Infinity warTrenta contro Salvini, ormai è rissa continua: e la politica estera dell’Italia non esiste più

Ormai la ministra della difesa attacca il leader leghista ogni volta che può. Segnale di due visioni opposte dell’Italia nello scacchiere internazionale. L’effetto è un’Italia in mezzo al guado, che non sa decidere con chi stare

HERBERT NEUBAUER / APA / AFP

Di qua o di là? Su o giù? Bibì o Bibò? Per dividersi sul cappello degli alpini (lui che lo indossa all’adunata milanese, lei che no ma dicendo io sono un militare e quello invece…), cioè su uno dei simboli più coesivi e popolari di questo sbrindellato Paese, bisogna mettersi d’impegno. E si deve appunto riconoscere a Matteo Salvini, leader della Lega, vice-premier e ministro dell’Interno, e a Elisabetta Trenta, ministro della Difesa in quota M5S dopo un corposo passato a contatto (analista per il Centro militare di studi strategici) e anche dentro le forze armate (ha lavorato in Iraq e in Libano, è capitano della riserva internazionale), una lena degna di una certa ammirazione.

Per carità, la politica è anche questo. Soprattutto alla vigilia di un voto europeo che, da noi, viene vissuto come un maxireferendum sull’avvenire del Governo gialloverde – chi salirebbe e chi scenderebbe e cosa succederebbe se salisse questo e scendesse quello o viceversa, e come posizionarsi in vista dei movimenti, e mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente. Fatto sta che da mesi Trenta le canta a Salvini e Salvini le canta a Trenta in ogni possibile situazione e occasione.

Prima della penna degli alpini c’erano stati i sibili del ministero della Difesa contro il Decreto sicurezza bis avanzato dal ministro dell’Interno, che propone di trasferire le competenze della Guardia Costiera in materia di sorveglianza marittima al suo ministero (infrangendo una ripartizione di compiti e funzioni che risale addirittura alla Costituzione) e di multare chi soccorre i barconi dei migranti in difficoltà, cosa che secondo i militari viola le convenzioni internazionali sul soccorso in mare.

Per dividersi sul cappello degli alpini cioè su uno dei simboli più coesivi e popolari di questo sbrindellato Paese, bisogna mettersi d’impegno

I commenti usciti in via riservata dagli ambienti della Difesa oscillavano tra il sarcastico (tipo: comunque il decreto è un pasticcio, non potrebbe mai passare l’esame della Corte Costituzionale) e l’irriferibile. Anche se nessuno sottovaluta il senso politico dell’iniziativa salviniana. Il Decreto sicurezza bis è un atto di profonda sfiducia nel M5S partner di Governo, che Salvini sospetta di voler sabotare la politica dei porti chiusi contro l’immigrazione irregolare. Ovvero, la più salviniana delle politiche. Non a caso lo scontro precedente (Salvini loquace, Trenta silente ma con portavoce belli arzilli) si era avuto allorché il pattugliatore “Cigala Fulgosi” aveva raccolto in mare 36 migranti che erano “in imminente pericolo di vita”. Salvini aveva attaccato chiedendo “Perché in acque libiche?”, la Marina aveva risposto sottolineando che il barcone era stato soccorso a 75 chilometri dalla costa (le acque territoriali si spingono fino a 12 miglia nautiche, ovvero 22,2 chilometri, dalla costa). Salvini aveva ribadito che i porti erano chiusi, Conte era intervenuto per dire che c’era un accordo per la ridistribuzione dei 36 in diversi Paesi europei. Poi la polemica era stata archiviata.

Prima ancora c’era stata la famosa direttiva del 15 aprile, quella partita dal ministero dell’Interno e indirizzata a Polizia, Carabinieri, guardia di Finanza ma anche agli Stati maggiori dell’Esercito e della Marina, oltre che alla Guardia Costiera. In quella direttiva Salvini mostrava preoccupazione per i movimenti della nave “Mare Jonio” dell’Ong Mediterranea e invitava a verificare che le sue attività rispettassero le leggi nazionali e internazionali sul soccorso in mare e gli ordini delle autorità italiane. La direttiva si chiudeva con una frase (“Le Autorità militari e di polizia destinatarie del presente atto ne cureranno l’esecuzione”) che fece drizzare i capelli in capo ai militari, che già si vedevano sottoposti agli ordini di Salvini. Proteste dei generali e degli ammiragli, ma non solo per spirito di corpo. Di nuovo, la questione di fondo era profondamente politica. La ministra Trenta aveva appena finito di dire che, con la guerra in Libia in pieno svolgimento, chi scappava verso l’Italia “è un rifugiato”. E alle obiezioni di Salvini, ovviamente, ma anche di altri, aveva risposto puntuta invitando tutti al ministero della Difesa, “così gli spiego un po’ di diritto internazionale”.

