Musica italianaViva le radio, abbasso Spotify: ecco perché la nuova canzone di Mietta è l’inizio di una rivoluzione musicale

La musica italiana è come un ferito urgente al pronto soccorso. Colpa di Spotify, che ha causato l’incidente. Ma adesso l’associazione dei radiofonici PER sta iniziando a dire basta. E il primo frutto di questa resistenza è la canzone "Milano è dove mi sono persa” di Mietta

Screenshot da YouTube

Non ho idea di cosa sia la dopamina. Da giovanissimo, toh, da ragazzo, avevo capito che il termine dope, inglese, aveva a che fare con le droghe, perché si cominciava a parlare di doping, nel mondo dello sport, e perché proprio mentre mi affacciavo al mondo si affacciava al mondo del rap anche quel grande genio di Neffa, accompagnato appunto dai Messaggeri della Dopa. Credo sia stato lui, con Gruff, in effetti, a aver usato il termine dopa, così, italianizzato, per parlare di droghe, nel suo caso di cannabis, quello fumavano lui e i Sangue Misto, prima, lui e la sua balotta, poi. Dopa voleva quindi dire qualcosa di stupefacente, anche se nel caso del calcio, e dello sport in generale, il termine aveva una valenza negativa, ben lo dimostra la vicenda Pantani, nel caso di Neffa, a volersi fidare di lui, la questione era di tutt’altra natura.

Poi, però, hanno fatto irruzione nelle nostre vite i medical, le serie tv dedicate al magico mondo degli ospedali e dei Pronto Soccorso. Ne abbiamo già parlato da queste parti, sono stato e sono tutt’ora un grande cultore di E.R.- Medici in prima linea, e di Gray’s Anatomy, e un po’ di tutte le serie che hanno un qualche dottore per protagonista. Con la sola eccezione di Doctor House, che mi sono perso per colpa di mia moglie. Marina, mia moglie, appunto, è infatti vagamente ipocondriaca e al termine di una qualsiasi puntata di una di queste serie ravvisa su di sé tutti i sintomi delle malattie trattate nel corso dei circa quaranta minuti di episodio. Il problema con Doctor House è arrivato sin da subito, perché il personaggio in questione non si occupa di semplici casi, ma è una sorta di investigatore bravissimo che riesce a salvare malati che hanno sempre malattie rarissime, sconosciute, praticamente incurabili da chiunque se non da lui. Ecco, siccome a Milano, la città dove abitiamo, non credo ci sia un Doctor House, è rischioso guardare una puntata di quella serie in compagnia di una ipocondriaca, perché finirà per accusare sintomi che nessun dottore riuscirà a interpretare correttamente, e sai che due coglioni, poi.

Tornando all’ingresso dei medical nelle nostre vite, coi medical sono entrati a far parte del nostro bagaglio conoscitivo, dove per quel “nostro” si intende di tutti noi che seguiamo dette serie tv, tutta una serie di vocaboli medici altrimenti sconosciuti. Per questo chiunque di noi saprebbe ripetere alla perfezione le tipiche frasi che si susseguono nel preciso momento in cui i medici del Pronto Soccorso si accingono a rianimare un paziente. Frasi come “lo stiamo perdendo”, “20 cc di dopamina”, “carica a duecento, libera” le abbiamo sentite talmente tante volte che ci inducono, come per i cani di Pavlov, la netta sensazione che qualcuno stia per lasciarci la pelle. “Carica a trecento, libera”, arriva in genere, e poi, ovviamente “ora del decesso…”.

Siamo qui, in questo pronto soccorso pieno di moribondi, e per moribondi non intendo tanto gli artisti quanto la musica stessa, e stiamo provando a rianimarla

Ecco, lì in mezzo, la parola “dopamina” ha tutto un altro valore, è un farmaco, evidentemente, che ha la capacità, non sempre ma spesso, di salvare vite. Quei 20 cc di dopamina, in fondo, non sono litri e litri, sono solo 20 cc, ma bastano a aprire un dibattito tra medico e morte, e rimettere in discussione quello che sembrava ineludibile. Poi, è ovvio, c’è la bravura dei medici, quelle scariche di defibrillatore, talmente potente che prima di darle il dottore di turno deve dire quel “libera” che spinge chiunque a staccare le mani dal paziente, per non rimanere tramortito, c’è anche un po’ di culo, che nella vita non guasta mai, ma tutto parte da quei 20 cc di dopamina, non ce n’è. Viva la dopamina, quindi.

