Francesco Basile, il rettore dell’Università di Catania è stato sospeso dalla sua funzione, e con lui altri nove professori dello stesso ateneo. I dieci risultano indagati per associazione a delinquere, corruzione, turbativa d’asta, in relazione a concorsi truccati.
In questi giorni la Digos ha avviato un’indagine (“Università bandita”) su 27 concorsi, di cui 17 per professore ordinario, 4 per associato, 6 per ricercatore. Gli indagati sono circa 40 e si trovano negli atenei di Bologna, Cagliari, Catania, Catanzaro, Chieti-Pescara, Firenze, Messina, Milano, Napoli, Padova, Roma, Trieste, Venezia e Verona.
Tra i nove professori indagati ci sono anche l’ex rettore Giacomo Pignataro, il prorettore Giancarlo Magnano di San Lio, Giuseppe Sessa presidente del coordinamento della facoltà di Medicina, Filippo Drago direttore del dipartimento di scienze biomediche e biotecnologie Medicina Carmelo Monaco direttore del dipartimento di scienz e biologiche, geologiche e ambientali, Giuseppe Barone ex direttore del dipartimento di Scienze Politiche, Michela Maria Bernadetta Cavallaro direttore del dipartimento di Economia, Giovanni Gallo direttore del dipartimento di Matematica e Informatica, Roberto Pennisi direttore del dipartimento di Giurisprudenza.
La Digos ha eseguito le indagini dal giugno 2016 al marzo 2018. Secondo la procura i bandi di concorso per conferire assegni, borse e dottorati di ricerca sarebbero stati alterati dagli indagati, così come l’assunzione di docenti universitari e la loro progressione di carriera. Ci sarebbero irregolarità anche nell’assunzione del personale tecnico-amministrativo e nella composizione degli organi statuari di Ateneo. Secondo le indagini altri docenti provenienti da tutta Italia sarebbero stati conniventi quando hanno ricoperto la carica di membri delle commissioni d’esame anche se non avrebbero mai interferito sulla scelta del futuro vincitore, decisa preventivamente. L’accusa è di aver sempre scelto il candidato interno anche quando non era meritevole. Come chiarito dalla procura di Catania gli indagati avrebbero fatto delle bonifiche negli uffici pubblici per ridurre il rischio di indagini e accertamenti, intimando a chi osava violare il “codice” scorretto per la scelta dei candidati, ritardi nella progressione della carriera universitaria.