Sono i tre personaggi politici che hanno segnato maggiormente la storia recente della politica italiana. I tre volti simbolo di quella che molti, spesso del tutto impropriamente, hanno definito “la Terza Repubblica”. Sono i tre politici più seguiti sui social, che fanno più notizia. Scatenano reazioni spesso irrazionali, concepiscono la politica più come una ricerca continua dell’eccesso che come l’arte della misura, hanno orde di fan pronti a seguirli qualsiasi cosa succeda e milioni di “haters” che non gliene fanno passare una.
Eppure, ad oggi, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Matteo Renzi stanno attraversando una fase tutt’altro che entusiasmante della loro parabola politica e potrebbero finire per essere risucchiati da questa strana crisi di mezza estate che rischia di cambiare gli equilibri in Italia.
Dei tre, quello che sembrava passarsela meglio degli altri, fino a qualche giorno fa, era sicuramente il leader della Lega, non fosse altro che per l’enorme consenso acquisito nel Paese, certificato dalle ultime elezioni europee. Eppure, oggi come oggi, Salvini rischia di essere travolto. Paradossalmente sono proprio le elezioni europee che hanno mandato all’aria i suoi piani. Le velleità di “rivoltare l’Europa come un calzino” si sono scontrate con la dura realtà. E la realtà dice che la Lega, nonostante sia stato il partito in assoluto più votato a livello continentale, a Bruxelles e Strasburgo conta meno di zero e si dovrà limitare a svolgere il “solito” ruolo di rumorosa rappresentanza.
Ma è in patria che la situazione si è incartata. Le elezioni anticipate sono, per oggi, sparite dai radar, e con esse la possibilità di capitalizzare il largo consenso che Salvini ha nel Paese. La prossima manovra si staglia all’orizzonte come uno scoglio insormontabile, anche perché gli obiettivi che la Lega si è posta (a partire dalla Flat Tax) sono irrealizzabili e la strategia di utilizzare l’alibi dei Cinque Stelle che si oppongono al cambiamento può reggere solo fino a un certo punto.
Ma è un altro il vero, grande, cruccio del vicepremier: il Russiagate. Al momento, stando ai sondaggi, quanto trapelato finora non ha intaccato la fiducia che gli italiani nutrono nei suoi confronti. Ma lo scenario può cambiare radicalmente, alla luce delle rivelazioni che quotidianamente contribuiscono a rendere il quadro sempre più oscuro. Il rifiuto di andare a riferire in Aula può trasformarsi in un boomerang e, cosa ancora più grave, crescono, per la prima volta da quando è segretario, i mal di pancia all’interno di un partito, la Lega, che sino ad oggi si è mosso come un blocco granitico. Insomma, per Salvini, specie se a corto della benzina che l’immigrazione rappresenta per il suo motore propagandistico, la luna di miele potrebbe finire presto e in maniera traumatica. Ieri, per tutto il pomeriggio e la serata, si sono inseguite voci sul ritiro della Lega dal Governo, finché Salvini da Barzago ha messo fine alle illazioni. Ma rimane un leader la cui capacità di movimento è drammaticamente impedita.
Ieri, per tutto il pomeriggio e la serata, si sono inseguite voci sul ritiro della Lega dal Governo, finché Salvini, da Barzago, ha messo fine alle illazioni. Ma rimane un leader la cui capacità di movimento è drammaticamente impedita
A proposito di luna di miele finita, che dire di Luigi Di Maio? Se c’è un uomo politico che rappresenta l’applicazione perfetta di parabola discendente, questo è proprio lui. Dopo essere riuscito nel miracolo di portare il suo partito (o movimento, che dir si voglia) in un anno dal 33 al 17 per cento, vive da mesi una pesante crisi interna. Mezzo partito (se non di più) non risponde più a lui, ma vuole vederlo affogare prima di dargli il ben servito. Gli europarlamentari, a cominciare da Fabio Massimo Castaldo, e, ancora di più, il presidente della Camera Roberto Fico si muovono ormai in piena autonomia. Dal canto suo, Di Maio non ha alcuna intenzione di far cadere il governo (difficilmente per lui si ripeterebbe la possibilità di diventare vicepremier e controllare due ministeri chiave), ma, al tempo stesso, non riesce a gestire, se non in una posizione di evidente subalternità, la continua dialettica con quello che è diventato il senior partner della maggioranza, Matteo Salvini. Come se non bastasse, per provare ad uscire dall’angolo, sta bruciando i ponti con il Pd (definito il “partito di Bibbiano”) a dimostrazione del suo completo stato confusionale.
Dalle parti del Quirinale, si sta valutando, sotto traccia, un’ipotesi: un governo di salvezza nazionale, dal quale i tre leader – al centro di veti incrociati e protagonisti dell’epoca di maggior polarizzazione della storia della Repubblica – siano esclusi
E veniamo quindi al terzo protagonista di questa strana estate italiana, Matteo Renzi. Rispetto agli altri due è da mesi fuori dai radar della politica che conta, anche se fa un’immensa fatica ad accettarlo. Ai margini del Pd (solo di facciata) rappresenta ancora l’unica, vera, alternativa al nuovo segretario Nicola Zingaretti, anche se con uno spazio di manovra decisamente limitato. Le elezioni anticipate farebbero a pezzi lui e la sua numerosa pattuglia parlamentare. In questo momento si limita a minare ogni possibile accordo tra i dem e i Cinque Stelle e ad alzare il livello dello scontro perché, di fatto, tutto rimanga com’è.
Una situazione che rischia quindi di portare allo stallo più totale. A meno che – è ciò che si comincia a sentire insistentemente negli ambienti vicini ai tre partiti – non siano proprio i tre uomini-simbolo ad essere sacrificati. Non è un mistero che, in caso di crisi di governo, al di là delle belle parole, siano veramente in pochi quelli che vogliono tornare al voto. Al tempo stesso, però, difficilmente, con i tre “galletti” ancora in campo, si può pensare ad un governo di unità nazionale.
È per questo che, dalle parti del Quirinale, si sta valutando, sotto traccia, un’ipotesi clamorosa: un governo di salvezza nazionale, dal quale i tre leader – al centro di veti incrociati e protagonisti dell’epoca di maggior polarizzazione della storia della Repubblica – siano esclusi e lasciati ai margini, sostituiti dai nuovi nomi che si sono affacciati (o che si stanno affacciando) sulla ribalta nazionale: da Zingaretti a Fico, da Giancarlo Giorgetti a Mara Carfagna. Fantapolitica? Solo fino a un certo punto. Non sarebbe la prima volta, negli ultimi anni, che personaggi politici considerati sulla cresta dell’onda si ritrovano in pochi mesi fuori da tutto.