Italia vs EuropaAltro che cambiamento, questo è il governo del fallimento. E la procedura d’infrazione è solo l’inizio

La Commissione europea ha chiesto al Consiglio di avviare la procedura per debito pubblico eccessivo verso l'Italia. Il 9 luglio l'Ecofin dovrà fare una scelta politica, non tecnica. Il problema non è la multa da 4,5 miliardi ma come reagiranno i mercati al flop della crescita italiana

Era inevitabile ma non è detto che si arriverà fino in fondo. La procedura d’infrazione per debito eccessivo che la Commissione europea ha chiesto per l’Italia arriva nel momento peggiore. Perché dopo il penultimatum del presidente del Consiglio Giuseppe Conte ai suoi due vice non si sa se il governo durerà e chi scriverà la prossima legge di bilancio. Doveva essere il governo del cambiamento, rischia di essere quello del fallimento. Lega e M5S avevano chiesto di sforare il deficit, ancora una volta, in cambio di due promesse elettorali che avrebbero fatto crescere il Pil italiano dell’1,5%. Hanno realizzato quota 100 e il reddito di cittadinanza prendendo in giro le letterine di Bruxelles, ma l’Italia è cresciuta solo dello 0.2%. Il problema non sono i 4,5 miliardi di multa (lo 0.2% del Pil) né la procedura in sé. Per dire, la Spagna proprio ieri è uscita dalla procedura per deficit eccessivo iniziata nel 2009. Dieci anni e sono ancora vivi e vegeti.

Preoccupa invece il giudizio che ne trarranno i mercati. Bisognerà capire se i creditori, che in questi anni hanno comprato i titoli di Stato italiani mentre il debito pubblico e il deficit strutturale crescevano sempre di più, continueranno a farlo. Il governo Conte ha scommesso sull’anno bellissimo quando tutti dicevano il contrario e le sue previsioni si sono rivelate troppo ottimistiche. Non solo, da quando è entrato in carica il governo, lo spread è aumentato di circa 100 punti base rispetto alla media. Tradotto: 2,2 miliardi di euro in più di interessi sul debito, 65 miliardi invece dei 62,8 previsti dalla Commissione. Anche così il Governo ha perso la sua credibilità. Lega e M5S si sono seduti ostinatamente dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati dagli analisti e istituti finanziari internazionali che avevano previsto e annunciato mesi prima il flop della crescita. Il ministero dell’Economia prevede che il rapporto debito pubblico calerà al 131,3% nel 2020, ma la Commissione europea non ci crede più e stima che sarà al 135,2%. Il punto è tutto qui: non siamo più credibili. Per questo la Commissione chiede agli altri Stati membri di costringere l’Italia a fare una manovra correttiva. Che siano gli ottanta euro di Renzi o la flat tax da 30 miliardi promessa da Salvini, il tempo degli apprendisti stregoni italiani è finito. Bruxelles non vuol più sentir parlare di stimoli fiscali ma di riforme strutturali per aumentare la crescita.

Non fatevi ingannare dalle tappe e procedure previste dall’articolo 126.3 del trattato sull’Unione europea. Ci sarà un passaggio intermedio il 1 luglio quando il comitato Economico e Finanziario del Consiglio dovrà dare il suo parere, ma la decisione finale sarà politica, non tecnica. I ministri delle finanze degli altri 27 Stati Ue si incontreranno il 9 luglio per decidere se dare retta alla Commissione europea e attivare la procedura d’infrazione. Questo gruppo che si chiama Ecofin avrà davanti un’alternativa: multare l’Italia e mandare ai mercati internazionali il segnale che Roma è il prossimo problema dell’eurozona oppure sospendere la decisione tentando una mediazione politica. L’unica speranza per l’Italia è che serve una maggioranza di due terzi e non tutti gli Stati Ue vogliono prendersi la responsabilità di innescare una nuova crisi greca.

Il 9 luglio del 2006 vincevamo il mondiale di calcio, tredici anni dopo, in ogni caso, saremo campioni del mondo del fallimento politico. Perché se l’Ecofin avvierà la procedura d’infrazione la manovra correttiva di bilancio non sarà un mite consiglio ma un ordine da eseguire entro tre o sei mesi, pena una multa. E sarebbe solo l’inizio visto che il Consiglio ha il potere di comminare altre multe in caso di inadempienza, arrivando fino allo 0.5% del Pil. O addirittura escludere l’Italia da alcuni finanziamenti, compresi quelli della Banca europea degli investimenti. Se invece non avvierà la procedura d’infrazione vuol dire che il governo avrà ceduto su qualcosa e la retorica del governo del cambiamento che affronta senza paura l’Ue si affloscerebbe. Comunque vada c’è bisogno di un governo che decida cosa fare, non si può traccheggiare. E dire che Matteo Salvini ha stravinto le elezioni europee promettendo con una certa disinvoltura che avrebbe cambiato agilmente, una volta per tutte, le regole Ue sul rispetto dei parametri di debito e deficit. «Avevo chiesto un voto per provare a cambiare l’Europa, non ho certezze ma almeno do battaglia», ha commentato ieri il leader della Lega. Ecco, ora sappiamo che non ha certezze, ma almeno quando si dà battaglia bisognerebbe avere alleati, altrimenti si perde. O meglio, perdiamo tutti. E fin quando non si cambiano le regole europee bisogna rispettarle. Dura lex, sed lex. Ergo niente flat tax o salta tutto.

