Mercoledì scorso, 5 giugno, la tragedia di Falcone e Borsellino è improvvisamente diventata argomento di intrattenimento leggero, una cosa a metà tra Non È La D’Urso e La Corrida. È successo su RaiDue nello studio del programma Realiti, una trasmissione venduta come “il primo Truman show dell’informazione”, qualsiasi cosa significhi. C’era una regale poltrona rossa e oro. C’era un neomelodico ventenne con l’aria da giovane boss – si fa chiamare Scarface, alias Leonardo Zappalà – stravaccato sopra. Sullo sfondo si è accesa una gigantografia dei due magistrati e vai col dibattito leggero, come se si commentasse una foto di Albano e Romina, delle Kardashian, di Pamela Prati: ammessa ogni idiozia, siam qui per divertirci. L’idiozia del predetto Scarface, incalzato dal conduttore Enrico Lucci, è stata la seguente: «Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita le sanno le conseguenze. Come ci piace il dolce ci deve piacere anche l’amaro». Insomma, se la sono cercata. Lucci invece di cacciarlo dallo studio gli ha fatto il predicozzo che si fa agli ospiti troppo effervescenti. Studia, gli ha detto, cerca di capire meglio, magari fra qualche anno cambi opinione, concludendo con un raggelante “comunque ti auguro buon lavoro”.
Ieri il video è stato rimosso dai Raiplay, e forse è un peccato che non sia possibile vederlo per farsi un’opinione diretta. Le proteste della Rete sono arrivate alle orecchie di qualcuno, hanno cominciato a piovere commenti politici e sindacali, la dirigenza ha provato a metterci una toppa – programma spostato in seconda serata e senza più diretta – che in realtà risulta piuttosto piccina se si considera che per un caso di corna gli autori dell’Isola dei Famosi hanno perso il lavoro. Ma il punto non è né la sanzione, né le scuse, né il ravvedimento. Il punto è il tavolo dove si è deciso che Capaci e via D’Amelio potessero diventare argomento di conversazione in una trasmissione di cazzeggio sui finti banditelli del neomelodico siciliano. Il punto è che nessuno a quel tavolo si sia alzato e abbia detto: ma siete matti? Che nessuno tra i dirigenti che hanno letto la scaletta abbia sobbalzato, che lo stesso conduttore non si sia messo di traverso dicendo “io questa cosa non la faccio”.
Il punto è il tavolo dove si è deciso che Capaci e via D’Amelio potessero diventare argomento di conversazione in una trasmissione di cazzeggio sui finti banditelli del neomelodico siciliano. Il punto è che nessuno a quel tavolo si sia alzato e abbia detto: ma siete matti?
Siamo abituati all’infotainment ormai da molti anni e la mescolanza di serio e faceto – o cultura “alta” e “bassa” come dice chi parla nei convegni – è dato costitutivo della nostra tv e della nostra politica da quando spuntò il Gabibbo, da quando Massimo D’Alema cucinò un risotto per le telecamere di Bruno Vespa. Eravamo tuttavia convinti che ci fosse un limite insuperabile, che il format La Pupa E Il Secchione non potesse essere adattato – quantomeno per pudore – alla versione Il Neomelodico E I Morti Di Mafia. Non era così. Nella percezione di un’azienda importante come la Rai questa cosa, a quanto pare, è lecito farla. E si fa tirando fuori dal mazzo due cialtroni (oltre a Scarface è apparso anche tal Niko Pandetta, orgoglioso nipote di un condannato in regime di 41bis) che manco contano niente nel panorama neomelodico: gente che mostra pistole finte sul web per prendersi un centinaio di like, ragazzotti da 3-4mila seguaci finalmente diventati famosi e cliccatissimi grazie all’opportunità di sfregio che la tv pubblica gli ha dato.
A quei signori del tavolo, che magari hanno riso della loro bella idea affinandone i dettagli, si vorrebbe ricordare che la tv generalista oramai è la ridotta degli anziani, gente tra i 50 e i 70, e che la maggior parte di loro ha pianto per Falcone e si è sentita perduta quando è saltato in aria anche Borsellino. Persone di destra e di sinistra, progressisti e sovranisti, poveracci ed elìte, uniti dal medesimo sentimento, dalla stessa rabbia, dalla stessa riconoscenza per chi si è esposto per battere le mafie. Sono loro, per adesso, il pubblico che paga il canone. Fra venti o trent’anni, quando questi spettatori, questa generazione – insomma: noi – sarà morto e sepolto, magari potranno cazzeggiare sul dolce e sull’amaro o consentire riverenze ai boss del carcere duro. Adesso no, non possono farlo.