Cultural StereotypeMarco Piantini: “L’Europa? È l’unica possibilità che abbiamo per affrontare la globalizzazione”

In “La parabola d'Europa” (Donzelli) Marco Piantini riflette sugli ultimi trent'anni di storia europea. Una storia che deve ripartire dalla partecipazione e dall'accettazione di sfide globali impegnative. Ne abbiamo parlato con l'autore

AFP

Nonostante quasi tutti i partiti italiani abbiano deciso di giocarsi la campagna elettorale su temi nazionali, usando l’elezione di domenica come un voto di opinione più che come possibilità di ragionare sul tipo di Europa in cui davvero vogliamo vivere, è evidente che le imminenti europee determineranno un Parlamento e una Commissione che dovrà affrontare passaggi epocali e affrontare sfide fondamentali per il nostro futuro. Temi che hanno bisogno di una visione e di una risposta politica e tecnica. “Occorre rimettere mano al cantiere dell’Europa sociale, promuovendo nuove forme di partecipazione”, “far crescere insieme partiti europei e una cultura della partecipazione civica”, scrive nella quarta di copertina del suo La parabola d’Europa (Donzelli) Marco Piantini, per anni collaboratore per gli affari europei del Presidente emerito Giorgio Napolitano, e consigliere nei governi Renzi e Gentiloni. Con lui abbiamo discusso di cosa vuol dire ragionare sull’Europa dei prossimi anni a partire dalla riuscita metafora di Berlino come città della transizione su cui si apre il libro.

Nel libro ti concentri molto sulla necessità di ripartire dalla costruzione di una vera e propria identità europea. Una identità che non può non essere in continua transizione.
Il tema dell’identità è un tema complicato. Cerchiamo di negarla, ma è evidente che esiste qualcosa di definibile come “identità europea”. È molto più evidente di quanto noi siamo disposti ad ammettere. Una identità fatta di differenze e di moltitudini. Del resto non è scritto da nessuna parte che l’identità sia un concetto singolo e immutabile. È un fattore culturale, prima ancora che politico, risultato di un lungo processo storico. Ed è una di quelle cose su cui si è investito poco negli ultimi trent’anni, sia in termini di consapevolezza, sia in termini di comunicazione.

A livello di Europa o di stati nazione?
Entrambi. A livello di stato nazione abbiamo una mancanza gravissima di alfabetizzazione europea. Nelle nostre scuole si parla pochissimo di Europa. In futuro potrebbe essere un territorio dove sarà possibile avere molta iniziativa. Anche perché per iniziare a definire l’idea di Europa bisogna parlare di una storia che affonda le radici nelle università, nei monasteri, nella circolazione della cultura, da uno spazio di condivisione dei saperi che esiste da molti secoli e che abbiamo rimosso proprio per le barriere poste negli anni dagli stati nazionali. Ma c’è un altro tema che metterei al centro, ora.

Quale?
Quello della partecipazione. Sarà sempre più fondamentale e sarà declinato in modi molto diversi da qui in avanti. Tra l’altro credo che il punto cruciale delle elezioni di domenica sarà determinato proprio dalla partecipazione. Son convinto che i risultati saranno determinati forse più del solito dall’affluenza. Che tipo di affluenza, in quali città, in quali regioni, con quali motivazioni.

Non a caso il Parlamento Europeo questa volta ha giocato un ruolo da protagonista con la campagna di sensibilizzazione #stavoltavoto.
Devo dire che il lavoro di tante persone per tanti anni ha finalmente portato a campagne di comunicazione e di informazione efficaci ed efficienti, che hanno mobilitato e messo in modo tante energie creative. Del resto, se uno gira per l’Italia si rende conto che questa partecipazione è già presente.

Il grandissimo tema dello sviluppo sostenibile ci dà la possibilità di parlare ai più giovani e che dimostra come l’identità europea sia già tra noi. Se per i nostri nonni l’Europa era un obiettivo da dare per scontato, per i nostri nipoti è destinata a essere una dimensione naturale


Marco Piantini

In che senso?
Il corpo profondo di questo paese è composto da tantissime realtà che fanno approfondimento, mobilitazione, cultura sull’Europa. Piccoli centri d’iniziativa, associazioni, luoghi di studio, università, ma anche tante parrocchie. Sono realtà in cui si incontrano anche diverse tendenze politiche. C’è una domanda d’Europa che travalica i confini. Un vero interesse. Ma bisogna evitare il rischio di parlare di Europa da un punto di vista cattedratico e professorale. È possibile farlo, ne sono convito, e contrastare in profondità chi vuole distruggere l’Europa e le sue istituzioni.

Cioè?
Non dobbiamo pretendere di essere degli insegnanti dell’Europa. Anzi, credo che l’Europa sia in sé una lezione costante, e in costante aggiornamento. Mi viene quasi da definirlo un “corso di aggiornamento civile” in cui non esistono insegnanti ma solo allievi. Nemmeno il funzionario più esperto o il politico più navigato può insegnare questa storia. Anche perché è la stessa definizione di Europa a doversi dare sulla base di un processo storico.

Come leggi invece il crescente euroscetticismo che ha determinato molto di questa campagna elettorale?
Non temo l’euroscetticismo o l’antieuropeismo. Temo di più l’indifferenza. È per questo che mi concentro sempre di più sul tema della partecipazione. Anche chi a parole non vuole l’Europa, alla fine chiede che sia l’Europa a trovare risposte ai problemi dell’immigrazione, della sicurezza e dell’economia. È in questa contraddizione che io vedo un potenziale enorme.

