Niente da fare. I 28 leader dell’Unione europea sono rimasti chiusi per quasi un giorno nella stessa stanza senza trovare un accordo. È passato un mese dalle elezioni europee, ma ancora una volta dovremo aspettare per sapere i nomi delle cinque cariche più importanti dell’Unione europea. Tutto è rinviato a domani alle 11.00, per il nuovo round. Il nodo è il nome del prossimo presidente della Commissione europea. Scelto quello, ci sarà l’effetto domino e si riempiranno tutte le altre caselle per rispettare la composizione della nuova maggioranza europea: popolari, socialisti e liberali.
Ci sono due notizie da segnalare in questo ennesimo tentativo sprecato. Il Consiglio europeo, l’organo formato dai 28 leader Ue non ama l’idea di uno spitzenkandaten. Tradotto: non vuole nominare presidente uno dei candidati di punta presentati dai vari eurogruppi alle elezioni europee. Quindi se la volta scorsa il trombato era Manfred Weber, candidato di punta del Ppe, oggi è stata la volta di Frans Timmermans, lo spitzenkandidaten dei socialisti europei. Secondo, per la prima volta la cancelliera tedesca Angela Merkel ha fatto un clamoroso errore politico. Non è dovuto certo al tremolio incontrollato, il secondo nel giro di due settimane manifestato in pubblico, né alla sempre più fragile coalizione con lo Spd, il partito socialdemocratico tedesco, la cui fine porterebbe alla chiusura della sua esperienza politica. Il punto è che per la prima volta da anni la Merkel ha voluto forzare la mano invece di mediare e aspettare il momento giusto, come ha sempre fatto.
Per superare lo stallo alla messicana di cui vi abbiamo parlato una settimana fa, Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron e il premier spagnolo Pedro Sanchez hanno trovato un accordo durante il G20 di Osaka. Secondo il Financial Times i tre leader avrebbero scelto Timmermans come presidente della Commissione europea dando a Weber la presidenza del Parlamento europeo. Un contentino niente male. Così un tedesco alla presidenza dell’Europarlamento avrebbe escluso il presidente della Bundesbank Jens Weidmann alla Banca centrale europea. Al suo posto sarebbe andato il francese Francois Villeroy de Galhau. In una mossa, Merkel avrebbe risolto tre problemi: dare un ruolo a Weber, il candidato che ha sempre sostenuto, mandare un segnale forte al partito socialdemocratico tedesco, incerto se continuare ad appoggiare il suo governo, e diventare, ancora una volta, il dominus della politica europea. Merkel era convinta per prestigio di avere l’appoggio degli altri leader del Ppe ma ha fatto i conti senza l’oste. Gli altri sei leader del Ppe al Consiglio europeo si sono ribellati, tra questi il premier croato Andrej Plenković e quello irlandese, Leo Varadkar che ha detto: «Non credo che (noi del Ppe) dovremmo rinunciare facilmente alla presidenza della Commissione, senza combattere». In fondo il Partito popolare europeo ha vinto le elezioni del 26 maggio, ha preso più voti e più seggi di tutti, perché dovrebbe lasciare la carica più importante al secondo eurogruppo? E soprattutto: se Weber non va bene perché è uno spitzenkandidaten allora perché non dovrebbe valere lo stesso per l’altro candidato di punta dei socialisti? Strano che Merkel non abbia previsto questa reazione.
Merkel era convinta per prestigio di avere l’appoggio degli altri leader del Ppe ma ha fatto i conti senza l’oste
La politica europea ha strade imprevedibili e 28 persone chiuse in un palazzo per un giorno intero sarebbero state in grado di votare chiunque pur di uscire, fa sapere via whatsapp un assistente parlamentare. Non si può escludere il nome di Timmermans a priori. Al momento però non ha i numeri per stare in piedi. Per raggiungere la maggioranza servono 21 Stati su 28 che rappresentino almeno il 65% della popolazione europea. Fermi lì, il conto lo facciamo noi per voi. Ci sono quattro Paesi che hanno promesso di votare tutti allo stesso modo: Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca. Sono i fantastici quattro del gruppo di Visegrad. Insieme rappresentano oltre il 12% (12,26 precisamente) della popolazione europea con oltre 62 milioni di abitanti. Più o meno come l’Italia da sola.
La Polonia da tempo ha fatto sapere che non voterà per Timmermans perché fu lui ad attivare contro Varsavia l’articolo 7 dei trattati Ue. Ovvero la procedura per togliere il potere di voto per togliere l’accesso ai fondi Ue e potere di voto nel Consiglio a quei Paesi che non condividono i valori europei. Timmermans si è speso più di tutti nella Commissione per punire il governo polacco, reo di aver approvato una riforma della giustizia che definire illiberale è un eufemismo. Certo, non eleggere Timmermans alla Commissione europea solo perché si è comportato da europeista sembra un controsenso, ma questa è la politica. Però il gruppo di Visegrad con il suo 12% può fare poco per bloccare la nomina. E qui entra in gioco l’Italia. Per mesi abbiamo criticato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte per non aver creato delle solide alleanze in Europa e per aver isolato l’Italia dai Paesi che contavano.
Se escludiamo una birra a tarda notte dove si è parlato più della procedura d’infrazione che delle nomine europee, Conte non ha mai toccato palla. Però ieri la mossa a sorpresa: Conte al tavolo con il gruppo di Visegrad in un bilaterale a 5. Il dubbio è che il primo gioco di squadra di Conte sia arrivato dal Viminale. Ieri il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha detto che non appoggerà Timmermans: «Leggevo l’ipotesi di un socialista olandese, il signor Timmermans, che già in passato si distinse per parole dure nei confronti dei lavoratori e del popolo italiano. Un uomo di sinistra a presiedere la Commissione europea mi sembra l’ultima delle scelte rispettose della volontà popolare e sicuramente non lo sosterremmo». Come ha notato il giornalista de Il Post Luca Misculin, se l’Italia portasse in dote al gruppo di Visegrad i suoi 60 milioni di abitanti cambierebbero i giochi. Basterebbe l’astensione del Regno Unito (66 milioni di abitanti) per raggiungere la soglia del 35% e bloccare la nomina.
A complicare le cose per i leader Ue ci si è messo anche Antonio Tajani. Il presidente del Parlamento europeo ha detto ieri che l’Aula nominerà in questi giorni il suo successore durante la prima sessione plenaria a Strasburgo. Più che forzare la mano, si tratta di rispettare le scadenze. Il Parlamento è costretto a eleggere entro mercoledì il nuovo presidente e Tajani non creerà un eccezione. Ha sempre sempre difeso i diritti dell’Aula per bilanciare il potere del Consiglio europeo e lo farà anche questa volta. Sembra l’ennesimo problema sul tavolo dei leader europei ma a pensarci bene questa scelta potrebbe semplificare le cose. Perché una volta riempita una casella sarebbe più facile scegliere gli altri nomi rispettando gli equilibri territoriali, di genere e soprattutto dei partiti. L’unica buona notizia è per l’Italia: il summit di domani costringerà la Commissione a posticipare la riunione sulla procedura per debito eccessivo all’Italia. Se lo stallo durasse ancora a lungo l’Ecofin, l’organo che riunisce i 19 ministri delle finanze dei Paesi con l’Euro non avrebbe il tempo per votarla come previsto il 9 luglio.