Nel 2006 David Foster Wallace scrisse un lungo saggio su Roger Federer per il New York Times: l’episodio da un lato inaugurò la leggenda del tennista svizzero, dall’altro fece in modo che, da quel momento in poi, di Federer divenne impossibile scrivere. Cosa avrebbe potuto aggiungere, un comune mortale, alla penna di uno dei più grandi scrittori di questo secolo senza scadere in un fiume di retorica e luoghi comuni?
Il problema è che in questi tredici anni Federer ha finito per assumere una statura completamente diversa da quella che Wallace ebbe occasione di ammirare sul centrale di Wimbledon. Allora si trattava di un tennista imbattibile, nel pieno della carriera e nel mezzo di una striscia di successi inarrestabile: aveva sette slam in bacheca e non era difficile immaginare che negli anni a venire ne avrebbe vinti molti di più. E infatti Federer ha poi vinto molto, al momento più di tutti: ma se la sua figura ha dato origine a quel culto capace di trascendere i confini del tennis e pure dello sport, lo stesso che Foster Wallace ebbe la capacità di intuire ma che purtroppo non riuscì a vivere essendosi suicidato solo due anni dopo, il motivo non risiede certo nei tanti tornei vinti.
Djokovic per esempio, di ben sei anni più giovane, sembra destinato a battere, un giorno neanche troppo lontano, il record di slam detenuto dallo svizzero (ad oggi 20 contro 16). Un traguardo che appare decisamente alla portata di Nadal, che di anni in meno di Federer ne ha cinque ed è indietro di sole due vittorie.
Se la sua figura ha dato origine a quel culto. il motivo non risiede certo nei tanti tornei vinti
Del resto, la storia dei confronti diretti tra i “big three” del tennis mondiale parla chiaro: Roger è in svantaggio, e pesantemente, contro gli altri due.
Stando così le cose, non si capisce quale sia la ragione di una fede mistica che porta i tifosi di Federer sparsi in tutto il mondo a vivere i suoi incontri come se ogni volta si trattasse davvero di quell’esperienza religiosa di cui parlava Wallace, capace di svelare da un momento all’altro il senso della vita. Osservare il gioco del Profeta in silenziosa ammirazione, provare orgasmi multipli davanti a colpi che hanno valore in-quanto-tali, come se si trattasse di gesti estetici assoluti e non di giocate finalizzate a vincere la partita in corso. Come mai non accade lo stesso con i due rivali, Djokovic e Nadal, che negli ultimi anni hanno vinto molto più di Federer, impartendogli pure delle severe lezioni?Forse, perchè il segreto della grandezza di Federer invece che nelle vittorie risiede proprio nelle sconfitte, nella sublime tragicità di vedere l’Eletto, il Predestinato, l’Onnipotente farsi improvvisamente umano. E perdere, perdere senza appello al termine di un supplizio lungo cinque set, esattamente come accade nella storia migliore di tutte, quella della Passione di Cristo. Già, perchè se i record legati alle vittorie stabiliti dallo svizzero un giorno saranno battuti, quelli legati alle sconfitte dureranno in eterno. Otto Wimbledon vinti sarà un traguardo enormemente difficile da raggiungere per chiunque, ma già oggi alla portata di uno come Djokovic. Ma perdere quattro finali sul campo più famoso del mondo, con incluse le due partite migliori dell’intera storia di questo sport, per giunta contro i due arcirivali (quella di ieri e quella del 2008 contro Nadal) è un’impresa che sicuramente non riuscirà più a nessuno.
Del resto, fino al 2010 – anno in cui finisce il regno del terrore dello svizzero – di Federer si diceva che era un arrogante, un viziato, uno che le vittorie forse nemmeno le meritava perchè dipendevano solo dal talento innato al contrario di quelle di Nadal, i cui successi erano raccontati come il frutto di una dedizione e di uno spirito di sacrificio formatosi giorno dopo giorno.
Il segreto della grandezza di Federer invece che nelle vittorie risiede proprio nelle sconfitte. È stato quando Federer ha smesso di vincere che la sua percezione presso il pubblico è cambiata
È stato quando Federer ha smesso di vincere che la sua percezione presso il pubblico è cambiata. Un solo slam in sette anni, zero dal 2012 al 2017, quando ad ogni partita il sapientone di turno ne annunciava il tramonto. Sono state quelle sconfitte a ripetizione unite a quel tentativo costante di reinventarsi, cambiando allenatori come fossero racchette e tornando a lavorare sui fondamentali come un dodicenne dopo una batosta al torneo dell’Avvenire, che hanno dimostrato a tutti l’inarrivabile grandezza di cui parlava Foster Wallace.
Il tentativo eroico di sconfiggere il Tempo senza abbattersi ogni volta che il Tempo lo prendeva a schiaffi, il continuare dimenarsi come un Sisifo folle e masochista: questo ha reso Roger Federer immortale. E questo ha permesso alle parole di David Foster Wallace di assumere un altro significato rispetto a quello del 2006: sembravano la metafora riuscita di un immenso scrittore chiamato a raccontare le imprese di un immenso sportivo, e invece erano una profezia, l’esatta cronaca di quello che è accaduto.
Le grandi disfatte – come quelle di cui è capace solo Roger Federer – ci riconciliano con la parte più profonda di noi stessi
La parabola di Roger Federer, insomma, dimostra come la sconfitta rappresenti l’essenza stessa della natura umana, la sua espressione più pura. Tutti, un giorno, saremo sconfitti dalla morte, e proprio per questo i grandi perdenti e le grandi disfatte – come quelle di cui è capace solo Roger Federer – ci riconciliano con la parte più profonda di noi stessi, ci fanno sentire parte di un Tutto permettendoci di toccare con mano quell’amore per la vita che credevamo smarrito. Al contrario, dei vincenti e basta non sappiamo cosa farcene, anzi ci fanno un po’ di compassione, perchè non sanno – e non sapranno mai – la vastità di quello che si perdono.
Dal trionfo, insomma, non nasce niente. Dalla sconfitta, meglio se epica, nascono i fiori della redenzione.
Siamo in ginocchio davanti a te, King Roger, ineguagliabile Gesù con la racchetta: nella tua sconfitta c’è la nostra vittoria.P.S. Dannazione eterna al manipolo di imbecilli che ha introdotto la regola del tie-break sul dodici pari al quinto set, costringendo la Passione di Roger ad una fine prematura e anticlimatica.
Scelta idiota in termini oggettivi, perchè nel momento in cui il mondo intero aveva il fiato sospeso e gli occhi sul campo centrale, ha costetto la partita ad una conclusione rapida, con conseguente perdita di share televisivo. Ma soprattutto, scelta criminale a livello filosofico, figlia dell’idiozia di un’era che si ostina a voler disciplinare e controllare tutto, e che non tollera che il genio sia al di sopra delle tabelle compilate dai fottuti burocrati del marketing.