lI punto è tutto qui: non siamo più credibili. Per questo la Commissione chiede agli altri Stati membri di costringere l’Italia a fare una manovra correttiva- Che siano gli ottanta euro di Renzi o la flat tax da 30 miliardi promessa da Salvini, il tempo degli apprendisti stregoni italiani è finito. Bruxelles non vuol più sentir parlare di stimoli fiscali ma di riforme strutturali per aumentare la crescita

Ogni volta che si parla di una possibile procedura d’infrazione si scontrano due narrazioni. Gli eurofili dicono: l’Italia è sporca, brutta e cattiva e l’Europa fa bene a punirici perché sono arrivati i barbari al potere e non abbiamo fatto i compiti a casa. I sovranisti rispondono: la Commissione europea è sporca, brutta e cattiva e vuole punire l’Italia perché sta provando a rialzarsi e la farà morire di austerità. E se per una volta invece delle narrazioni guardassimo ai fatti? È una trattativa politica, come tante altre in Europa. Solo che noi partiamo da una situazione di svantaggio a causa delle scommesse politiche realizzate dai governi precedenti. La differenza tra i governi del Partito democratico e quello gialloverde è che i vari Renzi e Gentiloni hanno sempre cercato la via del dialogo costante, senza mettere mai in discussione il ruolo della Commissione. Nessuna dichiarazione per far speculare i mercati ma una trattativa politica estenuante per cercare una soluzione condivisa. Invece Di Maio e Salvini, per inesperienza di governo o campagna elettorale, hanno sempre cercato lo scontro dichiarando a microfoni e telecamere di fregarsene delle letterine di Bruxelles.

Ora però mettetevi per un momento nei panni della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker. Per cinque anni abbiamo ottenuto il permesso di fare più debito promettendo che avremmo usato quel tesoretto per fare gli investimenti perfetti in grado di far crescere la nostra economia. Nel 2015 l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi in cambio del Jobs Act approvato chiese flessibilità per delle riforme che avrebbero dovuto rilanciare il Pil. La Commissione europea accettò anche per non destabilizzare il governo in vista del referendum costituzionale. Giusto o sbagliato, è stata una decisione politica. Nel 2017 il suo successore Paolo Gentiloni chiese la stessa cosa, ma non poteva promettere grandi riforme perché stava terminando la legislatura e agitò lo spauracchio di una possibile vittoria dei sovranisti. Così la Commissione accordò altra flessibilità per non appesantire il clima in politico antieuropeo in vista delle elezioni. Un’altra decisione politica, perché con la tecnica saremmo già stati multati ampiamente. Totale? Trenta miliardi di deficit extra tra il 2014 e il 2018. Più o meno quanto una legge di bilancio. Il Pil è aumentato, ma anche il deficit strutturale è cresciuto dallo 0.5% all’1.8%, e il rapporto debito pubblico/pil non è sceso, ed è rimasto più o meno alla stessa cifra: da 131,8% a 131,2%. Poi sono arrivati i sovranisti che senza neanche voler trattare hanno preteso il 2,4%, diventato 2,04% dopo aver promesso una crescita pazzesca che non c’è stata. Voi cosa fareste al posto della Commissione? Credereste ancora nella flat tax come soluzione di tutti i mali, visti i precedenti? Senza contare che a differenza dei governi Pd con quello gialloverde né il deficit strutturale né il debito pubblico sono scesi. Si può dare la colpa a Renzi, Gentiloni, Berlusconi o addirittura a Cirino Pomicino ma non è credibile che dopo le elezioni arrivi un governo e si comporti come se nulla fosse, dimenticandosi il lascito, o meglio il debito, di chi c’è stato prima.

Certo, possiamo continuare a dire che la Commissione è formata da burocrati non eletti (anche se in realtà sono proposti dagli stessi Stati membri) e le sue raccomandazioni ci faranno morire d’austerità. Ma qualcuno le ha lette davvero le raccomandazioni? O ci fermiamo agli eurocrati insensibili che vogliono solo il nostro male? «In Italia ci sono progressi limitati nella lotta all’evasione fiscale, nell’incoraggiare le donne a lavorare, nella promozione della ricerca, dell’innovazione, delle competenze digitali e delle infrastrutture», c’è scritto nel documento della Commissione. «Non c’è stato alcun progresso nel ridurre la durata del processo nella giustizia civile e nell’affrontare restrizioni sulla concorrenza. E una quota ancora elevata di pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica italiana limitano i finanziamenti che accrescono la crescita come l’istruzione e le infrastrutture. Alti livelli di disoccupazione a lungo termine e giovanile incidono sulle future prospettive di crescita economica». Chi di noi non vorrebbe più investimenti in infrastrutture, scuola e occupazione femminile? Questo governo ha preso gli applausi delle vittime del Ponte Morandi, crollato solo dieci mesi fa e ancora litiga su come e quando sbloccare i cantieri. L’Italia è penultima tra i Paesi dell’Unione europea per numero di laureati e donne occupate. Per non parlare della durata dei processi e la disoccupazione giovanile. Sono queste le vere emergenze da risolvere ma i voti si prendono promettendo alle persone di andare prima in pensione o di abbassare le tasse, anche se poi a guardare con questo governo è aumentata anche la pressione fiscale. Che sia Conte, Tria, Di Maio o Salvini, qualcuno dovrà trattare con la Commissione europea e gli Stati membri per convincerli che il prossimo sarà un anno bellissimo. Ma visti i precedenti la sensazione è che il tempo delle promesse è finito e inizierà quello dei conti con la realtà. A cominciare dalla manovra correttiva da fare.

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