SaggisticaCosì Trump ha inaugurato l’anarchia internazionale

Trump sta uscendo da varie organizzazioni internazionali e accordi di libero scambio, optando per il bilateralismo piuttosto che per il multilateralismo. Ma così facendo, si torna all’anarchia internazionale, a un sistema dove gli arbitri internazionali sono delegittimati e dove comanda il più forte

SAUL LOEB / AFP

Le politiche del rigore degli ultimi anni hanno creato un diffuso malcontento nei vari Paesi del vecchio continente e la crisi economica iniziata nel 2008 ha dato la spinta definitiva al risentimento contro i tagli operati dalla Commissione europea, identificata come l’origine di tutti i mali. I partiti socialisti sono stati travolti dal nuovo populismo antiestablishment. L’euro ha favorito prevalentemente il mercato tedesco, mentre l’austerità «espansiva» è stata la regola nelle politiche economiche europee, con tagli alla spesa pubblica anche nei momenti di crisi: queste politiche hanno aggravato la recessione anziché mitigarla, riducendo i consumi e il PIL. Molti Paesi sentono la necessità di un nuovo realismo politico. “Popolo e populismo” affronta con metodo e attenzione tutte queste problematiche, e racconta con lucidità la situazione politica italiana e internazionale, gettando uno sguardo sul futuro che ci attende.
Pubblichiamo un estratto da Popolo e populismo di Angelo Bruscino e Alessio Postiglione (Cairo editore)

Trump sta uscendo da varie organizzazioni internazionali e accordi di libero scambio, e non perde occasione per ricusare ogni tipo di accordo multilaterale, preferendo siglare accordi bilaterali per fare gli interessi degli americani: «America first».

Da quando è in sella, il presidente americano è uscito dal Consiglio per Diritti Umani delle Nazioni Unite e dall’Unesco, ufficialmente per i troppi attacchi mossi da tali organismi a Israele; è uscito dal patto Onu sui migranti e dall’accordo di Parigi sul clima; invece di rinegoziare il Nafta, il trattato di libero scambio con Canada e Messico, cerca di chiudere con questi Paesi accordi bilaterali; snobba il G7 e rifiuta di firmare la dichiarazione congiunta negoziata dal presidente Trudeau, dandogli pubblicamente dell’imbroglione: esce dallo storico accordo sul nucleare con l’Iran, voluto da Obama, nonostante per i suoi partner europei sia ancora valido; non ratifica il Trans-Pacific Partnership (TPP) con Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico e gli altri Paesi del Pacifico e congela il Ttip, il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, negoziato nel 2013 tra USA e Ue. Insomma, Trump abbandona la strada del multilateralismo seguita da Obama e imbocca quella del bilateralismo, con l’obiettivo di andare a stringere accordi, da una posizione di vantaggio, con i singoli Stati. Lo fa perché è un nazionalista economico, un protezionista, in questo perseguendo una politica che è caldeggiata – a riprova che gli estremi si toccano – anche dalle sinistre anticapitaliste, ostili a ogni liberalizzazione. Ma lo fa, soprattutto perché, avversa non solo il liberismo economico, ma l’ordine internazionale liberale. Certo, abbiamo visto come il liberismo faccia pagare i costi delle ristrutturazioni capitalistiche e della globalizzazione ai più fragili, ma prima di gongolare rispetto a queste scelte, da parte di Trump, bisogna comprendere come il fisiologico corollario di questa posizione sia anche il rigetto di un ordine internazionale basato sul consenso di tutti, attraverso la promozione della democrazia e delle organizzazioni internazionali.

Così facendo, infatti, torniamo all’anarchia internazionale, a un sistema dove comanda il più forte e dove le ragioni, in ultima istanza, possono venire affermate con la forza, per chi ce l’ha, perché si delegittimano gli arbitri internazionali. Una cosa da tener ben presente, soprattutto da parte di quanti, a sinistra, guardano con buon occhio alla verve anticapitalistica e antiliberista di Trump, perché il suo orizzonte non è quello della promozione dei valori della democrazia, ma dell’affer- mazione del nazionalismo, con annessi rischi: guerre, come abbiamo già detto, che possono essere la continuazione della politica con altri mezzi, quando le organizzazioni internazionali che imbrigliano la volontà di potenza, soprattutto degli Stati più forti, vengono rottamate. Insomma, la visione di Trump può legittimamente rendere gli Stati Uniti primi, nella breve distanza, salvo scatenare un caos che, alla lunga, non può che comportare costi anche per loro. Ma se il nazionalismo economico può portare qualche vantaggio ai più forti, almeno all’inizio, rischia di essere flop totale per le medie e piccole potenze come l’Italia. Se viene meno un ordine transnazionale, saranno i più deboli a essere travolti. Perché non hanno la forza di negoziare da soli con i più grandi. Per tacere dei rischi militari che possono abbattersi su Paesi come l’Italia, che senza le Organizzazioni Internazionali dovrebbero tornare a difendersi da soli, in un contesto di nuova anarchia internazionale dove tu Stato, con l’autotutela, sei chiamato a far valere i tuoi diritti, anche con l’uso legittimo della forza, come extrema ratio. Veramente crediamo che potremmo imporci su Cina, USA, Russia, una volta venuta meno l’Europa o la cornice internazionale multilaterale che il nascente nazionalismo pone in questione? Ma, ripetiamo, si tratta di ipotesi da brivido che non hanno vincitori, ma solo vinti.

Gli USA hanno sempre avuto il ruolo di guardiani internazionali, è vero, un ruolo forse oggi non più praticabile. Ma una cosa è per gli USA fare un passo indietro per favorire una leadership plurale all’interno di un ordine mondiale liberale e pacifico basato sul primato dell’Onu, altra cosa è isolarsi e favorire un non-ordine in condominio con potenze nazionaliste, aggressive e meno sensibili ai valori liberali.