Passiamo allora a parlare di musica, per questo mi pagano, in genere. Se il mondo dei medical è quello nel quale si dipanano le vite dei protagonisti, con l’ospedale e i casi medici a fare in qualche modo da cornice, da leit motiv, ma non certo da protagonista, quello che faccio io è raccontare un sistema, il music business, mettendoci qualche artista e qualche canzone come contorno, Jambo è un incidente stradale in cui a un tizio è finito infilato nel torace un lampione della luce, Ostia Lido un tizio che si è presentato al Pronto Soccorso con un criceto infilato su per il culo, roba così. Anche perché, se proprio dovessi lanciarmi in parallelismi, più che a un medical, direi che il mio lavoro si avvicina a quello di un Negan che, mazza ferrata in mano, prova a liberare il mondo dagli zombie, sfracassando loro la testa.

Comunque siamo qui, in questo pronto soccorso pieno di moribondi, e per moribondi non intendo tanto gli artisti quanto la musica stessa, e stiamo provando a rianimarla. C’è stato un tamponamento a catena, sembra, e quasi nessuno è destinato a sopravvivere. Tutti si danno un gran daffare, anche se io, va detto, sono più che altro quello cinico che scuote la testa, al limite chiudendo gli occhi al defunto. Ma sono qui, la mani sporche di sangue come chiunque altro.

A causare l’incidente, sempre che sia possibile trovare una sola causa, sicuramente la scarsa lungimiranza di chi guidava, i discografici, quindi. Quando ormai era chiaro che non c’era abbastanza distanza per frenare, loro, incauti, hanno continuato a guidare con la solita andatura, schiantandosi come polli. Poi anche la distrazione dovuta da chi ha cambiato corsia in corsa, convinto di farcela, o andando dietro quel che chiedevano le radio o quel che chiedeva la tv, ma quando si crea un ingorgo si crea un ingorgo, non è che ci si sposta di corsia si va poi tanto avanti. Quindi tutti lì, a sbattere gli uni con gli altri. Infine gli ottusi, quelli che hanno davvero creduto a quel che diceva loro il navigatore, perché la tecnologia è tecnologia e non può sbagliare, non può farci male, e hanno proseguito dritti, perché il navigatore non indicava rallentamenti. Vedi a credere a Spotify come ancora di salvezza? Insomma, quasi tutti sono moribondi, a partire dagli artisti, che in questo contesto sembrano quelli seduti di fianco al conducente, in quello che tradizionalmente è chiamato, mica a caso, “il posto del morto”. Di loro, in effetti, quasi nessuno sembra essersi preoccupato, sbalzati fuori dall’abitacolo e caduti in un dirupo di fianco all’autostrada. Per il resto, radio, discografici, promoter, manager, sembrano tutti in fin di vita. L’unica voce squillante che si continua a sentire è quella del navigatore, Spotify, che continua a dire che non c’è nessun rallentamento, e l’orario d’arrivo è quello previsto in partenza. Una scena di ordinaria follia, quindi.

Dicevo ai radiofonici, in sostanza, di liberarsi dei navigatori, cioè di Spotify, loro vero avversario

Come diceva un medico in una puntata di Station 19, che di Gray’s Anatomy è lo spin off ambientato in una stazione dei pompieri, sempre di Seattle, quando si è di fronte a un caso che sembra impossibile, con un corpo martoriato da non so quante emorragie, la sola cosa che si può fare è provare a curarne una alla volta. Evitare, cioè, di farsi prendere dal panico e provare a risolvere tutto insieme, cosa impossibile, appunto, ma procedere per punti, un passo alla volta. Magari si riesce davvero a salvare il paziente.

