Le nomine delle quattro più importanti cariche dell’Unione europea sono diventate uno stallo alla messicana. Un triello stile Le Iene di Tarantino o Il buono il brutto e il cattivo di Sergio Leone. Scegliete voi il film: il risultato è lo stesso. Liberali, socialisti e popolari sono rimasti tutti e tre sulle loro posizioni e hanno appoggiato i candidati di riferimento. Il buono, il premier spagnolo Pedro Sanchez non ha posizioni dogmatiche ma vuole far sentire il peso della Spagna dopo tanto tempo di periferia politica. Il presidente francese Emmanuel Macron più che brutto, è imbruttito dai continui incontri. La cattiva, forse meglio dire “cinica”, cancelliera tedesca Angela Merkel non ha fretta: «Il nostro obiettivo sarà trovare una soluzione entro la prima assemblea del Parlamento europeo». Tradotto: i primi di luglio. Ma la sensazione è che si arrivi prima alla decisione. I tre fotografati mentre parlavano di sera tardi con il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk hanno provato a sbloccare lo stallo fino a tardi. Ma stando così le cose nessuno degli spitzenkandidat proposti dai tre partiti della nuova maggioranza europea sopravviverà il primo turno di negoziati. L’unico modo per trovare il compromesso è rinunciare al proprio candidato e pescare tra chi è rimasto all’ombra. Ecco perché il prossimo presidente della Commissione europea non sarà Manfred Weber del Ppe, scaricato ieri dai socialisti e liberali che hanno dichiarato di non voler appoggiare il tedesco. Anche l’olandese Frans Timmermans dei socialisti europei e l’ex commissaria alla concorrenza danese Margrethe Vestager, hanno poche speranze per la presidenza.
La pietra tombale l’ha sigillata Macron in una breve intervista a Bfm Business: «Il meccanismo dello Spitzenkandidat è una fiction europea, che nessuno conosce nei nostri Paesi». Rimane sullo sfondo il gruppo di Visegrad, l’unione informale dei premieri di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, che vuole uno dei quattro posti per un centroeuropeo. Ieri si sono messi d’accordo per votare allo stesso modo, ma attendono che la situazione evolva. «Ieri ero cautamente ottimista. Oggi sono più cauto che ottimista», aveva twittato Tusk dopo aver visto Merkel e Macron prima del summit. Una cosa sembra certa: il presidente della Commissione europea sarà a un candidato proveniente dal Ppe. Perché un conto è rigettare lo spitzenkandidat Weber per mancanza di carisma e curriculum, un altro è fare uno sgarbo al gruppo più votato nel Parlamento europeo. L’ha spiegato ieri Silvio Berlusconi: «La riunione serve per individuare dei protagonisti del Partito popolare europeo che possano essere votati anche dai parlamentari degli altri gruppi».
Da mesi diciamo che il favorito per la presidenza della Commissione europea è Michel Barnier per una serie di ragioni. È francese, del Ppe, ha guidato in modo fermo e convincente il negoziato Brexit e da presidente potrebbe attuare meglio di tutti il piano per gestire l’uscita del Regno Unito senza accordo. E già cinque anni fa si candidò per il ruolo ma gli fu preferito Jean-Claude Juncker. Barnier accontenterebbe tutti e darebbe la possibilità alla Germania di mettere un tedesco alla Banca centrale europeo. Ma ci sono criteri di genere e geopolitici da rispettare. I quattro ruoli più importanti dell’Ue non possono andare solo a dei politici uomini dell’Europa occidentale. Serve almeno una donna, due preferibilmente. E almeno un ruolo dovrebbe andare a un politico del Centro-Est Europa. Per questo si parla di Kristalina Georgieva, bulgara che lavora alla Banca Mondiale che due anni fa si candidò per diventare segretario Onu. Ma anche Kolinda Grabar-Kitarović, prima presidente croata donna di sempre o la presidente della Lituania Dalia Grybauskaitė. Secondo il sito Politico ci sarebbero dieci nomi papabili per quattro posti. L’effetto domino però parte dal presidente della Commissione. Scelto quel tassello si riempirano tutte le caselle per esclusione, accontentando quote di genere e geopolitiche. Tutti avranno la loro fetta di torta. Il socialista Frans Timmermans potrebbe sostituire Federica Mogherini come Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza. Il premier belga liberale Charles Michel potrebbe diventare presidente del Consiglio europeo. Forse ci sarebbe spazio per la verde Ska Keller alla presidenza del Parlamento europeo, almeno per due anni e mezzo, poi si parla di un ritorno di un popolare, magari Manfred Weber come risarcimento. Questa è la previsione più probabile, ma tutto parte dal nome che sarà scelto per il Berlaymont.