E poi la Trenta che intima a Salvini giù le mani dai militari, e Salvini che sta con il generale Riccò, e le missioni militari all’estero e poi e poi e poi… Insomma, ogni occasione è diventata buona. Il tutto da far risalire, volendo trovare un inizio, al 16 agosto del 2018, quando la nave “Ubaldo Diciotti” della Guardia Costiera soccorse 190 migranti in difficoltà al largo delle coste libiche. Dopo le solite litigate con Malta, che negò lo sbarco ai migranti, la nave diresse verso l’Italia, per attraccare a Catania il giorno 20.

Secondo le leggi internazionali, le operazioni di soccorso in mare possono dirsi concluse solo quando sia avvenuto lo sbarco in un porto sicuro delle persone raccolte. E lì colpì Salvini, che diede al comandante della “Diciotti” l’ordine di non far scendere a terra nessuno. La polemica si risolse solo il 26, quando tutti i migranti poterono sbarcare. Salvini finì indagato per un reato ministeriale, il tribunale dei ministri di Palermo lo accusò di sequestro di persona aggravato, al M5S toccò pure salvarlo, in Senato, dall’autorizzazione a procedere, pagando un salatissimo prezzo politico.

Il leader della Lega, curiosamente accusato di essere al soldo di Mosca, è così filo-americano da far sembrare anarchici scapigliati i vecchi atlantisti critici come Fanfani e La Pira

Ora, in tutto questo il problema è che litigano in due, Salvini e Trenta, ma ce n’è per tre. E il terzo, con buona pace dell’atarassico ministro Enzo Moavero Milanesi, è il posto dell’Italia nel mondo. Ovvero: la nostra politica estera. La Trenta difende le competenze del “suo” ministero e l’opera dei “suoi” militari ma intanto difende l’idea che l’Italia possa avere una posizione autonoma e nazionale pur restando dentro un quadro di regole internazionali e di rapporti sovrannazionali. La polemica con Salvini sta tutta dentro l’evoluzione governativa del Movimento, che è interna ed estera insieme. Se ti proponi come forza eversiva e anti-sistema puoi vincere le elezioni ma non cambiare l’Italia. E non puoi cambiare l’Europa se la giudichi da fuori con la puzza sotto il naso, trascurando la forza (Brexit docet) e la logica di certi legami. Avversare Emmanuel Macron e il suo cinico sovranismo neocoloniale è un’opera benemerita. Avversare tutti è un inutile suicidio.

Salvini fa il percorso opposto. Prende tutto a pallate, si propone come uomo contro, ma così il suo “prima gli italiani” diventa uno slogan vuoto. Il leader della Lega, curiosamente accusato di essere al soldo di Mosca, è così filo-americano da far sembrare anarchici scapigliati i vecchi atlantisti critici come Fanfani e La Pira. E non pare che gli Usa attuali, che impongono dazi sui prodotti europei, intimano all’Italia di spendere di più per la Nato e intanto tengono da noi 72 delle loro bombe atomiche, ci spiegano quali gasdotti dobbiamo costruire e da chi dobbiamo farci vendere il gas, abbiano proprio in mente che gli italiani vengono prima di ogni cosa. A proposito: se non ricordiamo male, la Trenta è il ministro che pigia sul freno a proposito dell’acquisto di altri F-35 di produzione americana (dovremmo prenderne in tutto 90 per un costo di 14 miliardi di euro, più altri 35 di costi operativi nei trent’anni a venire) mentre Salvini è il ministro che giudica “un danno per l’economia italiana” ogni ipotesi di revisione dei contratti.

La stessa cosa vale per l’Europa di cui tanto si discute. Cambiarla? Ottimo! Ma con chi? I sovranisti del blocco di Visegrad, amici di Salvini, non saranno il demonio, anche se respingono i migranti. ma di sicuro, Polonia forse a parte, non contano un fico. E anche la Polonia, con tutto il suo boom economico, è pronta persino a pagare pur di avere una base americana sul proprio territorio. È lì che vogliamo andarci a cacciare? Decidere dove vogliamo stare la dice lunga su chi vogliamo essere. Ma anche non decidere la dice lunga. Sapevatelo, cari Trenta e Salvini.

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