Debito e spread, ecco perché siamo alla vigilia della tempesta perfetta sull’Italia. E questa volta è peggio

Il debito peggiora, lo spread sale, ma Cinque stelle e Lega non sono disposti a risparmiare su Reddito e flat tax. L’unica sarà prendere i soldi direttamente dalle tasche degli italiani, come fece Berlusconi nel 2011. Con una differenza: stavolta andrà a finire molto, molto peggio

Alberto PIZZOLI / AFP

C’è chi evoca la tempesta perfetta, chi il 2011, non mancano i complotti tecnocratici contro il popolo sovrano, né la solita Goldman Sachs che considera l’Italia il pianeta più lontano, pronto a uscire dal sistema solare. Una cosa è certa: si diffonde la convinzione che l’Italia sia in un vicolo cieco. E se tempesta sarà, questa volta non potremo gettare la colpa su George Soros che affonda la lira (come nel 1992) né sulla Grecia come nel 2011. Al contrario, oggi la repubblica ellenica sembra un modello di virtù finanziaria tanto che lo spread sui suoi titoli quinquennali è addirittura inferiore a quello italiano. Il paradosso si spiega con un grafico che il governatore della Banca d’Italia ha pubblicato in appendice alle sue considerazioni finali, proviene dalle previsioni di primavera della commissione europea, ma non è stato preso molto sul serio finora né dai giornali né dai politici, al contrario di quel che hanno fatto gli operatori sui mercati. Mostra l’andamento dell’onere medio del debito pubblico rispetto alla crescita del prodotto lordo nominale. Ebbene, l’Italia è l’unico paese tra il 2019 e il 2020 in cui il servizio del debito peggiora, del resto lo spread ormai è superiore al pil nominale. In Grecia la crescita supera i tre punti percentuali e l’onere medio del debito sul pil è inferiore dell’1 per cento.

Che cosa dovrebbero concludere un operatore di mercato e una agenzia di rating? Che l’Italia rischia di non poter sostenere il proprio debito? Non proprio, risponde la Banca d’Italia: tutto dipende dall’avanzo primario, cioè le entrate fiscali debbono essere sempre superiori alle spese. E di quanto? Certamente più del divario tra pil e spread. Tre fattori rendono la situazione dei nostri conti pubblici potenzialmente esplosiva: un alto debito accumulato finora, l’aumento dei tassi d’interesse pagati dallo stato sul debito e una bassa crescita del prodotto lordo. Messi insieme, ha ricordato Ignazio Visco, fanno sì che il rapporto debito/pil aumenti spontaneamente di 1,3 punti all’anno.

Nella lettera con la quale Giovanni Tria ha risposto ai commissari europei, il ministro dell’economia spiega che nel 2018 il surplus primario è salito dall’1,4 all’1,6 per cento. Non basta per rispettare il fiscal compact e ridurre il debito, ma in ogni caso, ha scritto, “concordiamo con la necessità di conseguire un avanzo primario di bilancio più elevato per riportare il rapporto debito/pil su un percorso chiaramente discendente”, evitando così una crisi di insolvenza. Tria individua alcuni spazi risparmiando sulle spese anche per il welfare. Apriti cielo. La senatrice Taverna ha minacciato le barricate. Il reddito di cittadinanza non si tocca. Quanto alla Lega, guai a mettere in discussione la flat tax. Questi riferimenti sono saltati nella versione definitiva che parla di “revisione della spesa comprimibile” e di “entrate anche non tributarie”. Ma il ministro dell’economia e la Banca d’Italia hanno chiaro in mente il pericolo. E non sono i soli.

Al Fondo monetario si sta discutendo già di un taglio forzoso del debito italiano, che vuol dire grosso modo 460 miliardi di euro. Una enormità che andrebbe a colpire non solo i creditori stranieri, ma i risparmiatori nazionali

Al Fondo monetario si sta discutendo già di un taglio forzoso del debito italiano e i tecnici immaginano anche la percentuale: circa venti per cento che vuol dire grosso modo 460 miliardi di euro. Una enormità che andrebbe a colpire non solo i creditori stranieri, ma i risparmiatori nazionali perché due terzi dei titoli di stato, compresi quelli delle banche e della Banca d’Italia per conto della Bce, sono in mani italiane. C’è un altro intervento straordinario del quale si parla ed è la patrimoniale. Non l’imposta sulle grandi fortune, alla francese, amata dai Cinque stelle, che non darebbe in ogni caso un gettito consistente. Nemmeno altre tasse sulle case anche perché in autunno dovrebbe partire le revisione del catasto che porterà senza dubbio un aggravio. No, piuttosto una operazione che ricorda quella di Giuliano Amato nel 1992. Allora fu un prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti. Oggi ci sono 1.500 miliardi di euro depositati nelle banche, liquidi, immediatamente aggredibili. Un sei per mille darebbe appena 9 miliardi. Ci vuole molto di più. Una stangatona.

