Rottamazione 2, la vendettaA volte ritornano: Renzi è di nuovo in campo e vuole riconquistare il Pd (per tornare al governo)

È ormai chiaro che Matteo Renzi ha aperto la corsa alla riconquista della leadership del Pd. Molto dipende dalla tenuta del governo e dal successo del Pd alle prossime elezioni in Emilia Romagna. In ogni caso, l’obiettivo è uno solo: tornare a Palazzo Chigi

ALBERTO PIZZOLI / AFP

Tre indizi fanno una prova, si dice. I tre indizi ci sono e la prova pure. Matteo Renzi, dopo mesi di volontaria e forzata ambiguità, apre di fatto la corsa alla riconquista della leadership. I tre indizi sono i due retroscena fotocopia usciti su Corriere della Sera e Giornale, firmati da due delle croniste politiche più vicine all’inner circle renziano (Maria Teresa Meli e Laura Cesaretti), il ritorno dell’attivismo correntizio dei suoi fedelissimi sui social e sul quotidiano di partito Democratica, e, soprattutto, la frase pronunciata dal senatore fiorentino a Milano, durante la convention dei comitati “Ritorno al futuro”, per cui “non esiste un’alternativa al Pd”.

Frase che sgombra – forse definitivamente – il campo dalla possibilità di dare vita ad una formazione politica autonoma e concorrente allo stesso Partito Democratico. Su quali saranno le modalità con cui l’ex rottamatore tornerà ufficialmente in campo, vi sono ancora diversi interrogativi aperti. Proverà a tornare segretario del Pd? Si candiderà alla premiership di coalizione in caso di primarie? Proverà a logorare la leadership di Nicola Zingaretti, riservandogli lo stesso trattamento che lui stesso ha denunciato più volte di aver subito?

Difficile dirlo, anche perché non è tutto nelle sue mani. Molto dipenderà, infatti, da alcuni fattori esterni. La prima, decisiva, variabile è rappresentata dalla durata del governo gialloverde. Renzi è convinto che questa maggioranza reggerà, perché i due contraenti non hanno alcun interesse a mettere fine a questa esperienza. Non lo vuole Salvini, che grazie all’alleanza con i Cinque Stelle ha raddoppiato in un anno il suo consenso, recitando al tempo stesso il ruolo di governo e quello di opposizione. Non lo vogliono i grillini, in particolare Di Maio, ben consapevoli del fatto che in caso di elezioni anticipate vedrebbero liquefarsi il loro consenso, e con esso le poltrone che sono riusciti ad occupare.

Zingaretti ha ben presente che una sconfitta in Emilia innescherebbe una reazione a catena che porterebbe probabilmente ad una sua clamorosa uscita di scena anticipata

Se si vota tra quattro anni, insomma, Renzi non ha alcun interesse ad accelerare la sua scalata al potere nel Pd, dato che il rischio di logoramento, come ben sa ormai, verrebbe accelerato in maniera esponenziale. Qui, però, entra in gioco la seconda variabile: quanto durerà la leadership di Zingaretti? In autunno ci sarà un passaggio decisivo. Le elezioni regionali in Umbria, Calabria e, soprattutto, Emilia-Romagna rappresentano già un momento da dentro o fuori. “L’anno scorso i sondaggi ci davano al 15%, oggi al 23%”, ama ripetere il segretario del Pd. Vero, ma al Nazareno nessuno ignora quale potrebbe essere l’impatto di un esito negativo del voto a Bologna e dintorni (dando per scontata la sconfitta in Umbria e Calabria).

Zingaretti ha ben presente che una sconfitta in Emilia innescherebbe una reazione a catena che porterebbe probabilmente ad una sua clamorosa uscita di scena anticipata. È per questo che l’altro ieri, nel corso dell’Assemblea nazionale del Pd, il segretario ha posto, ancora una volta, l’accento sul fatto che “il regime correntizio sta soffocando il partito, dobbiamo cambiare tutto, fare una rivoluzione, o non ce la faremo”. E non è un caso che abbia fissato, dall’8 al 10 novembre, proprio a Bologna, il momento per tirare le fila del lavoro che la commissione statuto, presieduta da Maurizio Martina, sta cominciando a fare per cambiare le regole del Pd.

L’obiettivo di Renzi è uno solo: tornare a Palazzo Chigi. In questo senso, è vero, del Pd gli interessa poco o nulla. Ma ha capito che il Pd è l’unico taxi che lo può riportare a piazza Colonna

Un dibattito su cui Renzi dirà poco o nulla, per marcare la sua distanza dalle dinamiche politiciste del partito, ma che i suoi combatteranno, sotto traccia. “Le primarie non si toccano”, ha scandito ieri dal palco dell’Assemblea l’ultrarenziana Anna Ascani. Concetto sposato anche dalla componente Base Riformista, che, semplificando, potremmo definire la corrente dei renziani moderati. L’ex premier fa finta di disinteressarsi alla questione, ma sa benissimo che le sue prossime mosse dipenderanno anche da come cambierà lo statuto del Pd.

L’obiettivo di Renzi è uno solo: tornare a Palazzo Chigi. In questo senso, è vero, del Pd gli interessa poco o nulla. Ma ha capito che il Pd è l’unico taxi che lo può riportare a piazza Colonna. Per questo ogni sua mossa è studiata con attenzione e una rottura con Zingaretti, in questo momento potrebbe non essere una prospettiva auspicabile. Se il lavoro della commissione statuto decreterà la fine dell’automatismo tra segretario e candidato premier, la missione di Renzi è fare tutto ciò che è in suo potere per fare sì che il candidato premier continui ad essere scelto tramite le primarie, a cui prenderebbe sicuramente parte.

Certo, la concorrenza sarebbe agguerrita più che mai. Si parla già di Carlo Calenda, di Beppe Sala, c’è chi comincia a ragionare sulla possibilità che David Sassoli, dopo l’esperienza alla guida del Parlamento europeo, possa maturare lo standing per diventare leader del centrosinistra. Ma Renzi sa che quel passaggio, quell’investitura popolare, è condizione necessaria (anche se non sufficiente) per candidarsi con credibilità a tornare alla guida del Paese. E non ha alcuna intenzione di lasciarselo sfuggire.