Hanno truccato per anni i conti pubblici, elargendo baby pensioni, quattordicesime, quindicesime e assumendo nella pubblica amministrazione mandrie di parenti e amici. E ora, dopo soli quattro anni di purgatorio, rischiano di tornare al potere. Ma giurano di non farlo più. Domenica si voterà in Grecia per la sesta volta in dieci anni e il favorito è Nea Dimokratia, il partito che ha portato al quasi fallimento il Paese facendo credere ai suoi abitanti che potessero vivere al di sopra delle loro possibilità. Secondo gli ultimi sondaggi ND è al 38,6%, mentre Syriza che nel 2015 ne ha preso il posto imponendo i tagli della Troika è al 29%. Nessuno dei due partiti può governare da solo e tutti gli altri non superano il 10%. Le ipotesi saranno due se il voto rispetterà i sondaggi. O si andrà a nuove elezioni a Ferragosto, oppure si formerà una grande coalizione tra gli unici due partiti che hanno governato la Grecia dal 1974 al 2015: Nea Dimokratia e il vecchio Pasok, il partito di centrosinistra confluito nel cartello politico Kinima Allagis (Movimento del cambiamento) , stabile intorno al 7% dei consensi. Non a caso Fofi Gennimata, la leader di Kinima ha proposto un accordo per fare una grande coalizione negli interessi del Paese.
Il 51enne Kyriakos Mītsotakīs, ex banchiere laureato ad Harvard è stato finora il migliore a intercettare il malessere della classe media greca, il blocco politico ipertassato che ha voltato le spalle a Tsipras. Il leader di Nea Dimokratia ha promesso privatizzazioni, riforme per attrarre gli investimenti esteri e il taglio, entro due anni, di nove punti percentuali dell’aliquota sui profitti delle imprese: dal 29% al 20%. C’è anche un po’ di trumpismo nel leader centrista. Da mesi predica uno shock fiscale che faccia crescere la Grecia del 4% invece del 2,3% di quest’anno. Per riuscirci Mītsotakīs ha promesso di ridiscutere con la Troika, l’obbligo di mantenere l’avanzo primario al 3,5% del Pil fino al 2022. Nel 2018 è stato addirittura del 4% del Pil, poco più di 7 miliardi. Ma il dato fa felici solo gli economisti. Quello che guadagnerà dalla trattativa, Mītsotakīs promette di usarlo per abbassare le tasse ad avvocati, medici e impiegati, asfissiati da una pressione fiscale che in meno di dieci anni è passata dal 33% al 41%. Secondo l’opinione pubblica greca la crescita è derivata solo dalle alte imposte che non fanno arrivare i greci a fine mese. Non si vincono le elezioni solo con i voti la classe media. Per questo Mītsotakīs ha cercato di attrarre anche l’elettorato di destra e estrema destra che dalla crisi del 2008 ha rinforzato anche le fila di Alba Dorata. Per recuperare il voto dei nazionalisti, il leader di ND ha fatto leva sul senso di identità dei più anziani attaccando l’accordo di Prespa siglato il 12 giugno 2018 da Tsipras con la Macedonia che ha cambiato il nome in Macedonia del Nord pur di entrare nella Nato e avere il via libera di Atene nei negoziati con l’Ue. L’accordo di Tsipras è stato visto come un segno di debolezza. Non a caso Mītsotakīs ha promesso di mettere il veto a un futuro ingresso di Skopje.
Il passato fatto di politici corrotti e finanze allegre non conta più. Ora i greci cercano un politico, qualsiasi politico che abbia la credibilità e una strategia per ridiscutere il debito con i creditori e dia respiro alla classe media, sempre più impoverita e arrabbiata
Com’è tradizione in Grecia, la politica è una questione di famiglia. Il padre di Mitsotakis, Konstantinos è stato primo ministro greco dal 1990 al 1993 e presidente onorario di Nea Dimokratia fino alla sua morte. La sorella Theodōra è stata la prima sindaca di Atene e ministra della cultura e degli Esteri. Addirittura un suo avo paterno, Eleftherios Venizelos è stato otto volte primo ministro greco dal 1917 al 1933. Ma a nessuno sembra importare che il nuovo volto della Grecia venga da una delle dinastie politiche più influenti del Paese. Anzi, è la rassicurante foglia di fico di un partito che si è spostato sempre più verso la destra dell’elettorato. Il passato fatto di politici corrotti e finanze allegre non conta più. Ora i greci cercano un politico, qualsiasi politico che abbia la credibilità e una strategia per ridiscutere il debito con i creditori e dia respiro alla classe media, sempre più impoverita e arrabbiata. Secondo un’indagine della Bbc Mītsotakīs piace molto anche ai giovani greci in cerca di sicurezza dopo gli anni dei tagli. Nelle elezioni europee del 26 maggio, la percentuale più alta di elettori tra i 18 ei 24 anni (30,5%) ha sostenuto Nea Dimokratia. E proprio la vittoria di ND alle elezioni europee di maggio ha fatto capire che Mītsotakīs sta andando nella direzione giusta. Syriza è arrivato secondo, staccato di nove punti. Per paura che il margine potesse aumentare, Tsipras ha indetto le elezioni anticipate. Il leader di Syriza ha provato a conquistare gli elettori perduti alle europee. Il 2 luglio in un’intervista alla tv Skai ha ammesso che il suo governo fu ingenuo nei primi sei mesi di governo, quando nel 2015 fu dominato dai creditori durante il negoziato con la Troika. Il 61% dei greci votò contro il piano di austerità al referendum indetto da Syriza, ma Tsipras nel giro di una notte si adeguò ai creditori per non far fallire il Paese. Quattro anni dopo le doppie elezioni di gennaio e settembre del 2015, è difficile che la sfanghi anche questa volta.
In fondo è sempre la stessa storia da 2500 anni. Il grande commediografo ateniese Aristofane aveva già descritto la stessa situazione ne “I cavalieri”, opera andata in scena nel 424 a.C. C’è un padrone, Demos, ovvero il popolo, che viene servito da Paflagone, un vero populista che promette di fare il bene ma poi ruba, dicendo di averlo fatto in nome dello Stato. Allora i cavalieri, la classe medio-alta decidono di sostituirlo perché stufi dei soprusi della sua demagogia. Ma al suo posto arriva un salsicciaio che promette mari e monti ma è più populista di quello di prima. Ecco, un po’ come Tsipras che nel 2015 promise di combattere l’austerità della Troika e poi in una notte cambiò idea per non far fallire il Paese. Dopo cinque anni quel che rimane della classe media greca non crede più a Tsipras e pensa di essere stata derubata del suo futuro, anche se in nome della sopravvivenza dello Stato. Per questo il popolo si fa convincere da un volto nuovo che promette crescita e prosperità dopo anni di tagli. E pazienza se quelle promesse le fa lo stesso partito che ha portato al collasso i conti pubblici. L’80% dei 356 miliardi di debito sono in mano alla Banca centrale europea e al Fondo Monetario internazionale che non permetteranno di allungare una coperta troppo corta. E con il rapporto debito pubblico/Pil arrivato al 188% non basterà un legittimo mandato popolare. Però l’importante è cambiare volto. Solo che quella di Aristofane era una commedia, mentre il rischio di oggi è che i greci tornino a vedere presto una tragedia, o peggio una farsa.