Il nuovo “ardito” accordo per la Brexit presentato ieri da Theresa May è simile al precedente piano Brexit bocciato tre volte dalla Camera dei comuni che non era né nuovo né ardito. Questa volta cambia il formato: dieci modifiche all’accordo che ha raggiunto con la Commissione europea per uscire dall’Ue per tentare di convincere i volenterosi. Ma otto di questi punti sono concessioni già annunciate negli ultimi sei mesi. E il problema rimane sempre e solo quello: l’unione doganale per evitare il ritorno del terrorismo nel confine nordirlandese. I brexiters non la vogliono per avere la libertà di stipulare accordi commerciali con qualunque Paese senza vincoli, mentre l’Unione europea la pretende per firmare l’accordo, stessa posizione dei laburisti che considerano la permanenza nel mercato unico l’unico modo per portare a casa una Brexit “soft” che non danneggi l’economia inglese. Per scontentare tutti May tira fuori dal cilindro l’ipotesi di un’unione doganale temporanea, lasciando al prossimo governo la decisione se negoziare con la Commissione europea un’alternativa al backstop o rinnovarla per sempre una volta usciti dall’Ue. La seconda novità, anzi l’unica vera novità, è l’amo che ha tirato ai parlamentari inglesi: il Parlamento potrà votare un possibile secondo referendum per rimanere nell’Ue in cambio del sì al suo accordo. Anche se l’8 marzo la Camera dei Comuni ha già bocciato questa ipotesi. L’ennesimo segnale, come se ce ne fosse bisogno, che May ha un’ossessione: far approvare il suo accordo per mantenere la parola data quando nel 2016 diventò leader dei conservatori: ottenere un accordo per uscire dall’Unione europea.
Il rischio calcolato dalla May era quello di offrire l’ipotesi di un secondo referendum sull’uscita del Regno Unito e perdere qualche voto dei deputati conservatori per guadagnare quello della maggioranza dei laburisti. Ma è rimasta in mezzo al guado, scontentando tutti. Pochi minuti dopo il discorso pronunciato a Londra, il leader del Labour Party Jeremy Corbyn ha detto alle televisioni che voterà contro perché è un accordo rimaneggiato rispetto a quello offerto lo scorso venerdì, quando è fallito il colloquio tra i due partiti: «Sugli elementi chiave: dogana, allineamento del mercato e tutela ambientale, quello che il primo ministro definisce il suo nuovo piano Brexit è in realtà un riconfezionamento dello stesso vecchio cattivo accordo» ha detto il leader laburista. Corbyn non ha tutti i torti e non vuole cadere nella trappola, perché non è credibile l’offerta di una premier che sta per dimettersi e probabilmente sarà sostituita da un leader ancora più intransigente. sul tema Brexit. La premier non avrà nemmeno l’aiuto di quei pochi brexiteer che a marzo decisero di appoggiare il suo piano come ultima ratio per evitare di rimanere per sempre nell’Unione europea. Ora la truppa di ribelli è passata da 34 a 44. Tra questi ci sono il leader dei brexiters Jacob Rees-Mogg e l’ex ministro per la Brexit David Davis. In effetti, ora che la Brexit è stata rinviata, perché dovrebbero votarlo a tutti i costi?
Ormai May è diventata il Willy il Coyote della politica inglese. Come il personaggio dei Looney Tunes che in ogni puntata insegue il road runner Beep Beep ma non lo cattura mai, la premier cade vittima dei suoi piani machiavellici
Ormai May è diventata il Willy il Coyote della politica inglese. Come il personaggio dei Looney Tunes che in ogni puntata insegue il road runner Beep Beep ma non lo cattura mai, la premier cade vittima dei suoi piani machiavellici. Dinamite che esplode prima del dovuto, sassi che le cadono in testa, strade che finiscono nel muro, Willie il Coyote ricomincia ogni giorno il suo inseguimento anche se sa che non ce la farà mai. Perché è l’unica cosa che può fare. Così May continua ad agghindare il suo accordo morto e sepolto politicamente nonostante le continue bocciature della Camera dei comuni perché è il suo destino politico. Senza quell’accordo la sua premiership non ha ragione di esistere.
E così il vecchio “nuovo” accordo di May si voterà nella prima settimana di giugno e già inizia il conto alla rovescia per capire quanti minuti dopo la bocciatura in Parlamento si dimetterà la premier che ha definito il voto come «l’ultima chance» di un accordo trasversale sull’uscita dall’Ue. «Votare no vorrebbe dire votare contro la Brexit». La premier da mesi è una “dead May walking” e la sua ostinazione ha portato il partito conservatore a crollare nei sondaggi: è al 12% mentre il Brexit Party creato qualche settimana fa da Nigel Farage vola al 29%. May è riuscita nell’impresa impossibile di peggiorare la situazione e perdere ancora più credibilità ed è come se giocasse a biliardo con una corda al posto della stecca. L’ex direttore del The Economist Bill Emmott lo aveva previsto in un’intervista a Linkiesta qualche mese fa: l’ipotesi di un secondo referendum sarebbe stato l’asso nella manica della premier per far approvare l’accordo. Ma per la maggior parte dei conservatori quello è il punto di non ritorno.
May ha promesso di fissare l’elezione del suo successore dopo il voto sul suo accordo. Tutto è nelle sue mani perché fino a dicembre nessun altro collega di partito può sfidare la sua leadership perché Theresa è passata indenne al voto di sfiducia l’anno scorso. Difficile credere che la premier rimarrà in caso di quarta bocciatura ma May è diventata maestra nel prolungare l’agonia politica. E così i dieci punti sono un altro tentativo di prolungare la sua travagliata carriera politica, in attesa di una nuova bocciatura e un nuovo premier, magari dai capelli biondi. L’ex ministro degli Esteri Boris Johnson considerato un brexiter duro e puro è pronto a vestire i panni di Willy il Coyote per catturare finalmente la sua Brexit entro il 31 ottobre quando il Regno Unito uscirà automaticamente dall’Unione senza accordo. Ma a meno di clamorosi colpi di scena, conosciamo già il finale di questo cartone.