Possiamo dirlo con una buona dose di certezza: è molto difficile mangiare male a Torino. A differenza di altre grandi città italiane dove è possibile subire cocenti delusioni, Torino non delude mai. D’altra parte, il riservato Piemonte è una delle regioni italiane più interessanti dal punto di vista gastronomico, non soltanto per la bontà dei cibi ma anche per la cura dei dettagli e per l’attenzione al servizio. Ovviamente, resta viva l’impronta sabauda. Mai nulla di eccessivo, insomma. A Torino non trovate ancora ristoranti con le tre stelle Michelin come a Roma e Milano, ma quest’anno i ristoranti con una stella sono diventati sette, record storico per la città.
Tra piatti della tradizione rivisitati e grandi sperimentazioni culinarie, ecco dunque una lista di cinque ristoranti torinesi che val la pena visitare.
Del Cambio
La guida Michelin lo considera “uno dei ristoranti storici più eleganti d’Italia”. Non è strano imbattersi a Torino in posti così, ma il ristorante del Cambio, fondato nel 1757, accanto ai decori e agli arredi del XIX secolo, ospita anche inaspettate opere di artisti contemporanei, con una sala dedicata a Pistoletto.
A governare la cucina c’è Matteo Baronetto che affianca ai piatti della tradizione creazioni dalla forte personalità. Baronetto è un cuoco che ha dato un grande contribuito allo sviluppo della cucina italiana d’avanguardia nei primi anni Duemila. Abile nell’alternare manicaretti di stampo tradizionale a piatti più moderni e creativi, nel suo menu fanno capolino proposte sintetiche, ma altamente eloquenti come il riso Cavour, la finanziera e il giandujotto.
Tre i menu: il Piemonte sabaudo del Tradizione, il “Nel Tempo” (che gioca con i piatti-icona d’Italia in versione canonica e riletti a confronto) e il quello chiamato della “Ispirazione Ragionata”. Qui Baronetto esprime tutto se stesso: dall’insalata piemontese (un vero e proprio labirinto sensoriale) all’indivia belga con katsuobushi, Nori, maionese al vitello e essenza di limone, abitano piatti pensati come autonomo e globale universo gustativo.
Completano l’offerta il light lunch, l’eccellente caffè “Farmacia” e “Il tavolo della cantina”, uno spazio collocato nelle fondamenta fisiche e spirituali del ristorante che custodisce ben 19 mila bottiglie, sede di cene conviviali e degustazioni. Al piano superiore, infine, il Bar Cavour: arredi scuri, luci soffuse e sapori classici con qualche vago spunto di modernità.
Al Gatto Nero
Il locale nell’attuale sede è stato inaugurato negli anni ’60, ma la tradizione di questo ristorante si tramanda di padre in figlio dagli anni ’20. Il Gatto Neroè un ristorante davvero molto classico, perfetto per chi ama tornare e ritornare volentieri in un luogo sempre uguale a se stesso. L’attuale Gatto Nero fu progettato da un importate architetto che si ispirò allo stile mitteleuropeo per un design accurato: per questo motivo, oltre alla buona cucina, è molto apprezzato da architetti e interior design.
La cucina propone piatti tradizionali e sani, la scelta delle materie prime è fatta in modo maniacale, selezionando in modo molto accurato le materie prime. I piatti proposti subiscono l’influenza della cucina piemontese e della cucina toscana. Si va dalla concia, antica preparazione dei conciai di pelle, ottenuta dalla lunga cottura di musetti, guance e testine, al toast di pecorino, ovvero pecorino tostato fuso su pane tostato con olio. Tra i capisaldi: salumi e crostini di milza, salsiccia “drogata” alla griglia con fagioli, zuppa di pane e cavolo nero “ribollita”, la garmugia, antica zuppa primaverile. Non manca il menu di mare: l’insalata tiepida di mare che è una specialità della casa dal 1962, il baccalà mantecato con le patate e l’olio extravergine di oliva, i calamari alla griglia.
Buoni i dolci: in particolare, lo zuccotto fiorentino al cioccolato e il gelato di pistacchi con gin Tanqueray e pepe nero. La cantina è ben assortita sia per vastità che per rarità: si può scegliere tra un migliaio di etichette nazionali e internazionali. Il Gatto Nero propone anche un menù degli assaggini, una sorta di menù degustazione con 7/8 portate
Magorabin
In dialetto piemontese, Magorabin è l’uomo nero o meglio lo spauracchio con il quale si tengono a bada i bambini. Davvero strana come insegna di un ristorante… Ma ancora più curioso è il suo chef-patron dai lunghi dreadlock, amante dei viaggi e delle filosofie rastafariane dell’India, che ha studiato cinema e belle arti ed è finito ai fornelli quasi per caso. Una volta individuata la sua passione, nonché vocazione, è stato un continuo crescere, scoprire e divenire. Marcello Trentini è un vero mago dei fornelli. Non è un caso, potremmo dunque dire, che si sia affermato nella città della magia, l’esoterica Torino. Nei suoi piatti sono rinvenibili echi della tradizione regionale con ingredienti locali e internazionali, grande sinfonia di sapori e una rara combinazione tra audacia, sensibilità, cultura gastronomica e tecniche sopraffine. Siamo in un luogo originale e imprevedibile, un mix tra le atmosfere del Mago di Oz e un surreale film di Tim Barton. Il ristorante Magorabinè davvero una scossa d’inventiva nella Torino tradizionalista e conservatrice.
