Una proposta che arriva in tandem dall’insolita accoppiata Cgil-Marcello Minenna, per rilanciare i cantieri italiani. Con la creazione di una “società veicolo” partecipata da Cdp e dalle banche nel ruolo di garante finanziario ma anche di catalizzatore di investimenti. Si chiama “sblocca appalti finanziario” quello che Maurizio Landini, con la categoria degli edili Cgil della Fillea, ha presentato a Roma, sposando il piano per far ripartire l’industria delle costruzioni elaborato da Marcello Minenna, l’economista bocconiano vicino ai Cinque Stelle, ex assessore al Bilancio della giunta Raggi e candidato dei grillini alla Consob (prima dell’arrivo di Paolo Savona). «Non voglio creare la nuova Iri, però non ci sono neanche lontano», ha spiegato Minenna.
Il connubio è stato lanciato a pochi giorni dalla conversione in legge del decreto “sblocca cantieri” del governo gialloverde, osteggiato dal sindacato. «È questo il “vero sblocca cantieri”», ha ribadito Alessandro Genovesi, segretario della Fillea, a due mesi dallo sciopero generale della filiera edile. Ridotta a un coacervo di fallimenti, concordati e amministrazioni controllate, che coinvolgono grandi nomi come Trevi, Tecnis, Glf, Condotte, Astaldi, Cmc, oltre all’indotto e ai fornitori. Negli ultimi dieci anni, nel settore delle costruzioni italiano si sono persi 600mila posti di lavoro e 120mila aziende hanno chiuso. Tra opere bloccate o mai avviate, se ne contano 600 per un valore di circa 36 miliardi. «Serve una regia pubblico-privato sugli investimenti, è questa la nostra proposta», ha detto Landini.
Il piano disegnato da Minenna – sviluppato già qualche anno fa con la Fondazione Astrid – tramite diverse mosse di “ingegneria finanziaria” prevede che venga creato un fondo nazionale con le banche e la Cdp che agisca tramite una “società veicolo” nell’industria delle costruzioni. Ad oggi, l’indebitamento lordo delle scoietà di costruzioni italiane verso le banche è di circa 160 miliardi, di cui il 35% sono crediti deteriorati, ha ricordato Minenna. La società si muove quindi «da un lato sostenendo le svalutazioni delle banche che trasformano i crediti deteriorati in partecipazione azionaria, dall’altra ripatrimonializzando le imprese di costruzioni con risorse della Cdp, partecipando di volta in volta e coinvolgendo sempre forti partner industriali, anche alla governance», ha spiegato Genovesi.
La società, o le società veicolo, a loro volta si rivolgerebbero poi al mercato emettendo titoli con livelli di rischio, redditività e durata variabile, a seconda della natura dell’infrastruttura, servendosi della garanzia dello Stato. «Questi titoli potrebbero alimentare il mercato di liquidità, supportare i fondi pensione e anche gli investitori privati», ha spiegato Minenna. Sarebbero in parte dei simil-Btp destinati ai risparmiatori italiani e in parte dei titoli più rischiosi per gli investitori istituzionali. L’obiettivo, nell’ottica dell’economista, è quello di «ricapitalizzare il sistema delle costruzioni, perché consentirebbe al mondo delle imprese di entrare nell’ambito delle garanzie di Stato, oggi precluse». Ma per fare ciò, ha detto Minenna, «serve un interlocutore politico affidabile», perché «l’incertezza di indirizzo fa aumentare il nostro spread. Basterebbe dare su certe questioni un segnale chiaro, un indirizzo puntuale, per ridimensionare determinati apprezzamenti di rischio da parte dei mercati»
Allo stesso tavolo, la Cgil ha riunito esponenti delle banche, del mondo delle cooperative e pure l’ ad di Salini Impregilo, Pietro Salini, animatore del Progetto Italia, il polo delle costruzioni che dovrebbe nascere a breve con il salvataggio di Astaldi, in collaborazione con Cdp. «A questo tavolo manca un soggetto decisivo: il governo», ha fatto notare Landini. «Anche quando li chiamiamo, non vengono. Ma l’intervento pubblico è la condizione necessaria per fare politica industriale e favorire la fusione dei grandi gruppi in grado di competere».
Alla base di questa impalcatura, la possibilità di «reindirizzare», ha detto Minenna, «la ricchezza finanziaria delle nostre famiglie. Il vero petrolio del nostro Paese». I Paesi arabi, «si sono arricchiti quando si sono appropriati della catena del valore connessa alla loro materia prima». La nostra materia prima, nell’ottica dell’economista e del sindacato, sono i 1.400 miliardi di risparmi privati, di cui un terzo al Sud, «fuori del controllo della nostra classe dirigente e della nostra capacità di fare sistema». Oltre alla liquidità raccolta dai fondi integrativi pensionistici. «Potrebbero essere individuati per rilanciare gli investimenti privati nel nostro Paese anziché farli andare all’estero», ha detto Landini. «Non è sovranismo, è buon senso. Ed è quello che serve per sbloccare davvero i cantieri».
Ma a tre condizioni, ha ricordato Genovesi: che sia intervento di medio periodo, di sistema e che sia pluralista, guardando anche alla catena dei fornitori. Solo per le 25 opere dell’allegato al Def del 2016, tra i cantieri bloccati opere ferroviarie, stradali e metropolitane sono coinvolti 24.500 addetti diretti, 70mila con l’indotto, per un importo complessivo di oltre 12 miliardi congelati. Al di là delle singole norme, ha detto il segretario della Fillea, lo “sblocca cantieri” è «sbagliato perché sembra dire che il problema che oggi abbiamo non è un problema industriale, non è un problema di investimenti pazienti, di solidità finanziaria, ma è solo un problema di regole e che quindi, liberato il mercato da “lacci e lacciuoli” tutto tornerà a girare. Non è così. Per quanto importanti possano essere le politiche regolatorie esse non possono sostituirsi alle politiche industriali». E la proposta di politica industriale di Minenna, a quanto pare, piace al sindacato di Landini.