Addio Nanni Balestrini, poeta e amico

È scomparso a 83 anni Nanni Balestrini, scrittore, poeta e saggista tra i protagonisti del movimento di avanguardia letteraria Gruppo 63 negli anni ’70 e ’80. Eccolo nel ricordo di un amico

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Siamo a metà degli anni Novanta. Silvio Berlusconi è diventato presidente del Consiglio con la sua Forza Italia, portando con sé, per la prima volta nella storia recente, un partito di destra come l’Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, oltre che la Lega Nord di Umberto Bossi. Passo le giornate parlandone coi miei amici, in Ancona. A volte ci confrontiamo con gli anziani che ci inondano di ricordi partigiani. L’aria è decisamente tesa, surreale.

Cerco in tutti i modi qualcuno che sia in grado di regalarmi le parole per dire quello che vorrei dire, e per consuetudine lo cerco nelle canzoni. Sono un punk di venticinque anni, ho i capelli lunghi fin sopra il sedere, la chitarra elettrica nel bagagliaio di una Ford Fiesta verde comprata usata per poche centinaia di migliaia di lire. Incappo in Nanni Balestrini, nei suoi libri. Inizio con Gli invisibili, e subito capisco che la mia ricerca è finita. Passo velocemente a tutti gli altri, Vogliamo tutto, La violenza illustrata, Tristano, L’editore, I furiosi. Proprio in quei giorni ne è uscito uno nuovo, Una mattina ci siam svegliati. Parla proprio di questo, dell’oggi, del mio oggi. Io ho da poco terminato il mio servizio civile presso un dormitorio per senza fissa dimora a Falconara, esperienza violenta, sconvolgente, inutile. Ho chiuso con la musica, la mia vera sola passione. La mia band si è sciolta, destino delle band, da che mondo è mondo. Ho cominciato a scrivere, perché da qualche parte tocca cominciare per srotolare il bandolo della matassa. Sono di Ancona, qui c’è Massimo Canalini e la sua Transeuropa, che negli ultimi anni si è fatta notare prima per le antologie Under Venticinque di Pier Vittorio Tondelli, poi per aver scoperto Silvia Ballestra e Enrico Brizzi, quello di Jack Frusciante è uscito dal gruppo.

Comincio a frequentare la casa editrice, e un giorno meriterebbe di essere raccontata. Canalini fa editing pesante, consiglia a tutti tre, quattro libri, dice a tutti di cercare la propria voce, ma impone fondamentalmente la sua. La sua voce non è la mia voce, non ci somiglia per niente. Ma ho incontrato quella di Balestrini, e mi ci riconosco. Perché la sua voce è quella che più di ogni altra mi ricorda il rap, che è stata una delle mie passioni recenti. Ci ho scritto anche la tesi di laurea, in storia americana, tesi che non discuterò mai, perché fondamentalmente sono una testa di cazzo. Nanni Balestrini è un poeta, non un rapper. Ma è un poeta che gioca con la musica, da sempre. E che fa politica, lo stesso. So cos’è il Gruppo 63 perché ho studiato, so cos’è Potere Operaio perché ne ho letto, so chi è Nanni Balestrini, e so che vive a Parigi. Nella metà degli anni Novanta non ci sono i social, non ci sono neanche i cellulari, almeno non per noi, e neanche internet. Essere a Parigi equivale a essere su Marte.

Dopo un paio di mesi mi arriva una telefonata, a casa. È Nanni Balestrini, che mi dice che secondo lui devo scrivere un libro. Così. Mi dice che devo scrivere un libro

Siamo a metà degli anni Novanta, ho sempre i capelli lunghi fino al sedere, la chitarra non è più nel bagagliaio della macchina, sto cominciando a scrivere i miei primi racconti, copiando Balestrini. Scrivo andando a tempo con la musica che uso come base, tutta immancabilmente rap. E nello scrivere uso frasi prese da canzoni, rubandone dichiaratamente la metrica. Scrivo in lasse, come Balestrini, e senza punti, come Balestrini.

Alla Libreria Feltrinelli di Ancona c’è una presentazione di un romanzo di Rossana Campo. Ci vado. Vado a quasi tutte le presentazioni, perché vivo in provincia e sono curioso di sapere che faccia hanno gli scrittori, che cosa dicono fuori dai libri. Sono seduto al primo piano, in attesa che la presentazione cominci, quando lo vedo aggirarsi tra gli scaffali. È senza ombra di dubbio lui, Nanni Balestrini. Quello che pensavo fosse a Parigi. Mi alzo e mi avvicino. Mi presento e in effetti è proprio lui. Non so cosa dico, non ho memoria, lo sapete. Ma devo dire qualcosa che lo incuriosisce, perché mi scrive su un foglio un indirizzo, di Parigi, dicendomi di mandargli lì qualcosa da leggere. Lo faccio. Non un indirizzo mail, siamo a metà degli anni Novanta. Un indirizzo vero. Dopo un paio di mesi mi arriva una telefonata, a casa. È Nanni Balestrini, che mi dice che secondo lui devo scrivere un libro. Così. Mi dice che devo scrivere un libro. Non mi manda a cagare perché scrivo provando a rubargli lo stile, per altro non riuscendoci, ovviamente, ma mi dice di scrivere un libro.

