Gastronomia del mondoVai in Vietnam e poi muori: oppure, mangi un delizioso banh mi (che sarà il sandwich del futuro)

Il panino tradizionale e simbolico del Paese è il frutto di una fusion, si direbbe oggi, tra la baguette dei conquistatori francesi e il ripieno della tradizione locale. Il risultato è molto apprezzabile

da Flickr, di Jason Lam

Non mangiano baguette, ma una cosa che somiglia molto: il “banh mi”. È il tipico, classico, diffusissimo panino vietnamita, uno dei primi prodotti della globalizzazione (quando ancora si chiamava colonialismo) che segnava l’incontro tra le abitudini dei francesi e quelle dei vietnamiti. I primi, che erano arrivati nel sudest asiatico nella seconda metà del ’700 per convertiri, ci mettono il pane, con la sua classica forma allungata. I secondi, invece, aggiungono il condimento.

Certo, anche in questo caso il processo è lungo: dai tentativi di conversione si passa alla vera e propria conquista, quando il Vietnam nel XIX secolo diventa parte dell’Indocina francese, ed è in quel momento che i primi beni di consumo – e soprattutto le prime cibarie – di origine transalpina arrivano fin laggiù.

Sia chiaro, il banh mi, nuova creazione fusion tra due mondi, era ancora appannaggio delle classi più abbienti. Il costo delle farine di importazione era ancora troppo alto, per cui la maggior parte della popolazione rimaneva a guardare. A volte anche con un certo disprezzo, soprattutto nel Nord del Paese, dove è chiamato “banh tay”, cioè “panino occidentale”, a segnarne il distacco, la novità e la diffidenza.

Fu solo con la fine della Seconda Guerra Mondiale che, insieme al crollo dei prezzi dei beni di consumo primario, che il banh mi diventa una realtà anche per la maggior parte della popolazione. Ma attenzione: la transizione non è ancora completa. Il ripieno, almeno all’inizio, segue in modo pedissequo l’esempio francese: si usa il burro, ottimo per la colazione mattutina insieme allo zucchero, oppure prosciutto, magari spalmato insieme alla maionese e a qualche paté per i pasti di mezza giornata, spuntini e aperitivi.

È con la divisione tra i due Vietnam che avviene l’ibridazione: le masse di vietnamiti del Nord sfollate al Sud aprono chioschi e vendono panini, inventando per necessità nuove ricette. Al jambon francofono viene sostituito il più diffuso cha, cioè salsicce di maiale tradizionali. Si aggiungono verdure e spezie, c’è il coriandolo e la carota, più salse tipiche della zona. Anche la composizione della farina cambia, e passa al riso. In breve diventa un prodotto di massa, diffuso e mangiato per le strade con una connotazione ormai solo vietnamita.

È il tempo della guerra che sconvolgerà tutto, le emigrazioni e i disastri economici rallenteranno ancora la sua produzione, mentre nuove ricette, elaborate dai profughi vietnamiti nelle cucine Usa, nascono per conquistare il mondo. È, tutto sommato, la via più lunga intrapresa dalla baguette per passare dalla Francia all’America.

Oggi si contano numerose varietà, con porco, pesce, pollo e perfino gelato. Tutte delizie che arricchiscono la società e il Paese vietnamita. Ma, va detto, non lo rendono ancora la quinta potenza economica mondiale.