Il genere degenerato (a mo’ di premessa). L’agiografia, in politica, è un genere disgustoso. E pericoloso. Il politico – che non speriamo sapiente, per lo meno decente – è stato scelto (e pagato) dagli italiani per fare quello che deve. Non è un eroe. Non è un artista. Non è un santo. Le case editrici dovrebbero smetterla di fare i tipografi dell’ego dei politici, il trionfo della bestia democratica che latra sotto elezioni.
Chapeau. Nicola Zingaretti pubblica il suo libro, Piazza Grande, per Feltrinelli. Matteo Salvini si fa intervistare per Altaforte. Ha vinto Salvini. Dimostrando che il marchio editoriale è niente, conta chi firma. Grazie a Salvini, Altaforte è importante quanto Feltrinelli: la cagnara al Salone del Libro – sontuosamente surfata dal Ministro – ha fatto levitare le vendite, forse è stata architettata a tavolino, forse Nicola Lagioia ha un cuore leghista.
Più che una intervista, una leccata. Salvini ha fatto bene a scegliere Altaforte, ma ha cannato l’interlocutore. L’agiografia, ripeto, è un genere disgustoso. L’intervista di Chiara Giannini – che occupa 50 pagine sulle 150 del tomo – è didattica, soporifera, inchinata. Così non si fa. Si comincia con il massaggio pelvico – seconda riga: “è l’uomo più desiderato dalle donne dello Stivale, anche, di nascosto, da quelle di sinistra, malgrado non abbia propriamente la faccia del latin lover. C’è chi pagherebbe oro per vederlo nella quotidianità della vita privata o solo per prenderci un caffè” – per passare alla bulimia da superlativo – Salvini in bikini da Avenger: “È il supereroe che combatte contro il male, il Clark Kent che di giorno è una persona comune, tra la gente, ma che all’occorrenza si trasforma nel salvatore del mondo”. L’elogio, alchemicamente, si volta in ridicolo. I leghisti saranno i primi a incazzarsi. Fanno bene.
L’agiografia è un genere disgustoso. L’intervista di Chiara Giannini – che occupa 50 pagine sulle 150 del tomo – è didattica, soporifera, inchinata
Più che un servizio, un ‘servizietto’. Al di là dei reiterati omaggi, pietosi petali di rosa sul cranio del potente (sbilenchi: “Ecco perché Salvini incarna per la maggior parte degli italiani il leader perfetto: è vicino ai giovani, ma anche agli anziani”; cosa significa per la maggior parte degli italiani? Salvini piace a una parte degli italiani, una larga parte, forse, ma non alla maggior parte, per fare ciò bisognerebbe ottenere più del 50% delle preferenze), un paio di cose imbarazzano, immagino, anche il Ministro. La prima è quando la giornalista ricorda che Salvini “aveva rimbalzato” un suo articolo sulla pagina Facebook personale. Apriti cielo. Anzi. Fu l’apertura delle acque. “Era tanta l’emozione che tu avessi rimbalzato ciò che avevo scritto che nella concitazione ho lasciato l’acqua scorrere in bagno. L’inquilina del piano di sotto si ricorda ancora la cascata che scendeva dalle scale”. La seconda è che la giornalista non sa gestire i rubinetti del buon gusto, sbrodola smancerie. Qui è formidabile. “Salvini ha la forza di chi sa parlare col cuore e tirare fuori l’energia dallo stomaco. È uno dei pochi che ha impresso il segno di chi cambia il mondo con le sue azioni e le sue gesta”. Gesta. A me pare che la giornalista gesticoli parole a vanvera. Gesta sta per “Imprese gloriose, eroiche, azioni guerresche, sia singole sia collettive”. Il tentativo di fare di Salvini un eroe si volta al contrario, ne scaturisce una scandita macchietta, uno scondito Mr. Bean più che un Superman.
Un leader preferisce la muleta al red carpet. La debolezza di un leader, di un capo, di un politico è qui. Scegliere uno che gli stenda il tappeto rosso, piuttosto che un matador che gli sventoli davanti agli occhi la muleta color porpora. La vera prova di forza sarebbe stata costruire un libro avventato, avventuroso, viscerale, bastardo, feroce, indifeso e indipendente. Invece. È il solito libro promozionale pre-elettorale. Questo, da Salvini, non me lo sarei atteso.