Dopo qualche mese va oltre, mi invita a Ricercare, un laboratorio di scrittura da cui, in quegli anni, passano tutti. I cannibali, per primi, perché quello è il periodo dei cannibali, e poi tutti gli altri. Ogni anno lui, Angelo Guglielmi, Renato Barilli, Giulio Mozzi e Massimo Canalini scelgono quindici nomi tra i giovani scrittori che ritengono più interessanti. Nel 1997 ci sono anche io. Funziona così, sali sul palco del Salone del Teatro Valli di Reggio Emilia. Leggi un racconto. Di fronte a te ci sono critici letterari, scrittori, editori. Un po’ tutti quelli che ci devono essere. Leggi e poi lasci il microfono a loro, che possono salire sul palco e criticarti pubblicamente. Mentre leggo, lì al mio fianco, c’è lui, Nanni Balestrini. Leggo un racconto che si intitola Un posto meno spaventoso, che poi aprirà il mio primo libro, una raccolta di racconti dal titolo Furibonde giornate senza atti d’amore. Il titolo lo sceglierà Nanni, rovesciando un verso di De Andrè che avevo rubato in un altro racconto. L’idea era di fare il verso a Atti casuali di violenza insensata di Jack Womack. Del resto per lui io facevo qualcosa di simile a William Gibson, più che a lui, non ho mai capito esattamente perché. Questo scriverà nella prefazione del libro, pubblicato dalla PeQuod, libro uscito anche grazie al suo volermi lì, in libreria.

Quest’anno sono venticinque anni che scrivo. Stavo cercando di capire come contattarlo per chiedergli se gli andava di firmare la prefazione della raccolta dei miei primi romanzi. Un modo, più che altro, per risentirlo, lui ormai anziano e io cinquantenne. Un modo per omaggiare il maestro, cattivo, che è stato per me, uomo generoso quanto riservato

Dopo qualche mese pubblicherò anche il mio primo romanzo, per la casa editrice per la quale Nanni è stato luce e benzina, DeriveApprodi. Un romanzo che uscirà per una collana diretta da Luigi Bernardi, e che in qualche modo provava a spostare di lato la faccenda affrontata da Nanni in Una mattina ci siam svegliati. Il romanzo si intitolava Questa volta il fuoco, altro titolo preso altrove, stavolta da James Baldwin e dal suo La prossima volta il fuoco. Nel mentre un sacco di ore passate a guardarlo e ascoltarlo, anche se lui era uomo di poche parole dette, molte parole scritte e soprattutto molti fatti. Ero con lui quando Toni Negri lo ha chiamato, appena sbarcato in Italia di ritorno dal soggiorno francese, ero con lui anche alla prima presentazione di Aldo Nove, scrittore da lui molto amato. Un paio di esperienze come osservatore a Venezia Poesia, dove ho conosciuto Militant A degli Assalti Frontali e Lello Voce, due delle penne che più amo in Italia. A dividerci è stato il mio firmare con la Mondadori, che a un paio di mesi dall’uscita di Questa volta il fuoco pubblicherà Aironfric, un mio romanzo in cui portavo la scrittura di Nanni Balestrini nel mondo dei comic, giocando sulla forma del paradosso che da allora non ho più abbandonato. Pensava, Nanni, che ovviamente non ha mancato di dirmelo, che il mio fosse una sorta di duplice tradimento, perché firmavo con una casa editrice di proprietà di Berlusconi, in primis, e perché riteva che il mio romanzo fosse frivolo, poco attento all’oggi.

Da allora ci siamo visti poche volte, sempre casualmente. Ho pubblicato un sacco di libri, scrivere è diventato davvero il mio mestiere. Io che difficilmente vengo considerato uno scrittore, proprio per questo mio essermi sporcato con altro, la critica musicale, il pop, la televisione, la radio. Ho provato e provo, ma questa è altra faccenda, a fare esattamente quel che il mio maestro di sempre, Nanni Balestrini, mi ha insegnato. Prendere i linguaggi contemporanei e piegarli per fare altro. Poesia, nel suo caso, narrativa, nel mio. Uno sguardo sempre attento al sociale, al politico.

Quest’anno sono venticinque anni che scrivo. Stavo cercando di capire come contattarlo per chiedergli se gli andava di firmare la prefazione della raccolta dei miei primi romanzi. Un modo, più che altro, per risentirlo, lui ormai anziano e io cinquantenne. Un modo per omaggiare il maestro, cattivo, che è stato per me, uomo generoso quanto riservato.

“Avrei voluto tutto” il titolo che ho scelto per questa raccolta, omaggio a colui che per primo mi ha detto che ero uno scrittore. Non ho fatto in tempo. Avrei voluto tutto, appunto.

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