«Credo nel cambiamento climatico». Che cosa ha spinto il presidente americano Donald Trump a fare questa clamorosa dichiarazione? Proprio lui che in passato, liquidando gli accordi di Parigi sul clima, aveva detto che si trattava di una burla e aveva rispolverato il carbone? Nessuno sembra crederci troppo ma da Londra ha dichiarato con una certa ambiguità: «Credo che il clima cambi nelle due direzioni. Lo chiamavano riscaldamento globale, ma non funzionava, poi hanno hanno parlato di cambiamenti climatici e adesso di clima estremo». Ma per ora sul ritiro dagli accordi di Parigi non fa marcia indietro. L’agenda “verde” di Trump, se vogliamo proprio chiamarla così, ha un paio di obiettivi. Il primo di politica interna, visto che tra un paio di settimane presenta la sua ricandidatura alle presidenziali e Trump comunque è uno che fiuta il vento dell’onda verde che si è fatta strada in Europa e potrebbe allargarsi agli Stati Uniti. Ma soprattutto ha nel mirino la Cina con cui sta negoziando la questione dei dazi. E così è scattata la bordata anti-Cina, una potenza da 1,4, miliardi di abitanti, la vera fabbrica del mondo, attualmente il maggiore emettitore di gas serra in valore assoluto ma non pro capite, e che si pone l’obiettivo a breve di diventare leader nelle rinnovabili: «Gli Stati Uniti – ha affermato Trump – hanno un’ottima aria, un’ottima acqua, a differenza di Cina, Russia, India, in certe città non si può nemmeno respirare».
A parte che Trump ha mostrato di confondere i due fenomeni, le emissioni di gas serra e quelle di sostanze che inquinano l’acqua e l’aria, il leader americano ha ampiamente dimostrato in questi due anni di che del clima gli importa ben poco. Lui punta a tenere a bada la sua base elettorale e i suoi finanziatori. Come pure i suoi alleati come Bolsonaro con il quale sta crescendo a ritmi record la deforestazione dell’Amazzonia, grande riserva mondiale di aria pulita e di acqua. Un argomento non trascurabile visto che il 92% degli abitanti del pianeta non respira aria pulita. Per l’America di Trump parlano le cifre. L’ultimo Climate Change Perfomance Index-Ccci -pagella annuale realizzata da una serie di organizzazioni ambientaliste che monitorano le politiche ambientali di quasi 60 paesi – ha messo Washington al penultimo posto, il 59°, fra i peggiori dunque, mentre nel 2017 erano al 43°. Grande accusato della retrocessione proprio il “negazionista” Donald Trump che se adesso sembra essersi pentito.
Qualcuno ha fatto capire al presidente Trump che l’onda verde è un business più attuale che mai e gli Stati Uniti rischiano di rimanere indietro: il mercato delle auto elettriche mondiale dice che al primo posto ci sono i cinesi, poi viene l’Europa e dietro gli Usa
Ma alla conversione “verde” di Trump ci credono in pochi. «Trump non capisce un accidenti di nulla: non ha la più pallida idea di quel che dice», afferma in un’intervista il noto economista Jeffrey Sachs in questi giorni in Italia per il festival dello sviluppo sostenibile. Il presidente Usa ha mostrato tutta la sua avversità a ogni politica di tutela ambientale: dalla deregulation per i pesticidi alla cancellazione dei limiti imposti alle emissioni delle centrali elettriche, passando dal rilancio della fonte energetica più inquinante di tutte, il carbone. Alle centrali elettriche a carbone sono stati tolti i limiti di emissioni di CO2 e ha congelato l’obbligo (introdotto dall’amministrazione Obama) per l’industria automobilistica di produrre auto che consumano meno carburante.
Se questo è il ruolino di marcia di Trump, però anche lui deve prendere atto della realtà e soprattutto fronteggiare i cinesi se questi si lanciano nel mercato delle energie rinnovabili e dell’auto elettrica. Tra l’altro le tecnologie migliori per le batterie elettriche oggi sono in Asia, in Giappone, Cina, Corea, non negli Usa o in Europa. Qualcuno gli ha fatto capire che l’onda verde è un business più attuale che mai e gli Stati Uniti rischiano di rimanere indietro: il mercato delle auto elettriche mondiale dice che al primo posto ci sono i cinesi, poi viene l’Europa e dietro gli Usa. Ecco perché anche il fallimento della fusione Fca-Renault-Nissan, detentrice di tecnologia elettrica avanzata, non è forse una buona notizia neppure per la Casa Bianca, anche se è saltata perché il governo francese, ancora più di Trump, subordina gli interessi dei gruppi industriali a quelli del controllo nazionale delle imprese. È il nuovo mercantilismo, bellezza.