C’è Alpha negli ESG, ovvero la capacità di generare profitto. Chi si occupa di finanza sa che con beta si misura la reattività di un titolo in funzione del mercato, e che alpha esprime la sua attitudine a cambiare di valore indipendentemente dall’andamento del mercato. Un indicatore alpha positivo segnala che il titolo è in grado di crescere più del suo mercato di riferimento, mentre un valore negativo indica la possibilità dello stesso a subire perdite indipendentemente dall’andamento generale del mercato. È ritenuto importante dagli investitori perché serve a misurare il ritorno attivo di un investimento, cioè la sua possibilità di battere il proprio indice di riferimento.
A livello globale, il 59% dei consulenti finanziari, il 57% dei fund buyer professionali e il 56% degli investitori istituzionali ritiene che gli investimenti ESG siano una fonte di alpha secondo la survey pubblicata recentemente da Natixis Investment Managers. La percentuale è ancora più importante, 70%, se l’orizzonte è quello dei consulenti finanziari italiani.
L’analisi raggruppa e analizza i dati di quattro indagini globali condotte tra professionisti della finanza, investitori individuali, investitori istituzionali e fund buyer professionali e fa emergere anche un altro dato altrettanto interessante: il 55% degli investitori istituzionali sta pianificando un aumento dell’allocazione negli ESG nel corso del 2019 questo perché è sempre più diffusa la consapevolezza che le strategie ESG possano ridurre l’esposizione ai rischi sociali e di governance non identificati dall’analisi tradizionale. Infatti, oltre la metà (56%) degli investitori individuali ritiene che le società in grado di dimostrare un maggiore livello di integrità supereranno le altre in termini di performance e i quattro quinti (81%) richiedono un allineamento tra gli investimenti e i propri valori personali.
A differenza delle generazioni più anziane, il 56%, dunque la maggioranza degli investitori della categoria millenial e una quota leggermente inferiore della generazione X (48%) hanno dichiarato di voler attribuire ai propri investimenti un impatto positivo sul mondo
A tal proposito è coerente la maggiore domanda di chiarezza e di spiegazioni da parte degli investitori sulle strategie ESG, sul modo in cui sono implementate, sui benefici in termini di ritorni degli investimenti e sulla società in senso lato. Più dei due terzi dei consulenti finanziari (68%) hanno dichiarato che sarebbero più propensi a raccomandare i prodotti ESG se fosse disponibile una migliore documentazione. In Italia la percentuale arriva al 70%.
Questa sempre maggiore sensibilità dimostrata dai professionisti della finanza, a mio parere deriva principalmente dalla crescente richiesta di attribuire rilevanza alle strategie ESG da parte degli investitori. Infatti, la survey evidenzia che la richiesta supera l’offerta, soprattutto presso gli investitori più giovani.
A differenza delle generazioni più anziane, il 56%, dunque la maggioranza degli investitori della categoria millenial e una quota leggermente inferiore della generazione X (48%) hanno dichiarato di voler attribuire ai propri investimenti un impatto positivo sul mondo. Sulla stessa lunghezza d’onda solo il 41% dei Baby Boomer e il 30% della Silent Generation. Sembra evidente che la maggiore spinta arrivi proprio dalle persone appartenenti a quella generazione che è stata più volte definita anche come Generazione Peter Pan a causa della sua attitudine a procrastinare alcuni riti di passaggio all’età adulta rispetto ai tempi delle generazioni precedenti, nonché in virtù di una certa preferenza verso una più lunga coabitazione con i genitori. Quando la generazione Z, che ha le idee molto chiare in fatto di nuove tecnologie ma anche di salute e benessere, sarà matura per accedere ai mercati, non sarà più necessario neanche formulari la domanda o redigere indagini. Infatti, quasi i due terzi (66%) degli investitori istituzionali ritengono che l’ESG diventerà una pratica standard nei prossimi cinque anni, rispetto al 60% del 2017
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