25 anni, scampata alla tratta di prostituzione nigeriana, con una bambina di un anno e un figlio di cinque mesi in pancia. La richiesta di protezione umanitaria di E., nata l’1 Aprile 1994, in Nigeria, risale a prima dell’introduzione del decreto sicurezza voluto da Salvini ed è addirittura antecedente al ministro Marco Minniti. Ciò nonostante la giovane nigeriana, madre di due figli, si è vista revocare il diritto di protezione umanitaria e ha avuto l’obbligo di lasciare la struttura Cas in cui è ospitata, nella provincia di Matera. A denunciare il caso è stata l’associazione “LasciateCIEntrare”.
Nonostante le recentissime sentenze del Tar della Basilicata con le quali il tribunale ha ribadito il principio di irretroattività del Decreto sicurezza, le Prefetture lucane hanno inviato circolari e disposizioni perentorie (quella di Matera) e avvisi blandi di revoca tramite assistenti sociali (Prefettura di Potenza) che prevedono la revoca (più o meno immediata) della misure di accoglienza per tutti i titolari di protezione umanitaria presenti nei Cas. I Cas, a differenza degli Sprar, non prevedono percorsi sociali e lavorativi per i richiedenti, e non sono la struttura adatta per soggetti ad alto tasso di vulnerabilità come la madre nigeriana in questione, ritenuta fin da subito un soggetto bisognoso di un percorso Sprar che le consentisse di ottenere la protezione umanitaria rispetto alla tratta nigeriana. Le prefetture di Matera e di Potenza si rifanno alla circolare del 27 dicembre emessa da Matteo Salvini.
Come prevedibile, Il Decreto sicurezza (d.l. n. 113/2018, convertito in l. n. 132/2018), a parte i dubbi sulla legittimità espressi da più parti, sta andando nella direzione della retroattività, nonostante inizialmente, già con un’ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4890 del 23 Gennaio 2019), si fosse reputato che il provvedimento non si potesse applicare alle domande di permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima della sua entrata in vigore (5 Ottobre 2018). Questo perché, quando è entrato in vigore, il 24 settembre 2018, le decisioni delle Commissioni territoriali in merito alle protezioni umanitarie, più che piegarsi alle diverse interpretazioni di una legge che fin dall’inizio ha presentato falle legali e motivi di fraintendimento (come spiegato in questo articolo), si allineano alle circolari inviate dal Ministero dell’Interno alle Prefetture (l’ultima risale al 27 dicembre 2018 ) e dai comizi che Matteo Salvini ab imo pectore tiene durante le campagne elettorali, proprie e altrui.
Manca proprio la schermata nei computer dei funzionari della questura per poter stampare nuovi permessi umanitari
Matteo Salvini, a Potenza l’1 Giugno per sostenere il leghista Mario Guarente candidato a Sindaco della città, durante il comizio ha detto di volere scongiurare “che il modello Riace venga esportato a Potenza e in Basilicata” e ha parlato di sicurezza, di ordine, di fatti. Ad oggi l’unico fatto è che il Decreto sicurezza comporta un tale numero di restrittive e di asterischi che permettono la retroattività, da minare esattamente il principio al quale, almeno sulla carta, si ispira: la sicurezza di tutti.
Tanto più che per la ragazza in questione non è più possibile avere il permesso di protezione umanitaria, perché le questure non hanno più il permesso di stamparne. Manca proprio la schermata nei computer dei funzionari della questura per poter stampare nuovi permessi umanitari. Da quando è entrato in vigore il Decreto voluto da Matteo Salvini sono aumentati i permessi speciali cosiddetti “per motivi di salute”, che, a differenza dei permessi umanitari, non sono convertibili in lavoro, sono al massimo rinnovabili di volta in volta.
A difesa della ragazza nigeriana c’è l’avvocato Angela Maria Bitonti del Foro di Matera, referente Asgi Basilicata, che ha deciso di appellarsi nuovamente al Tar contro un “provvedimento palesemente illegittimo”. Due sono le doglianze esposte in appello contro la revoca. La prima consiste nel fatto che il riconoscimento umanitario è avvenuto il 3 maggio, e il 16 maggio è stato revocato, nonostante la giovane donna nigeriana, avendo fatto richiesta di protezione umanitaria prima di Minniti, quindi dipendendo dalla normativa antecendente, avesse diritto ad avere 30 giorni per impugnare in appello la sentenza, essendoci per lei il secondo grado in appello come da legislazione. In secondo luogo, non è stato tenuto conto dalle prefetture di Matera e di Potenza fatto che il soggetto era e sia un soggetto “altamente vulnerabile”, come definito anche dal Tar, e che non abbia mai goduto del percorso Sprar, nonostante le sue condizioni. Nonostante il Cas non sia adatto a lunghe permanenze, specie da parte di donne incinte e con figli.
Nonostante le recentissime sentenze il Decreto sicurezza sta andando nella direzione della retroattività
Per l’avvocato Bitonto siamo all’ennesima falla legale di un decreto le cui interpretazioni hanno già fatto vacillare, nell’arco di poco tempo, il sistema giuridico e di accoglienza della Regione Basilicata, dove, dati Istat, gli stranieri residenti e distribuiti pressoché in tutti i Comuni, sono 22.500 e – nel caso specifico – i nigeriani rappresentano il 4,5% di una popolazione inesorabilmente in decrescita a causa delle emigrazioni verso il nord e l’estero. Vanno poi presi in considerazione 2.526 immigrati presenti in centri di prima accoglienza Cas o Sprar in Basilicata, che non sempre hanno richiesto la residenza, perché non sempre hanno accesso ai percorsi di inserimento lavorativo garantiti appunto dagli Sprar.
Alla domanda del perché, nonostante lei stessa confessi di essere stata scoraggiata e invitata da più parti a desistere nella difesa della giovane nigeriana, l’avvocato Bitonto abbia preso a cuore la faccenda, risponde: “è tutta la vita che studio e sto seduta dietro una scrivania, da lì sto in trincea e combatto per i diritti, questa è la mia specializzazione e andrò fino in fondo”. “Sono un soldato” aggiunge, “altre questioni non mi interessano, se abbiamo la Costituzione e abbiamo l’articolo 10 non c’è motivo di discutere di questioni secondarie”.
La ragazza nigeriana ha diritto alla gratuita attività giudiziale che sta portando avanti l’avvocato Bitonto, e però, se il Tribunale di Potenza dovesse revocare il beneficio del gratuito patrocinio, come sempre più spesso accade, rimane a spese dell’avvocato. E di aiuti esterni finora? “Ci sono soltanto la Caritas e i cittadini di buona volontà che fanno a gara di solidarietà”, altri appoggi, politici e atro, non pervenuti. Alla domanda del perché tanta fatica contro i mulini a vento, l’avvocato Bitonto risponde: “in 15 anni non ho mai incontrato un terrorista, solo gente bisognosa di aiuto per risollevare la propria dignità”.