Dopo 15 anni di attività, il locale ha di recente cambiato sede. Nel nuovo Magorabin ci sono due salottini per sostare prima e dopo la cena, un tavolo sociale con sgabelli per otto e due diverse tipologie di degustazioni. Dalla carta si possono scegliere molte proposte stimolanti: la cialda di riso al nero di seppia, il gianduiotto al foie gras, l’animella con burrata, la capasanta “bruciata” su fondo bruno e polvere di funghi, i plin di faraona, gli agnolotti di coda con dashi di Grana Padano, l’astice con verza e lemongrass, l’agnello con nocciole e clorofilla. Pasticceria assortita e un brownie di cioccolato per il dolce finale. Particolare la carta dei vini curata da Simona, la moglie di Marcello.
Spazio7
È il 2015: Emilio Re Rebaudengo dà vita a Spazio7, ristorante all’interno della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, uno dei centri più importanti al mondo dedicati all’arte contemporanea. Mantiene il nome storico “Spazio”, dato al ristorante nel 2002, anno d’inaugurazione della Fondazione, a cui aggiunge il numero 7, in colore arancione. Il 7 è il numero porta fortuna che da sempre lo accompagna.
Siamo in uno dei luoghi simbolo dell’arte e della cultura torinese. Tante anime si fondono qui a ogni ora del giorno: ristorante, caffetteria, bistrot, trattoria contemporanea e lounge bar. L’accoglienza è “sabauda”, sorridente e professionale. Rigore e genialità sono la cifra della casa come si può dedurre dall’avvicendamento delle portate, servite in tanti diversi piatti e scodelle disposti in modo curioso sull’immacolata tovaglia.
La prima stella Michelin arriva grazie ad Alessandro Mecca, classe 1984, che inizia la sua carriera nel ristorante di famiglia, “Crocetta” di Torino – dove impara le basi fondamentali del lavoro di un cuoco e scopre la passione per la cucina tradizionale italiana. Arriva poi a Spazio7 nel settembre 2015 dopo tre anni all’Estate di San Martino a Villanova d’Asti. In questo contesto, l’integrazione con l’arte diventa facile e la cucina diventa il prolungamento ideale di un’esposizione dinamica dove i singoli ingredienti vengono combinati in diversi giochi di colori, consistenze, cotture e abbinamenti. Tra le specialità: ziti, peperone crusco, polpettine di agnello e pecorino; astice con radicchio e mortadella; rombo chiodato selvatico, cicorietta, calamaro farcito dei suoi ritagli; albicocca, mandorla e fieno.
Vintage 1997
Ancora una volta un indirizzo storico nella forma, ma contemporaneo nella sostanza. Tendaggi e stoffe, moquette e legni, paralumi ed eleganti boiserie rendono classico e ovattato l’arredo del Vintage 1997, elegante ristorante in zona centrale, tra le mura di un palazzo storico. La cucina è certamente più innovativa. Da poco ha lasciato lo chef Consonni e il testimone è passato alla brigata di bravi cuochi orientati decisamente verso una proposta creativa e intrigante, soprattutto nel menu Luna Park (su prenotazione). Se siete alla ricerca di piatti equilibrati, gioiosi, colorati, che omaggiano ora il Piemonte, ora tutta l’Italia, questo è il posto giusto. Si inizia con insalata tiepida di gamberi e calamari, e con un omaggio a Alain Passard negli ortaggi in citronette e miele d’acacia. Sempre ottimi gli spaghetti alle ostriche fra delicata manteca, potenza del mare e cottura perfetta. Tra le specialità da non perdere anche gli agnolotti di gallina ai profumi dell’orto e il filetto di branzino con gremolada di erbe. Tra i dolci meritano l’assaggio il tortino di cioccolato con sorbetto di limone e il babà con Chantilly. Ampia e ben articolata la cantina con importazione diretta di Champagne ed altri vini esteri. A pranzo, gli adepti dell’alimentazione vegana troveranno una carta in cui scegliere proposte ad hoc per soddisfare il loro appetito.