Lo scambio di letterine tra Roma e Bruxelles (vedremo oggi quale sarà la risposta alla risposta) ha evocato in molti osservatori la lettera inviata ai primi di agosto del 2011 da Francoforte e firmata da Jean-Claude Trichet presidente della Bce e da Mario Draghi governatore della Banca d’Italia. Fu quella a far precipitare una situazione già fortemente compromessa. Val la pena ripassare la sequenza temporale facendoci aiutare dal bloc notes di uno dei protagonisti.

Lo spread sui titoli di stato italiani e spagnoli comincia ad aumentare a maggio, quando emerge che l Grecia sta ristrutturando il debito. Il governo Berlusconi anticipa il Dpef, ma rimanda al 2013, dopo le elezioni politiche, l’aggiustamento fiscale. E in ogni caso perde le amministrative di fine maggio. La caduta della roccaforte milanese è un vero e proprio choc per Berlusconi che pensa a una “sferzata fiscale” mentre Giulio Tremonti ministro del Tesoro invita a “volare basso” per evitare gli scogli. Lo spread continua a salire in giugno e luglio soprattutto quando si capisce che l’accordo sulla ristrutturazione del debito greco non funziona. Ai primi di agosto lo spread supera 500 punti base. Il 2 agosto la Bce riunisce il comitato direttivo. La discussione è accesa, ma alla fine viene deciso di acquistare titoli italiani, a condizione che il governo si impegni ad adottare alcune misure.

Nel 2011 la crisi precipitò sull’Italia, ma non partì da qui; oggi invece non ci sono alibi, nemmeno la “tragedia greca” e con Mario Draghi in scadenza, siamo soli e da soli dobbiamo affrontare i nostri guai.

E così parte la famosa lettera. La Bce era già intervenuta in Grecia a fronte di un programma con la troika. Con l’Italia non si fa più in tempo. Del resto, il governo non intende ricorrere al Fondo monetario internazionale. La prima parte della lettera è interamente dedicata alle riforme strutturali (tra l’altro pensioni e mercato del lavoro), la seconda al risanamento delle finanze pubbliche. Il governo italiano accetta tutto e la Bce interviene. Lo spread nei giorni successivi si riduce immediatamente. A quel punto, il governo si divide, il coordinamento delle politiche economiche viene accentrato a palazzo Chigi, emarginando Tremonti, mentre la Lega Nord proclama un solenne no alla riforma delle pensioni. Lo spread risale, la Bce discute se intervenire ancora, ma la maggioranza ritiene che sia inutile.

A settembre tutti sono nel pallone. Le riunioni del G7, del G20, l’Ecofin, il Consiglio europeo non sanno come affrontare una crisi che si sta trasformando in un vero effetto domino, la Grecia è la prima tessera che cade sulla Spagna la quale a sua volta cade sull’Italia. Angela Merkel tenta di convincere sia Zapatero sia Berlusconi ad accettare il Fmi in un drammatico incontro raccontato dallo stesso Zapatero. Il primo ministro spagnolo rifiuta: ci sono le elezioni anticipate, è convinto di perderle, ma vuole cadere in piedi. Berlusconi è tentato a fronte di un intervento pari a 80 miliardi di euro. Tremonti è contrario: “Conosco modi migliori per suicidarmi”. In ogni caso, senza la Spagna sarebbe una resa incondizionata. Siamo a Cannes dove si riunisce il G20, è la notte tra il 3 e il 4 novembre 2011.

Lo spread oggi non è così elevato, ma senza dubbio ci sono molte cose in comune. La frustata di Berlusconi assomiglia al “forte stimolo fiscale” del quale parla Matteo Salvini portando il deficit al 3,5% e il debito al 140%. La Bce possiede strumenti di intervento più sofisticati come le Omt, le operazioni monetarie definitive introdotte da Draghi il 2 agosto 2012, le quali sono collegate a politiche fiscali rigorose. Le divisioni interne al governo e il gioco dei veti incrociati è un’altra impressionante somiglianza. C’è, però, una differenza di fondo: allora la crisi precipitò sull’Italia, ma non partì da qui; oggi invece non ci sono alibi, nemmeno la “tragedia greca”; con una commissione europea scaduta e Mario Draghi in scadenza, siamo soli e da soli dobbiamo affrontare i nostri guai.

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