapia delle malattie rare, molto spesso, si ricorre ai cosiddetti farmaci orfani: ovvero quei medicinali non in grado di garantire il recupero degli investimenti in ricerca, in quanto diretti ad un bacino ristretto di pazienti, e per questo studiati in maniera ancora non sufficiente. Ad oggi, l’Ema (European Medicines Agency) ha licenziato terapie solo per il 3% dei malati rari: sono infatti meno di 200 i farmaci orfani autorizzati all’immissione in commercio e oltre 7000 le malattie rare diagnosticate. Un dato che preoccupa, senza contare le malattie ancora non diagnosticate.

Dopo alcuni calcoli, il risultato è tale: poco più di 100 milioni all’anno sono stati redistribuiti, in proporzione al fatturato, a tutte le Big Pharma, a discapito di circa 40 farmaci a disposizione dei malati gravi. Per la prima volta si è fatto un passo indietro

Con la premessa che l’Italia deve la disponibilità dei farmaci orfani alle normative europee emanate dall’Ema e alle normative nazionali applicate dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), riassunte in una legge ad hoc (Regolamento CE 141/2000), i passati governi nostrani generalmente sono riusciti quasi sempre a ritagliare una voce di bilancio per tali farmaci. Nonostante alcune criticità, tra cui l’affannoso rincorrersi tra gestione clinica e socio-assistenziale che spesso ha comportato una disuguaglianza geografica nello sviluppo dei percorsi assistenziali per i pazienti, gli investimenti dedicati a questa branca hanno sempre impedito di commettere un errore del tipo nodo scorsoio: strangolando le coperture finanziare a favor di interessi superiori.

«La legge europea, la 141/2000, lascia ai singoli stati membri la libertà decisionale in termini di farmaci orfani, sollecitando alla facilitazione in misura fiscale, amministrativa o gestionale per i protagonisti del mondo delle malattie rare», spiega a Linkiesta.it Francesco Macchia, Coordinatore dell’Ossfor (Osservatorio Farmaci Orfani). «L’Italia lo aveva fatto egregiamente nella scorsa legislatura, con un provvedimento approvato che sostanzialmente tutelava i farmaci orfani da una procedura che si chiama payback, ovvero una sorta di controllo della spesa farmaceutica pubblica con il quale si stabilisce un tetto massimo di investimenti che, se superato, obbligava le aziende farmaceutiche a concorrere al ripiano. Questo governo invece ha guardato bene di non rinnovare questo impegno».

Scavando tra le voci dell’ultima finanziaria del governo giallo-verde, infatti, è possibile notare come una voce ombra passata in silenzio (complice un preoccupante blando interesse per la materia), abbia rimescolato i conti in materia di farmaci orfani. Dopo alcuni calcoli, il risultato è tale: poco più di 100 milioni all’anno sono stati redistribuiti, in proporzione al fatturato, a tutte le Big Pharma, a discapito di circa 40 farmaci a disposizione dei malati gravi. Per la prima volta, il dicastero del ministro Grillo, è riuscito a fare un passo indietro, scegliendo la via facile, quella più banale.

Sì, era un percorso in salita quello dei farmaci orfani, ma con alcuni semplici paletti lo Stato italiano era riuscito a circoscrivere dei traguardi. Facendo mente locale che dietro tutto questo c’è pur sempre una vita, molto spesso quella di un bambino

Perché se per definizione non sono i farmaci ad essere orfani, bensì la malattia rara ad essere priva di una terapia farmacologica (vista la ristretta platea di interesse), è vero anche che prima gli USA con Orphan Drug Act poi l’Unione Europea e l’Italia, hanno attivato delle agevolazioni in grado di facilitare le case farmaceutiche allo sviluppo di nuove cure e farmaci contro queste patologie. E sia chiaro: il ruolo delle aziende farmaceutiche, nonostante la mole dei loro fatturati, resta comunque quello di attore finanziario, solidale alle leggi del mercato e della borsa, pesando il fatto che la produzione di questi farmaci ha costi astronomici sia per loro sia successivamente per le famiglie che dovranno acquistarli (per quanto concerne i costi per il Servizio sanitario nazionale, la spesa media annua pro-capite dei malati rari esenti risulta compresa nel range 4.217-5.384 euro).

