Bei tempi quando bastava il fermo di un dissidente, magari sospettato di spionaggio, per scatenare in tutto il mondo libero solidarietà con l’accusato e proteste contro un regime chiuso e antidemocratico. Nei giorni scorsi, a Mosca, più di mille persone sono state arrestate. La polizia ha caricato migliaia di manifestanti che reclamavano il diritto di alcune liste di presentarsi alle elezioni comunali e, indirettamente, protestavano contro le acrobazie istituzionali di Vladimir Putin per prolungare il mandato presidenziale e il suo regno di oligarchi. Un noto dissidente è ricoverato in ospedale, per un sospetto avvelenamento, sospetto non campato per aria se si osservano i precedenti di oppositori avvelenati e giornalisti uccisi.
Fatti gravissimi che allungano le ombre sul regime russo, non più comunista sul piano ideologico ed economico, ma ancora erede di metodi e standard di democrazia inaccettabili. Tuttavia, per giornali e telegiornali italiani, le notizie da Mosca non hanno meritato titoli di prima pagina, analisi approfondite e dure denunce da parte di leader politici e intellettuali di solito attenti quando sono in gioco democrazia e diritti e, più banalmente, ampie corrispondenze su quanto sta accadendo nella società russa. Forse qualche cosa mi è sfuggito, ma ho visto soltanto cronache nelle pagine interne, notizie a una o due colonne, sommerse da fatti e notizie considerate sempre e comunque prevalenti.
Oggi il dissenso a Mosca fa meno notizia, così come non è già più notizia il Russiagate, con il suo inquietante strascico di probabili ingerenze del Cremlino nella nostra politica interna
Non mi riferisco alla tragedia del carabiniere ucciso a Roma o all’aggravarsi della crisi libica e nemmeno alla marcia di Boris Johnson verso la Brexit senza condizioni. Notizie certamente importanti, probabilmente più interessanti delle manifestazioni di dissenso a Mosca. Penso alle cronache della calura estiva, ai resoconti su liti quotidiane e scambi di insulti fra Salvini e Di Maio, al taglio di nastro della Coccorino-Coppolo da parte del ministro Toninelli, alle vacanze di Di Maio e Virginia in Costa Smeralda, nota località-test per l’abolizione della povertà e della decrescita felice. Questo, e molto alto, ha provocato una sorta di oscuramento o quantomeno di disattenzione verso una situazione che avrebbe avuto maggiore eco in altri tempi, quando cioè ogni minima manifestazione di dissenso, ogni battito di ciglia del regime, ogni crepa nel l’apparato politico militare era un’occasione buona per denunciare e persino strumentalizzare fatti anche senza fondamento o senza la possibilità di verifiche, comunque utile per scatenare polemiche ad uso interno contro ambienti e partiti filo russi e non ancora convertiti al verbo liberaldemocratico.
Oggi il dissenso a Mosca fa meno notizia, così come non è già più notizia il Russiagate, con il suo inquietante strascico di probabili ingerenze del Cremlino nella nostra politica interna. Una sorta di sordina che, con rare eccezioni, ha accumunato media e mondo politico.
Se il modello democratico è quello di Trump, di Johnson, di Orban e Salvini, se il consenso è costruito a colpi di menzogne e propaganda, se i valori sono oscurati da derive razziste e xenofobe, allora va bene anche Putin
Può essere che a una parte di italiani la Russia di Putin piaccia così com’è. Puó essere che per un partito oggi maggioritario, dato in crescita nei sondaggi, dominante e incombente sui media, asso pigliatutto nelle televisioni pubbliche, la Russia di Putin sia soltanto un partner strategico ed economico, un amico affidabile cui appoggiarsi, un alleato ingiustamente colpito da sanzioni, un sostenitore generoso. Perché sollevare dubbi e domande, se i cittadini non credono più all’Orso sovietico, ai comunisti che mangiavano i bambini, al KGB e alle prigioni di dissidenti? Oggi c’è la Santa Madre Russia, che benedice tradizioni popolari e religiose ed esalta il nazionalismo patriottico e identitario. Perchè turbare l’idillio con notizie sgradite?
Sono domande che si possono fare se ancora si crede in un modello alternativo e in un mondo che, giusto trent’anni fa, con la caduta del Muro di Berlino, ha fatto prevalere e diffuso ovunque valori di libertà, democrazia, economia sociale di mercato. Ma forse sono anche queste domande dei bei tempi andati. Se il modello democratico è quello di Trump, di Johnson, di Orban e Salvini, se il consenso è costruito a colpi di menzogne e propaganda, se i valori sono oscurati da derive razziste e xenofobe, allora va bene anche Putin. È bianco, ortodosso e anche lui preferisce il web al gulag.