Abbecedario autobiografico di un uomo che dorme con due cuscini. L’intervista, perciò, non c’è. Il libro raccoglie una sfilata di politicanti ovvietà – Salvini dice qui meno di ciò che dice ogni giorno in giro o sui social – e un florilegio di memorabilia del ‘capo’. Eccone una scelta:
Subbuteo vs. Playstation. “Il Subbuteo per esempio, i miei figli non hanno nemmeno idea di cosa sia, eppure per molte generazioni è stato l’equivalente della Playstation”.
Il sogno di tutti gli italiani. “Il grande sogno impossibile era quello di fare il calciatore”.
Il fumo. “Smetto per un po’, poi riprendo, poi rismetto, poi riprendo. Lo so che è un vizio idiota. Ma non è facile non ricascarci…”.
La pesca. “La pesca mi aiuta a rilassarmi” (vista in tivù). Al contrario, “Se accendessi il canale tematico del Milan allora sì che la mia concentrazione sarebbe davvero a rischio”.
I figli. “I miei figli mi danno la forza. Loro sanno quel che sto facendo e che lo faccio per loro” (scena straziante, da Cuore).
Il pupazzetto di Zorro e l’intervento di Recalcati. “Andavo all’asilo mi pare e niente, mi portavo dietro sempre questo pupazzetto di Zorro finché un giorno non me l’han fregato. A raccontarla adesso sembra chissà quale predestinazione, chissà magari diamo lo spunto a Massimo Recalcati per fare una puntata sui traumi infantili di Salvini, quando invece è stato semplicemente il primo impatto con l’ingiustizia”.
I miti: Bossi & Baresi. “Su Bossi ammetto di non riuscire a essere imparziale. Lui, insieme a Franco Baresi, sono stati i miti della mia gioventù”.
I giornali (ovvero: un esempio di cerchiobottismo). “Lei non ci crederà, ma mi piacciono tutti, alcuni sono effettivamente ben fatti, altri li apprezzo sotto forma di narrativa fantasy”.
La canzone. Piccole Cose, di J-Ax e Fedez, “due che giustamente non perdono occasione per insultarmi, ma va beh”, nella parte in cui “interviene la voce di Alessandra Amoroso, bellissima”.
Il libro. “Un uomo, di Oriana Fallaci”; ma anche “il raffinatissimo scrittore Alessandro Baricco”. Stop.
La droga (ovvero: esercizi di tautologia). “Io credo che la droga sia solo il sintomo e non la causa di un vuoto più grande”.
Abbracciare il cuscino. “Sì, sì, dormo. Con due cuscini, per di più, perché uno lo devo abbracciare. Lo faccio da sempre”.
Anamnesi del capo. Ecco, se i dettagli sciorinati sopra costituiscono l’identità di Salvini, la radiografia del ‘capo’, beh, meglio scegliersene un altro, di capo. Ma cosa m’importa di Zorro, dei due cuscini da notte, della pesca e del Milan? Di un capo non vogliamo i dettagli, infimi per natura, ma il sangue; ai pop corn preferiamo la costata.
Sono una persona normale. E allora perché dovrei votarti? Quando parli continuamente, vuol dire che non hai nulla da dire; quando ti mostri in pubblico continuamente, significa che hai paura di scomparire, ti stai conficcando nell’oblò dell’oblio. “Senza peccare di modestia io credo che le persone apprezzino il mio essere rimasto essenzialmente una persona normale”, dice Salvini. E qui cade il carisma di cartapesta. Tutti i politici, che fanno una vita a-normale, godono nel dire di essere “normali”, perché l’elettore li prenda in simpatia. Manca uno scarto, uno scatto, il turbamento che scandisce lo scandalo della differenza – se sei come me perché dovrei votare proprio te?
Ezra Pound al posto di CasaPound. A Salvini farei dono del Chung Yung. L’asse che non vacilla, la traduzione di alcuni testi confuciani da parte di Ezra Pound. Un manuale politico eccellente, in cui si definisce il genio del governare. “L’uomo di razza s’impernia sull’invariabile e ha fede. Ritirarsi dal mondo non visto, senza essere irritato, la sua sapienza ignota, solo il santo o il saggio possono farlo”. Capirà?
Quanto al resto, questo libro, politicamente irrilevante, non sta bene neanche nella teca dei fan, sciupa il bustino politico di Salvini.