“La semplicità, è cosa rarissima ai nostri tempi”. E non solo ai tempi di Ovidio: in quanto, sì, era un percorso in salita quello dei farmaci orfani, ma con alcuni semplici paletti lo Stato italiano era riuscito a circoscrivere dei traguardi. Facendo mente locale che dietro tutto questo c’è pur sempre una vita, molto spesso quella di un bambino.

Pertanto i farmaci orfani, grazie alla legge di bilancio del 2014, sono esentati dal meccanismo del pay-back. Le case farmaceutiche da quel momento hanno preso in carico una sorta di contributo di solidarietà, finalizzato alle spese per la ricerca nel campo delle malattie rare. Questo risanamento di spesa – con stupore dell’intero settore! – non sarà più onere delle grandi aziende. Il meccanismo è semplice: gli orphan like (ovvero i farmaci approvati prima del Regolamento 141/2000) e i farmaci orfani sono fuori dalle coperture delle grandi aziende e quindi a carico nostro. E bene ribadire che per le big pharma l’impatto di questi ammortamenti era meno dell’1% del fatturato annuo, mentre per le aziende biotech impegnate nella ricerca significava linfa vitale. Il tutto notificato in Gazzetta Ufficiale.

La vera sfida, quando parliamo di farmaci orfani e malattie rare, sta nel costruire protocolli di ricerca che rispondano a canoni paragonabili a quelli cui rispondono i farmaci in generale


Senatrice Paola Binetti

Alle accuse mosse dall’Osservatorio Malattie Rare, a destar maggiori perplessità è stata la risposta del ministro della Salute Giulia Grillo, aliena alle dinamiche del settore e fautrice di un principio di uguaglianza basato sul paragone fatto tra il fatturato di un’azienda che vende farmaci orfani e quello di altre aziende del mondo Big pharma. Complice pertanto di aver introdotto, al comma 579 dell’art 1 della legge di Bilancio, una franchigia per tutte le aziende farmaceutiche – sul modello “più fatturi più paghi” – sui primi tre milioni di fatturato. La bilancia, volente o nolente, adesso pende ovviamente a favore delle major.

Il regalo fatto alle multinazionale ha sollevato istanze sia dalle famiglie sia da un fronte politico, con le interrogazioni della Senatrice Paola Binetti (Udc) e l’Onorevole Vito De Filippo (Pd). Come si legge nel II Position Paper dal titolo “Hta dei piccoli numeri” a cura dell’Osservatorio Malattie Rare (che sarà presentato il prossimo 7 maggio a Roma), sfogliato in anteprima da Linkiesta.it, la posizione è univoca: «La vera sfida, quando parliamo di farmaci orfani e malattie rare, sta nel costruire protocolli di ricerca che rispondano a canoni paragonabili a quelli cui rispondono i farmaci in generale», afferma la Sen. Paola Binetti.

«È per questo che l’Hta (Health Technology Assessment ndr), ai fini di attuare pienamente il prossimo Piano nazionale delle malattie rare, ha necessità di ricevere un’attenzione particolare da parte dei decisori anche quando si tratta di numeri piccolissimi, con lo scopo di attivare modelli innovativi di ricerca che valorizzino il principio etico di non lasciare solo nessun malato e ribadendo con forza il diritto alla salute per tutti». La proposta è quella di un tavolo istituzionale, con al centro le tematiche legate alla governance, al mercato, al rimborso e alle “preferenze sociali in tema di allocazione delle risorse pubbliche”. La palla, adesso, passa al Governo.