Tutto come previsto da mesi. Anzi, tutto secondo i piani, verrebbe da dire. Salvini spara ad alzo zero contro la disciplina di bilancio europea, preconizzando mirabolanti tagli di tasse e aumenti di spesa, i mercati si innervosiscono e scommettono contro l’Italia, lo spread si impenna a livelli greci, l’allarme raggiunge i livelli di guardia e – ciliegina sulla torta – arriva l’incidente col ministero del Tesoro che fa salire la tensione all’interno della maggioranza a livelli stellari. L’ultima tessera del domino? Il governo che cade, ovviamente, prima di aver fatto la nuova legge di bilancio. Eccovelo, il tranquillo venerdì di passione che abbiamo appena trascorso. Perché se credete che sia tutto casuale, che tutto avvenga in assenza di strategia, siete fuori strada. Il problema, semmai, è che abbiamo più di una strategia e più di un esito possibile.
Partiamo da Salvini. Lui vuole andare al voto a settembre, ormai lo sanno anche i sassi. Le cronache di Palazzo dicono che abbia giusto ieri abbia incontrato Giovanni Toti, e che la macchina del centrodestra a trazione leghista sia pronta a partire. Tutte le sue sparate di questi giorni, in assenza di elezioni imminenti, hanno l’unico scopo di far saltare il banco: autonomia, condoni e Tav per far arrabbiare i Cinque Stelle, flat tax e indisciplina di bilancio per far salire la febbre dello spread. Come un bambino capriccioso, Salvini sa che l’unico modo di ottenere le elezioni da Mattarella è ricattarlo, costringendolo a scendere a patti, affinché smetta, e sta giocando le sue carte con lucido cinismo.
Poi c’è Tria. Dal cui ministero è uscita ieri una bozza di lettera di risposta alla Commissione Europea che sembrava scritta apposta per far cadere il governo, con l’esplicita indicazione di tagli alla spesa, al welfare, al reddito di cittadinanza e a quota 100. Aggiungiamo maligni: il tutto dopo aver incontrato Salvini, Giorgetti, Borghi, Bagnai e Garavaglia appena un paio di giorni prima. Strano, no? Delle due, una: o il mite ministro della realtà sta giocando una sua partita parallela, mettendo agli atti il suo dissenso dalle ricette economiche di Lega e Cinque Stelle, oppure è parte in causa del tentativo di auto-distruzione della maggioranza di governo, in combutta coi leghisti. Staremo a vedere.
Rimane Mattarella, silente. L’unico che in questo momento preferirebbe la stabilità
È il turno dei Cinque Stelle, per l’appunto. Che non vogliono andare a votare (dimezzerebbero consensi e parlamentari), che vogliono accreditarsi a Bruxelles per strappare uno strapuntino nella grandissima coalizione che sta nascendo (ma Macron incontra tutti tranne Conte) e che tuttavia non vogliono intestarsi da soli una manovra politicamente suicida. Completato il capolavoro screditando Di Maio, che ora vale come il due di picche a briscola, i fu grillini stanno a guardare, inermi e incapaci di prendere decisioni. Nei fatti, per l’ennesima volta, avallando il disegno leghista senza riuscire a monetizzare il consenso, un po’ come coi porti chiusi. Se va avanti così, sarà un massacro.
Anche perché la sponda del Pd, per ora, non esiste. In questa crisi i dem stanno giocando al gatto col topo. Per Zingaretti, infatti, il voto sta diventando la scelta migliore ogni giorno che passa. La crisi dei Cinque Stelle e la polarizzazione con la Lega gioca tutta a favore dei dem, così come del resto la crisi dello spread e le difficoltà economiche dell’Italia (ieri le previsioni Istat sull’andamento del Pil hanno detto, per la prima volta, -0,1%). Settembre sarebbe perfetto, per ZIngaretti e i suoi: perché non darebbe tempo a Renzi e Calenda di formare un nuovo partito; perché potrebbe avere gruppi parlamentari a sua immagine e somiglianza, e maggior margine di manovra futuro, in caso di ulteriori situazioni di stallo; perché la manovra, in ogni caso, toccherebbe a Salvini e Meloni, con tanti auguri.
Rimane Mattarella, silente. L’unico che in questo momento preferirebbe la stabilità. Perché vuole Draghi al suo posto, tra due anni e mezzo, lo sanno anche i sassi ormai, e un parlamento dominato dalla Lega non sarebbe il miglior viatico possibile per l’attuale presidente della Bce. Perché è spaventato dalla piega che stanno prendendo gli eventi, sui mercati, e teme un rovinoso declassamento del rating del debito, a ottobre, che ci porterebbe a passo di carica verso il default. Perché è l’unico, in fondo, che non ha disegni elettorali in testa e che dal caos non capitalizza un bel nulla. Il mandato presidenziale a Giuseppe Conte è chiaro: tieni duro finché puoi. Quanto ci creda, pure lui, alle doti di mediatore dell’avvocato del popolo, non è dato saperlo.