La prima volta non ha funzionato. I Google Glass, nonostante il grande battage pubblicitario con cui furono lanciati nel 2012, si rivelarono un flop. Inutili, pretenziosi, goffi, inefficaci. Le vendite crollano e il prodotto viene ritirato dal mercato. Però la sperimentazione, dietro le quinte, continua. E così nel 2017, due anni dopo, Google ci riprova Con un posizionamento più studiato, ambizioni più modeste ma – forse per questo – anche più efficaci: le fabbriche.
Si chiama edizione “Enterprise” che aiuta i lavoratori, addetti alle macchine, a ridurre gli errori migliorandone le prestazioni. È un cambiamento che toglie tutto il sex appeal originario del device, ma che almeno garantisce un mercato. Non solo: al modello base è possibile aggiungere delle modifiche, che li adattano alle diverse tipologie di catene produttive. La realtà aumentata non è più un gioco, ma uno strumento per lavorare. L’inserimento di nuovi software permette di attivare comandi che rispondono alle domande tecniche dell’operaio, sia con messaggi vocali che con indicazioni che appaiono sullo schermo.
Sembra bello, ma non esageriamo: i Google Glass restano sempre una cosa losca. Quando giravano per le strade, i passanti avevano sempre l’impressione di essere fotogratati, registrati, cercati sui social. Nelle fabbriche, invece, permettono al datore di lavoro di sapere e controllare tutto quello che fa il dipendente che li indossa. Cosa che non mette a suo agio l’operatore.
Restano, insomma, un’invenzione con tante potenzialità, ma anche tanti lati oscuri. Qualcuno potrebbe trarne insegnamenti filosofici, legati alla natura stessa del capitalismo, del rapporto di lavoro subordinato, della pervasività della tecnologia. LinkPop, invece, si limita a segnalare.