Giorni fa ho provato a dire al mondo dei radiofonici, che non saranno stati i guidatori di questo maxitamponamento, ma sicuramente hanno una parte importante nell’aver creato l’ingorgo che ha portato alla carneficina, di salvarsi da soli. E, di conseguenza, di salvare anche il mondo della musica. Parlavo ai grandi network radiofonici non perché non volessi prendere in considerazioni le realtà medie o piccole, ma perché sapevo e so che quelle, tendenzialmente, già ci stanno provando a salvarsi, ma è come provare a schivare un incidente a catena su una Smart mentre dietro di noi arriva un Tir lanciato a tutta velocità, buona fortuna. Dicevo ai radiofonici, in sostanza, di liberarsi dei navigatori, cioè di Spotify, loro vero avversario. Esco di metafora, anche perché fa caldo e trovare sempre parallelismi tra i due discorsi, alla lunga, diventa faticoso. Spotify ha fottuto bellamente tutti, è un fatto. In modo particolare le radio, perché almeno le discografiche, Universal e Sony, dentro Spotify ci hanno messo più che lo zampino. Loro, invece, le radio, dopo aver a lungo monopolizzato la discografia imponendo gusti e dettando tempi, se lo sono trovati piazzato in culo, e hanno reagito esattamente come non si dovrebbe fare in questi casi, muovendosi. Hanno cioè fatto il gioco di Spotify, andando a inseguire il loro carnefice, come vittime della sindrome di Stoccolma. Finendo per portarsi il nemico in casa, tutta quella musica demmerda che su Spotify prolifera, sperando di avere così le briciole di un pubblico che neanche sa cosa sia una radio, quello dei giovanissimi, e facendo diventare quei nomi dei giganti, si pensi ai trapper e agli indie. Finendo per altro per scontentare un po’ tutti, perché il pubblico delle radio non è certo votato a quella musica lì, seppur abituato a farsi dettare i gusti dai direttori artistici, e perché così facendo hanno imbalsamato una intera generazione di artisti, gli artisti che un tempo in radio andavano alla grande, i cosiddetti BIG. Dicevo, quindi, ai radiofonici di fare cartello contro Spotify, da una parte smettendo di passare i loro artisti, facendo appunto sistema, e dall’altro andando a prendere artisti magari un pochino più grandi di età, e contrapponendo loro ai vari trapper e compagnia cantante. Fare sistema, non è che serva molto altro da dire.

Bene, i radiofonici hanno fatto sistema. Magicamente la parola “Spotify” è scomparsa dai palinsesti delle sue emittenti

Bene, i radiofonici hanno fatto sistema. In maniera forse non potentissima, ma hanno fatto un primo passo. Diciamo che se uno si immaginava l’armata di Negan, torniamo a parlare di zombie, ecco, loro hanno invece messo su un gruppetto in cui sono sì tutti presenti, ma non hanno ancora le mazze col fil di ferro, le scimitarre e neanche le pistole. L’associazione dei radiofonici si chiama PER, dove PER sta per Player Editori Radio. Iniziativa, quella di PER, cui hanno aderito tutti gli attori della radiofonia italiana più importante, che ha l’obiettivo di attivare l’ascolto di tutte le emittenti italiane su tutti i devices digitali, dalle auto agli assistenti vocali, passando per le smart tv, gli speakers wifi, gli smart watches, i talbet, i PC e ovviamente i campioni assoluti dell’ascolto oggi, gli smartphone.

Come dire, iniziamo a produrre contenuti ad hoc, per lo streaming audio e l’offerta on demand, con podcast, video inediti e compagnia bella. Presenti le radio Rai, le radio Mediaset, Rtl 102,5, RDS, Radio 24, le radio del Gruppo Gedi, quindi Deejay e company, Kiss Kiss, Radio Italia e le Associazioni Aeranti Corallo e FRT, che raccolgono biona parte delle radio locali. Presidente Lorenzo Suraci, di Rtl 102,5, piuttosto sensibile all’argomento in questione. Perché se è evidente che PER è un po’ il corrispettivo dei medici del Pronto Soccorso che arriva sul luogo dell’incidente e per primo prova a salvare il salvabile, riprendiamo sto cazzo di metafora medica, è anche vero che quando una situazione è disperata la buona volontà dei dottori non basta. Lo dicevamo in esergo, ci devono essere tanti fattori in ballo. E siccome Lorenzo Suraci è della vecchia, e di prenderlo in culo da Spotify non ha intenzione, ecco che magicamente la parola “Spotify” è scomparsa dai palinsesti delle sue emittenti, letteralmente, e poi ecco i famosi “20 cc di dopamina”, la medicina buona senza la quale è impossibile rianimare un moribondo. Ecco quindi che Rtl 102,5 ribatte a Spotify iniziando nuovamente a passare musica che con Spotify non ha nulla a che fare, per questioni di anagrafe, algoritmi o il cazzo che decide cosa debba in effetti passare sui canali di streaming.

Così dalla notte tra giovedì e venerdì, dopo la prima rivoluzione di PER, ecco una seconda rivoluzione, che ha per eroina Mietta e come sua Durlindana il brano Milano è dove mi sono persa. Quattro passaggi giornalieri nella principale emittente radiofonica italiana per una artista di tutto rispetto, che però sembrava destinata a rimanere a bordo campo, poco congeniale agli editor di Spotify, e forse anche a certe radio. Eccoli i 20 cc di dopamina. Ecco una mazza da baseball contro gli zombie. Ecco un tentativo di salvare il salvabile. Evviva la dopamina. Evviva le radio. Evviva Mietta.