Il “Flat tax o muerte”, urlato in questi giorni dagli uomini di Salvini non deve allarmare. E non deve impressionare il rombare leghista sulla minaccia di farla anche in deficit se necessario la Flat tax, in barba all’Europa. Che dunque potrebbe il prossimo autunno sanzionarci per una manovra che sfora i parametri e così riaprendo la pratica della procedura d’infrazione.
Certo, la Flat Tax si farà – su questo Salvini non torna indietro – ma non sarà un’operazione in deficit. Malgrado le esibite tensioni di queste settimane, i bracci di ferro a uso di pubblico, le fibrillazioni a favore di telecamera, i consigli dei ministri raccontati al calor bianco, insomma malgrado tutto il copione sapientemente movimentato, la linea Tria è già passata. E i dieci miliardi per fare la Flat Tax senza un soldo di spesa in deficit, come vuole il ministro dell’Economia, ci sono.
Dove? Negli ottanta euro che Renzi aveva messo negli stipendi dei dipendenti: valgono 10 miliardi, più o meno i soldi che servono per fare la Flat tax. Una partita di giro: tolgo qui, metto là et voilà c’est flat tax. Semplice. Elementare. A questo si riferiva ieri Tria in un’audizione in Senato quando diceva: “C’è un tavolo al Mef sulla Flat tax, stiamo valutando le varie ipotesi, vedremo quello che si dovrà fare”.
Nessuno all’interno della Lega – e tanto meno dei Cinquestelle – ha voglia di sfidare sul serio l’Europa sui conti
E allora gli strepiti, le minacce, e addirittura il sempre prudente Giorgetti che sulla linea del Piave, persino lui, impenna e avverte: “Non sia che ci evitano oggi la procedura d’infrazione per impedirci domani di fare la flat tax perché noi a questo gioco non ci stiamo”? L’abbiamo detto: scena, commedia politica. Nessuno all’interno della Lega – e tanto meno dei Cinquestelle – ha voglia di sfidare sul serio l’Europa sui conti.
Sanno che le conseguenze sarebbero pesanti – sia mai che si muove troppo il mare e tocca tornare a votare – e poi vuoi mettere la differenza tra il dichiarare la guerra e farla davvero? Nel Carroccio i più laici te lo dicono chiaro e tondo (sotto garanzia d’anonimato s’intende): “la Flat tax che ha in mente Salvini non è una rivoluzione, è una misura che a saldi invariati favorisce un po’ di più la nostra platea elettorale di riferimento”.
E in effetti nella commutazione tra gli 80 euro e la flat tax un contribuente per esempio calabrese perderebbe, secondo calcoli previsionali fatti, almeno 150 euro. In Puglia e in Basilicata la flat tax avrebbe un indotto sotto i 900 euro annui, che sono meno dei soldi garantiti dal bonus di Renzi. Mentre a beneficiare del provvedimento saranno i redditi del nord.
Nella commutazione tra gli 80 euro e la flat tax un contribuente per esempio calabrese perderebbe, secondo calcoli previsionali fatti, almeno 150 euro
Ma togli-metti nel complesso stiamo parlando di una partita di giro contabile, non di una rivoluzione fiscale. Tuoni e fulmini periodicamente ritornanti servono a tener calda la curva, combustibile per la comunicazione di lotta e di governo. E’ il “Facite ammuina” di Federico Cafiero, l’ufficiale napoletano che per dare a intendere ai superiori piemontesi che l’equipaggio della sua nave si dava da fare ordinava: “Tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora”. Teatro.
Con una sua efficacia scenica però, tanto che impressiona le Cassandre di cui sopra e alimenta una dialettica di specchi funzionale al gioco delle parti – soprattutto alla parte che recita Salvini – ma che lascia la situazione invariata. Con la Flat tax realizzata coi dieci miliardi degli ottanta euro siamo infatti di fronte a una semplice operazione di redistribuzione fiscale. Nessuna scossa, nessuno shock.
Una goccia nel mare di un gettito di 520 miliardi di euro. Il punto semmai è un altro: è che quei dieci miliardi avrebbero potuto essere messi nel taglio del cuneo fiscale e del costo del lavoro. L’unica misura in grado di generare lavoro, crescita, occupazione e dunque maggiore gettito fiscale. Ma questa cosa ha un difetto: che i risultati li vedi nel periodo medio lungo. Troppo lungo per un selfie o per un tweet.