La lingua non basta per esprimere l’essere umano nella sua totalità. Il vocabolario è limitato, le parole mancano, le sensazioni appaiono infinite. I filosofi se ne lamentano, i poeti cercano di inventare nuove espressioni. Ma la realtà è che ciò che si sente e ciò che si dice sono sempre più distanti. A meno che.
A meno che, appunto, non si inventino parole nuove per descrivere sensazioni comuni, sfuggenti e ineffabili. E allora si faccia largo a The Dictionary of Obscure Sorrows, un progetto composito del graphic designer e filmmaker John Koenig. C’è il blog, il canale Youtube e (presto) il libro, tutto per “identificare stati emotivi finora senza nomi, offrendo sia un temine poetico che una definizione precisa e filosofico”. Parole nuove per sentimenti già esistenti. Servivano?
Chi può dirlo. “Sonder”, per esempio, è “la sensazione improvvisa che tutti i passanti, vicini e lontani, hanno una storia, che vivono una vita complessa e ricca come la propria”. Una semplice rivelazione che può ingrandire o diminuire la percezione di se stessi, e cambiare il modo in cui si vede il mondo. Mentre “Énouement” è la sensazione, “agrodolce, di essere alla fine arrivati nel futuro tanto immaginato, di vedere come le cose siano andate davvero ma di non poterlo raccontare al proprio sé del passato”, magari per evitare errori di percorso o imboccare strade diverse.
E ancora, “Opia”, cioè “l’intensità ambigua di chi guarda qualcuno negli occhi con intensità, un atto che può essere al tempo stesso invadente e vulnerabile”. Mentre “Vellichor” descrive “la strana malinconia dei negozi di libri usati”, e “Rubatosis” indica “l’inquietante consapevolezza del battito del proprio cuore”.
Funziona così, una parola per sensazione. “Chrysalism” è “la tranquillità amniotica di chi è al sicuro in casa durante una tempesta”, e “kenopsia” è “l’angosciosa e desolata sensazione di un luogo che di solito è pieno di persone e che, al momento, è vuoto e calmo”. Mentre, per dirne una di più, “Exulansis” è la tedenza ad abbandonare i tentativi di descrivere un’esperienza perché gli ascoltatori non sono in grado di immedesimarvisi. Creando ulteriore solitudine, incertezza, isolamento.