In che modo?
Dentro questa negatività e questo euroscetticismo ci sono anche, a volte ben nascoste, domande di “politica europea forte”. Bisogna rispondere con una politica popolare intelligente e lungimirante, capace di leggere la crisi come una opportunità. Certo, bisogna anche interrogarsi sui limiti di una politica che non coglie pienamente queste opportunità. Del resto viviamo tempi dove la politica è più da “ali di farfalla” che non da “api laboriose”.

Ali di farfalla?
La politica che vive e muore in un giorno. La politica che fatica a costruire percorsi di lungo respiro. Se ci fosse in parallelo una politica che costruisce un alveare florido e produttivo sarei disposto anche a veder morire molte farfalle.

Del resto la politica è la membrana che tiene uniti quasi tutti gli aspetti della nostra quotidianità. E mi sembra che questa tendenza a comportarsi come “ali di farfalla” si anche legata alla feticizzazione del passato, la nostalgia di un tempo glorioso. Curioso perché l’Europa nasce come progetto antinostalgico.
Si corre sempre il rischio di idealizzare quello che non abbiamo vissuto e che ci hanno solo raccontato. Ci fa sentire protetti e ci dà delle radici, che pure sono importanti. Ma bisogna capire se si tratta di radici vere, con una forza morale e umana, o se sono qualcosa di diverso. Ad esempio sappiamo di sbagliare a idealizzare la politica del Novecento, o a vedere come qualcosa di mitologico tutto quello che è successo prima del 1989. Al netto delle sue fecondità e delle sue profondità, è stata una politica fatta di luci e ombre. Io ad esempio sono molto affascinato dagli anni Settanta.

In effetti un periodo molto violento.
Ma è anche stato un periodo di grandi occasioni e grandi lezioni. Ad esempio, ci dà un precedente importante per capire come reagire a forti stress democratici per garantire una convivenza civile in un periodo molto complicato.

Ma come mai l’Italia non riesce a giocare un ruolo da protagonista europeo come quello della Germania?
Sicuramente il peso della Germania è difficilmente raggiungibile da altri paesi europei. Ma questo perché il loro sistema politico è riuscito a mantenersi più stabile rispetto a quello degli altri, tra cui il nostro. Considera anche una cosa molto curiosa.

L’Europa è il perimetro della sovranità, dell’economia, della cultura, dei diritti. È il nostro spazio, che non è la globalizzazione, ma è il nostro spazio dentro il mondo globale


Marco Piantini

Quale?
In Italia non abbiamo in Parlamento nessuna delle forze politiche presenti nell’assemblea costituente. Credo sia una caso unico al mondo di democrazia che non ha nessuno dei partiti che ha elaborato la propria costituzione nelle camere elettive. Per di più, non c’è stato nessun altro patto costitutivo successivo. Quella che chiamiamo Seconda Repubblica non è mai stata formalizzata. E questo rende il nostro dibattito paradossale.

In che modo?
Stando al nostro dibattito politico sembra di essere dentro una guerra civile permanente. Siamo nel 2019. Il mondo viaggia ai 1000 all’ora. Abbiamo i robot che ci bussano alla porta, i droni che ci portano la spesa a casa, e noi siamo ancora qui a vederci come Guelfi e Ghibellini! Ci aspetta una legislatura europea interessante e spero si possa imparare dagli errori fatti. Il grandissimo tema dello sviluppo sostenibile ci dà la possibilità di parlare ai più giovani e che dimostra come l’identità europea sia già tra noi. I ragazzi che stanno affrontando questa battaglia possono ottenere dei risultati solo se si vedono e si definiscono come europei, e riescono a determinare scelte politiche di dimensione europea. Se per i nostri nonni l’Europa era un obiettivo da dare per scontato, per i nostri nipoti è destinata a essere una dimensione naturale.

Nel libro parli della necessità di un “piano Delors 4.0”. Un progetto di ampio respiro tra tecnica e politica.
Sicuramente gli ultimi anni dell’Europa hanno mostrato molti limiti. Mancano sufficienti strumenti di governo di politiche anticicliche in risposta alla crisi economica. Certo la politica estera comune deve ancora essere fortemente sviluppata, e dico il minimo. Ma nel frattempo abbiamo avuto come UE un ruolo significativo, che magari col corso del tempo verrà maggiormente riconosciuto, sia nell’accordo sul nucleare in Iran, in mezzo a mille difficoltà, sia e forse soprattutto per l’accordo storico tra Grecia e Macedonia del Nord. Una conferma della capacità di attrazione europea.

Ad esempio?
Penso al “corpo europeo di volontario” avviato negli ultimi anni. Sarebbe una buona cosa se una nuova generazione crescesse dentro l’Europa maturando esperienze professionali grazie a strumenti europei. E poi penso alla definizione del progetto di sviluppo economico. Qui l’Europa può tornare a essere un fattore di trasformazione della società. Come la pace ha cambiato la società nel dopoguerra, uno sviluppo più equilibrato può cambiarla adesso. E ne abbiamo tutti un gran bisogno.

Che ruolo può giocare la politica, quindi, dentro l’Europa?
Può assumere la dimensione europea come quella che ti permette di cambiare in meglio la società e dare risposte ai cittadini. Assumere l’Europa come materia di studio e motivo per riqualificare la classe dirigente. Può iniziare a considerare l’Europa come il nuovo perimetro indispensabile perché è il perimetro in cui si muove la nostra economia, in cui si muovono i nostri studenti e i nostri ricercatori. L’Europa è il perimetro della sovranità, dell’economia, della cultura, dei diritti. È il nostro spazio, che non è la globalizzazione, ma è il nostro spazio dentro il mondo globale.

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