Possiamo continuare a urlare di voler un commissario europeo economico e minacciare veti, ma la nostra pistola in questo stallo alla messicana è ad acqua
In questo stallo c’è il grande equivoco alimentato da alcuni politici negli ultimi giorni. La procedura per debito eccessivo non c’entra nulla con le nomine Ue. Il destino dell’Italia non sarà deciso dai 27 leader europei, già impegnati nelle trattative per le cariche, ma dall’Ecofin. Sarà l’organo che riunisce i diciannove ministri delle finanze dei Paesi con l’Euro a dire se eviteremo o meno la procedura. Sì, 19 Stati e non 27. Perché allora si continua a dire che l’Italia potrebbe negoziare un commissario in cambio di una linea morbida sui nostri conti? Consiglio dei ministri Ue e Consiglio europeo avranno pure nomi simili, ma sono due organi diversi. E in più non serve l’unanimità per scegliere i quattro ruoli più importanti dell’Unione europea. Tradotto: per nominare i prossimi presidenti di Bce, Parlamento europeo e Commissione Ue serviranno 21 Paesi su 28. E l’Italia è nei club degli esclusi. Mentre Macron, Sanchez e Merkel decidono il futuro dell’Europa, Conte rimane a parlare su un divanetto giallo con un’altra leader sfiduciata e isolata: Theresa May. Alla faccia dell’Europa da ribaltare dopo le elezioni del 26 maggio.
Per questo quando Conte chiede un commissario europeo di peso, magari legato agli affari monetari, fa sorridere alcuni funzionari di Bruxelles. Per l’Europa siamo come l’avvocato napoletano che due giorni fa, dal suo balcone, in mutande, spiegava a Conte come sbloccare molti procedimenti civili. Le nostre considerazioni strappano il sorriso, ma siamo in mutande. Possiamo continuare a urlare che vogliamo un commissario europeo economico e minacciare veti, ma la nostra pistola in questo stallo alla messicana è ad acqua. A meno che non ci mettiamo una bomba in corpo e minacciamo di far saltare tutti in aria, sperando di trovare una mediazione. Qualcuno ha detto minibot? Purtroppo la credibilità del presidente del Consiglio si è sbriciolata ancor di più dopo la lettera inviata ieri mattina a Bruxelles in cui dice di voler rispettare i vincoli europei ma non spiega come.
Per l’Europa siamo come l’avvocato napoletano che due giorni fa, dal suo balcone, in mutande, spiegava a Conte come sbloccare molti procedimenti civili
Sei pagine da azzeccagarbugli in cui ci sono più dichiarazioni politiche che tecniche. L’unico riferimento ai numeri sono i 2 miliardi di euro congelati nell’ultima trattativa, lo 0.1% del Pil. L’Italia è disposta a farne a meno ma la Commissione li aveva compresi già la scorsa volta. Servono altri cinque miliardi e un compromesso si troverà alla fine prendendo qualcosa dai fondi destinati a Quota 100 e reddito di cittadinanza. Nessuno vuole avere uno scontro con l’Italia con la Brexit ancora irrisolta. E soprattutto nessuno vuole dare una scusa a Salvini per far saltare il governo. La strategia di Conte nei due giorni di Consiglio europeo sembra quella di voler dare l’appoggio a un candidato pronto a rivedere gli accordi europei esistenti. Anche ammettendo che esista, la sensazione è che a nessuno importi di soddisfare le esigenze dell’Italia. E forse è meglio accontentarsi di questo e stare a guardare lo stallo. Sperando che nessuno sparando sbagli la mira e colpisca la bomba a cui siamo attaccati.