Il concorsoneVi racconto la mia giornata da aspirante navigator

Alla prova di selezione per i navigator del reddito di cittadinanza prevalgono le donne, fra i 25 e i 40 anni. Non mancano bambini al seguito. Fra ore di attesa e controlli infiniti, ecco com’è stato

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È stata più forte di me. Non volevo interagire con la folla dei co-aspiranti navigator, mors tua vita mea o più popolarmente, “me despiass ma che te vegna un colp”, come mi ha insegnato un seggiolaio furlano. Ma nel momento in cui ho appreso che la prova del mattino era iniziata con oltre un’ora e mezzo di ritardo e poneva qualche rischio al mio rientro serale nell’afa padana con l’ultimo treno, le finestre della mia monade si sono aperte. Sono andato alla ricerca di cibo, acqua e caffè, risalendo la via Portuense: da un lato il postmoderno della Fiera di Roma e degli headquarter de noartri delle multinazionali, dall’altro le marane, io su una strada a senso unico assediata dai rovi e qualche pioppo a fare ombra. Mi sono sentito ricacciare nello spazio delle marane di “ragazzi di vita” di Pasolini. E di essere in una delle cattedrali del deserto più a nord d’Italia, un modello che è sopravvissuto all’industria e a Pasquale Saraceno.

Al rientro, sono più ricettivo: riprendo il mio mestiere di osservatore. Prevalgono le donne, fra i 25 e i 40 anni, fra gli uomini un po’ più di “anta” passati da un tocco: non sono il nonno dell’infornata, allora! Capto di mariti nel turno del pomeriggio e la moglie al mattino, non mancano bambini al seguito, in braccio o in carrozzina, non vedo più solo i manualoni ad hoc compulsati fin in ultimo seduti gambe incrociate sull’asfalto. E lì tocchi assieme crisi demografica e limiti del welfare all’italiana: i nonni non sono più capaci di gioire dei nipotini per tutta una giornata, e magari anche il giorno prima e il giorno dopo, con genitorialità ritardate allo spasimo…

Dopo un falso allarme (fake news) poco prima delle 13 si apre il cancello. E subito i sorveglianti “partecipanti a destra e accompagnatori a sinistraaa” Ma come? Ancora accompagnati da mammà papà e moroso? Dopo un percorso delimitato da jersey in plastica gialla e un sorvegliante ogni 10 metri (anche meno) entriamo nel padiglione 10. Climatizzato! Wow!

È uno spazio enorme: un bar, toilette, delimitato da guide coi nastri delle code. Tutti disciplinati, in fila di 4-5 persone

È uno spazio enorme: un bar, toilette, delimitato da guide coi nastri delle code. Tutti disciplinati, in fila di 4-5 persone. Ma dura 10 minuti, l’afflusso è tale che la coda s’ingrossa, spancia. Dove sembra esserci altre guide per le code, c’è il guardaroba con le valigie ancora là, da ritirare. Aver avuto accesso alla prima anticamera apre, con le speranze di sedersi presto, la voglia di parlare: “Ma chi ne sa qualcosa di mercato del lavoro”, vite di precariato nella scuola (terza lista), offerte di lavoretti via whatsapp a 5-6 euro l’ora “io ne prendo 7, con un extra per le ore serali”. Un passo avanti. Steward e hostess intrattengono chi chiede informazioni, il punto di identificazione viene dopo, in un altro padiglione.

Al punto di accesso ci sono cinque tavoloni e due-tre sedie ciascuno, dove si sono infilati e accomodati alcuni ragazzi in attesa. Arriva un ragazzo con un cartellino e sfollano: l’attesa mi carica, lo sguardo si aguzza. Ma a che servono due controlli? Fare due code? 10 persone vogliono dire 5 punti di identificazione, mi suggerisce la mia pulsione alla razionalizzazione organizzativa. Dopo aver alzato le saracinesche in uscita dalla stalla, pardon padiglione, alle 14,15 si affaccia un persona con un pass giallo, oopss c’è un problema: un varco condivide la coda con una toilette, allora occorre riposizionare tutti i nastri. No, l’organizzazione e la logistica non fanno per noi!

Alle 14,30 si apre il varco, con gli smartphone controllano i QR, corsa fuori nel sole, con un carabiniere in abiti da operativo e un berretto nero calcato in testa fermo sotto il sole: comprendi la funzione del berretto bianco con la visiera e la divisa cachi estiva che vedevo da bambino, non puoi certo dire che loro le condizioni di lavoro siano migliorate (anzi) nell’inseguire un neo-machismo nel vestiario. Poi corri al secondo varco che ti spulciano fuori il nome da un tabulato e la scheda anagrafica corrispondente da un alto plico: ma come? Dal QR code torniamo alle solite scartoffie? Man mano che ti avvicini al padiglione, passi una teoria infinita di sorveglianti, ancora uno ogni 8-10 metri che ti chiedi ancora perché siano lì e non ai punti di identificazione per fare prima e farci tornare a casa in tempo.

Le ore di attesa misurano l’adesione a questi Valori Intoccabili, la parcellizzazione delle mansioni permette di sigillare questo “nucleo duro” dalle diavolerie degli smartphones, per dirla con Thomson

Alla fine approdi a sedia e banchetto nell’ennesimo padiglione (anche questo per fortuna climatizzato) con altri millanta, armato di pennarello nero (usare solo quello!) e foglio di istruzioni, e dopo un’ora d’attesa che alcune donne incinte, ormai attorno ai quaranta, devono stare più in piedi che sedute, ecco lo speaker.

Nell’alternanza di istruzioni sul procedimento della prova e di richiami al controllo dei documenti di identità (ma cos’hanno controllato prima, cribbio?) ti chiedi ancora perché tutte quelle ore di coda fuori, in anticamera e nel sancta sanctorum, ma hai di colpo l’illuminazione: lo speaker che guida la prova è l’Officiante Supremo del rituale d’accesso allo Stato-Nazione ottocentesco, il Concorso Pubblico, dove al centro di tutto stanno la carta e la procedura, che chiama alla collaborazione facendo silenzio. Perfetto. Le ore di attesa misurano l’adesione a questi Valori Intoccabili, la parcellizzazione delle mansioni permette di sigillare questo “nucleo duro” dalle diavolerie degli smartphones, per dirla con Thomson.

Tornano alla memoria le lontane ore di attesa agli esami orali in università, che il buon Ciccio Indovina ci spiegava essere il luogo di riproduzione del potere di un paese, e comprendi l’ineliminabilità del rituale del concorso come momento di consenso per adesione: eppure, era solo una prova selettiva per un cococo biennale. Agli antipodi del modello weberiano di burocrazia. Ma il rituale è salvo. E sono riuscito a prendere l’ultimo treno per l’afa padana.

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